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Il Giornale - Il Manifesto - Il Sole 24 Ore - Il Foglio Rassegna Stampa
05.02.2009 Elezioni in Israele
Pronostici e disinformazione

Testata:Il Giornale - Il Manifesto - Il Sole 24 Ore - Il Foglio
Autore: R. A. Segre - Michele Giorgio - Ugo Tramballi
Titolo: «Israele, l'ultradestra verso il governo»

 I quotidiani di oggi, 05/02/2009 dedicano ampio spazio alle imminenti elezioni in Israele.

Da 
Il GIORNALE riportiamo l'articolo di R. A. Segre : " Israele, l'ultradestra verso il governo "

A una settimana dalle elezioni generali in Israele (10 febbraio) l'avvenimento più clamoroso in questa noiosa, svogliata campagna elettorale assorbita dalle tre settimane di guerra a Gaza, è sta la rivelazione del quotidiano Haaretz che Avigdor Lieberman, leader del partito di estrema destra Israel Beiteinu è stato membro del Kach, famigerato partito del rabbino Meir Kahane, (assassinato anni fa in America), messo al bando nel 1988 per «incitamento al razzismo» e le sue tendenze antidemocratiche. La fonte della notizia sarebbe nientemeno che l'ex segretario generale del defunto partito Yossi Dayan, secondo il quale Lieberman avrebbe ricevuto una tessera del movimento non molto tempo il suo arrivo in Israele dalla Russia nel 1979. «Non ci occupiamo di questa provocazione orchestrata» è stata la secca risposta del portavoce di Israel Beitenu che attribuisce le accuse all'invidia e alle paure che il previsto successo del partito sta suscitando.
Comunque stiano le cose la notizia non deve essere piaciuta al leader del Likud Netanyahu, probabile vincitore di queste elezione, ex partner commerciale di Lieberman a cui ha probabilmente garantito un portafoglio ministeriale nel suo eventuale futuro governo. Se i pronostici saranno confermati Israel Beiteinu potrebbe ottenere persino 18 seggi parlamentari (sui 120 della Knesseth) diventando il terzo partito del Paese e sorpassando il partito laburista, nonostante il successo personale del suo leader, Barak, ministro della difesa nella brillante condotta della guerra contro Hamas e forse piazzandosi immediatamente dopo del partito Kadima della signora Livni.
L'immagine del ministro degli esteri, che solo alcuni mesi fa sembrava la nuova stella nel firmamento politico israeliano, è stata offuscata dal ruolo secondario avuto durante la campagna contro Gaza, dalle continue tensioni con il primo Ministro Olmert ma soprattutto dalla suo fallimento nel creare una nuova coalizione. Compito che le era stato affidato dal Presidente dello stato e che ha portato ad elezioni che nessuno voleva.
Questo significa - sempre che i pronostici di avverino - che il cosi detto fronte della destra - guidato da Netanyahu, composto dal Likud, da Israel Beitenu e dai partiti religiosi (responsabili del fallimento della Livni nel formare un nuovo governo prima delle elezioni) potrebbero controllare persino 75 seggi. Il che potrebbe avere due serie conseguenze. La prima di fare del partito di Lieberman l'ago della bilancia in una coalizione laica-religiosa con interessi molto differenti in politica finanziaria e interna. La seconda di accantonare - almeno per un lungo periodo di tempo - l'idea di uno stato palestinese accanto a quello israeliano, tanto più perché Netanyahu è convinto che non si può parlare con uno stato palestinese prima di aver eliminato Hamas ed elevato lo standard di vita degli abitanti della Cisgiordania sotto l'amministrazione dell'Autorità palestinese di Abu Mazem o di qualcun altro.
Forse gli elettori decideranno altrimenti. Ma la vera posta in gioco di queste elezioni potrebbe rivelarsi paradossalmente quello a cui tanto l'estremismo islamico quanto l'estremismo ebraico per ragioni totalmente opposte mirano: l'esistenza in Palestina di un solo stato, dominato da una delle due parti. Progetto difficilmente realizzabile ma che sarebbe una ottima ricetta per la continuazione del conflitto da parte di coloro che sono convinti di conoscere la volontà divina e di poter piegare l'avversario con le armi. Questo farebbe della guerra di Gaza solo un intervallo in un dramma incompiuto.

Il MANIFESTO dedica due articoli, entrambi di Michele Giorgio, all'argomento.
Il primo ( " La sirena nera che incanta Israele " ) è un ritratto in negativo di Avigdor Lieberman, leader del partito Yisrael Beitenu. Giorgio arriva ad accusarlo di voler eliminare con una "pulizia etnica" i cittadini israeliani arabi. In realtà Lieberman  ha soltanto proposto uno scambio di territori con un futuro stato palestinese, che porrebbe sotto la sovranità di quest'ultimo alcune zone a maggioranza araba di Israele.
Il secondo articolo è un'intervista alla candidata  di Balad, partito arabo di Israele,
Hanin Zuabi. In questo pezzo Giorgio e il suo interlocutore  si soffermano sul giuramento di fedeltà allo stato di Israeleche Lieberman propone di richiedere a tutti i cittadini israeliani non ebrei, ma non si chiedono il motivo di questa proposta. A Giorgio e a Hanin Zuabi interessa soltanto screditare agli occhi del lettore Israele e i suoi cittadini ebrei,  che sarebbero colpevoli di isolare la minoranza araba della popolazione. L'opposizione dei partiti arabi alla stessa esistenza di Israele come Stato ebraico e la collusione di alcuni deputati con gruppi terroristici (si ricordino per esempio i rapporti tra Azmi Bishara ed Hezbollah), non contano.
Ecco i due articoli:

Michele Giorgio - "La sirena nera che incanta Israele "

Tra i tetti rossi della colonia ebraica di Nokedim svetta la villa a due piani di Avigdor Lieberman. Circondata da un grazioso giardino, la dimora del leader ultranazionalista è presidiata giorno e notte da guardie private. Si affaccia sulle dolci colline che, tra Betlemme ed Hebron, scendono verso la Valle del Giordano. Uno scenario da sogno impreziosito dalla vicinanza col monte Herodion. Non è un caso che l’insediamento sia stato costruito in questo punto della Cisgiordania occupata da Israele dal 1967. Lieberman non è in casa, «ma la sera qualche volta rientra», assicurano le sue vicine. Susy Cohen, 32enne madre di quattro figli, è approdata nei Territori occupati direttamente da Vienna,mentreMichal Libzick, 34 anni, e già al quinto bebé, è arrivata dal Tennessee. «Che persona è Lieberman? Mah... non lo vediamo tanto...Se ci piace il suo programma elettorale? In effetti non ci occupiamo di politica a Nokedim, qui ognuno pensa alla sua vita tranquilla, senza traffico, senza stress» dice Susy schivando l’argomento delle elezioni del 10 febbraio e del futuro della Cisgiordania. «Sappiamo solo che questa terra ci appartiene, Dio l’ha donata tutta al nostro popolo e per questo siamo tornati in Eretz Israel (la terra di Israele) - afferma con piglio deciso prima di ripetere ciò che sostengono un po’ tutti i coloni israeliani -: le relazioni con i villaggi arabi sono buone, i palestinesi ci vogliono qui, perché portiamo lavoro e soldi,ma i loro leader politici li aizzano alla rivolta e al terrorismo». Ma Lieberman, a differenza delle signore Cohen e Libzick - non è arrivato certo a Nokedim per sottrarsi al logorio della vita moderna. Lui questo insediamento ebraico ha contribuito a fondarlo nel 1982, adattandosi a vivere per mesi in un container freddo d’inverno e infuocato d’estate, in nome della redenzione di Eretz Israel e della lotta contro i palestinesi, «rei» di vivere da generazioni nella loro terra. Nato 50 anni fa a Kishinev inUnione Sovietica (oggi Chisinau, capitale della Moldavia), Lieberman alla biblica terra di Israele forse neppure ci pensava mentre lavorava come buttafuori in una discoteca della sua città natale e nemmeno quando smanettava tra dischi e piastre di registrazione in una radio di Baku. Poi nel 1978, all’età di 20 anni, arrivò l’illuminazione: partenza per Israele, breve soggiorno nei centri di assorbimento per i nuovi immigrati, studi universitari non troppo brillanti e infine, dopo lo svezzamento politico nell’estrema destra, l’atterraggio a Nokedim. Dopo anni passati ad aizzare amici e conoscenti contro i palestinesi – secondo il quotidiano Ha’aretz avrebbe anche fatto parte del movimento razzista Kack, del rabbino israeloamericanoMeir Kahane, messo fuori legge nel 1994 – e a realizzare ottimi affari non sempre limpidi e alla luce del sole, Lieberman coglie la grande occasione dell’incarico, tra il 1996 e il 1999, di direttore dell’ufficio del primo ministro Benyamin Netanyahu, per lanciarsi finalmente nella politica che conta fondando un proprio partito, Yisrael Beitenu: russofono, anti-arabo e razzista. Facendo ricorso anche a nebulosi finanziamenti dall’estero gestiti da una società intestata alla figlia. Lieberman ha cavalcato e allo stesso tempo alimentato l’onda del crescente sentimento anti-arabo tra gli israeliani ebrei, focalizzando la sua attenzione non tanto sui palestinesi dei Territori occupati ma su quelli con cittadinanza israeliana, dei quali ha ripetutamente chiesto il «transfer», termine con il quale in Israele si indica in maniera elegante la pulizia etnica. Il successo è stato enorme per questo self made man che è già stato ministro, anche nel governo uscente, con l’incarico di occuparsi delle «minacce strategiche», quindi dell’Iran. Ora, a meno di una settimana dalle elezioni politiche, i sondaggi assegnano al suo partito ben 17 seggi e il probabile ruolo di terza forza politica nazionale dopo il Likud, dato per vincente con 27 poltrone, e Kadima il partito di maggioranza relativa uscente guidato dal ministro degli esteri Tzipi Livni a cui le ultime previsioni assegnano 23 deputati. Il Likud, che in questi ultimi giorni ha perduto un po’ di terreno, lo teme e chiede all’elettorato un «voto utile » non disperdendo i consensi tra i tanti, troppi, partiti di destra. Dietro Lieberman non c’è una lista di peso. Gli unici nomi noti di Yisrael Beitenu sono l’ideologo Uzi Landau, già oltranzista del Likud, e l’ex ambasciatore negliUsa Dani Ayalon. E la figlia dell’ex ministro degli esteri David Levy, una fotomodella col compito di attrarre i voti degli israeliani disimpegnati, ma comunque arrabbiati con gli arabi.Ma se i candidati sono carneadi, il messaggio di Yisrael Beitenu comunque attira continui consensi perché sono netti e tambureggianti, a cominciare dallo slogan contro gli arabi-israeliani: «Nessuna cittadinanza senza lealtà». Lieberman propone una sorta di giuramento di fedeltà allo Stato d’Israele e alla sua natura «ebraica e sionista », pena il ritiro della cittadinanza e, di conseguenza, la deportazione per una popolazione che in questa terra vive da secoli e dove lui è arrivato appena 30 anni fa. E nei giorni dell’offensiva militare israeliana a Gaza ha suggerito l’uso della bomba atomica. «Dobbiamo fare esattamente ciò che fecero gli StatiUniti con ilGiappone durante la Seconda guerra mondiale, così non ci sarà bisogno di occupare Gaza», ha detto durante una conferenza. Per l’accademico Ze’ev Sternhell – vittimaqualche mese fa di un attentato di estremisti di destra – Lieberman è «il politico più pericoloso nella storia del paese», per altri, come hanno evidenziato recenti sondaggi, il leader di Yisrael Beitenu non fa altro che dire ad alta voce quello che una buona fetta d’israeliani riterrebbe opportuno fare per «risolvere» la questione palestinese, a cominciare dal «transfer». «Il leader di Yisrael Beitenu in un certo senso è un fascista atipico – dice l’intellettuale pacifista Michael Warshawski (Mikado) – ma è soprattutto il prodotto di due cose: la mancanza di democrazia dell’Est europeo e della colonizzazione ebraica sfrenata nei Territori occupati palestinesi». Un’analisi coerente con una dichiarazione fatta dallo stesso Lieberman: «Sono in favore della democrazia ma quando c’è una contraddizione tra democrazia e valori ebraici, questi ultimi diventano più importanti di tutto». In fin dei conti, aggiunge Warshawski, «Lieberman è colpevole solo di aver portato alle estreme conseguenze le politiche che altri attuano in modo silenzioso». Il ministro della difesa e leader laburista Ehud Barak, ad esempio. Dopo aver dato il via libera al «collegamento» tra la colonia di Ma’ale Adumim eGerusalemme Est, Barak ha autorizzato la creazione di nuovi insediamenti nella regione di Binyamin, in Cisgiordania, in cambio dell’evacuazione delle 45 famiglie dell’avamposto di Migron che si sposteranno in 250 case di prossima costruzione, le prime di 1.400 nuove unità abitative.

Per un ritratto veritiero di Avigdor Lieberman, cliccare sul link sottostante al quale si può leggere l'articolo di Davide Frattini " Israele si prepara a difendersi dall'Iran " (CORRIERE della SERA, 14/07/2007 ):

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=21263

o l'articolo del FOGLIO di oggi che riportiamo in fondo alla pagina.

Michele Giorgio : " Giurare fedeltà? Mai perchè lo stato non è di tutti i suoi cittadini "

Principale bersaglio della campagna elettorale di Avigdor Lieberman, che li descrive come una «quinta colonna» che minaccia lo Stato ebraico, i cittadini palestinesi d’Israele (circa il 20% della popolazione) stanno affrontando una delle fasi più difficili della loro storia e temono di pagare le conseguenze di un eventuale, ulteriore spostamento a destra dell’elettorato ebraico. Ne abbiamo discusso con Hanin Zuabi, candidata di Tajammo-Balad che assieme al Partito comunista (Hadash) rappresenta la maggioranza degli elettori arabo- israeliani. Lieberman continua a scalare i sondaggi grazie a una campagna elettorale che prende di mira proprio la minoranza palestinese in Israele. È il segno di un estremismo inaccettabile, ma che non ci sorprende. La comunità internazionale deve capire al più presto che in Israele il razzismo dilaga e che Lieberman e il suo partito non rappresentano che la forma più volgare dei sentimenti che una porzione sempre più larga di israeliani ebrei nutre nei confronti dei cittadini palestinesi. Questi ultimi però non sono degli stranieri, ma gli abitanti originari di questo terra e hanno dei diritti sacrosanti. Secondo Lieberman tutti gli israeliani non ebrei dovranno giurare fedeltà a Israele in quanto Stato ebraico, altrimenti perderanno la cittadinanza. Se ciò dovesse diventare parte del programma del prossimo governo, quale sarà la reazione degli arabo israeliani? La maggioranza dei palestinesi in Israele rifiuterà seccamente questa dichiarazione frutto di una ideologia razzista. Accettarla vorrebbe dire rinunciare a uno sviluppo d’Israele verso una democrazia rappresentativa di tutti i suoi cittadini. Non solo, finirebbe per autorizzare e legittimare politiche discriminatorie verso i cittadini non-ebrei. Quello che ilmio partito - sin dalla sua fondazione a metà degli anni ’90 - ha cercato di dire a tutto il paese è che solo un Israele Stato per tutti i suoi cittadini, senza differenze, può trovare la stabilità interna e compiere il tragitto verso la pace. Un discorso che gran parte delle forze politiche israeliane rifiuta seccamente. La commissione elettorale vi aveva escluso inizialmente dalle elezioni, proprio per questa vostra posizione. Destra e sinistra sionista sono annebbiate dal nazionalismo sempre più sfrenato che genera personaggi come Lieberman. La nostra visione per il futuro di Israele è legittima, perché fa parte di un dibattito che coinvolge tanti nel paese, anche ebrei.Un dibattito del genere in Europa, ad esempio, verrebbe considerato normale mentre qui viene ritenuto addirittura «sovversivo ». È forse sovversivo che una minoranza chieda di avere una sua biblioteca nazionale e una sua università? È una forma di ribellione chiedere che un comune arabo riceva gli stessi aiuti governativi che vengono garantiti a quelli ebraici? Noi non ci fermeremo, perché come minoranza abbiamo il diritto di pretendere uno Stato che finalmente rappresenti tutti i suoi cittadini, allo stesso livello, e di sollecitare il riconoscimento degli arabo israeliani come minoranza nazionale. Le formazioni politiche arabe si presentano a queste elezioni ancora una volta divise, con il movimento islamico che chiede il boicottaggio del voto. Le divisioni sono evidentima necessarie, perché facciamo riferimento a pensieri e ideologie diverse. Noi di Tajammo-Balad ci auguriamo che il Partito comunista comprenda finalmente che continuare a sostenere, come fa da 60 anni, due Stati per due popoli non è più aderente ad una realtà sul terreno e un clima politico che si è ulteriormente aggravato. Oggi non basta più invocare due Stati per due popoli, perché è necessario parlare anche di diritti, di uguaglianza, di lotta all’apartheid, di accesso alle risorse per tutti coloro che vivono in questa terra, in Israele e nei Territori occupati. E il boicottaggio del voto proposto dallo sceicco Raed Salah capo del movimento islamico? Lo ritengo un grave errore. Noi non siamo per il boicottaggio della Knesset (il parlamento, ndr) ma proponiamo invece una lotta politica per la trasformazione dello Stato di Israele alla quale possono e devono partecipare anche quegli israeliani ebrei che credono nella fine di una ingiustizia storica e si battono per una vera uguaglianza tra tutti i cittadini.

Il SOLE 24 ORE pubblica un articolo  di Ugo Tramballi nel quale si legge : " Prima la guerra in Libano nel 2006, e poi Hamas e Gaza hanno convinto la gente che oltre quei confini non ci sono arabi che vogliono creare uno stato palestinese,ma arabi che vogliono distruggere lo stato israeliano ".
Forse Tramballi non lo ricorda, ma i palestinesi hanno rifiutato la suddivisione del territorio in due stati nel 1947 e, dal 1948 in poi, gli arabi "che vogliono creare uno stato plaestinese" hanno fatto tutto il possibile per cancellare Israele dalle carte geografiche, dichiarando anche più volte esplicitamente questa intenzione.
I timori degli israeliani appaiono dunque tutt'altro che ingiustificati.

Da Il FOGLIO, a pagina 3, "Lieberman l'esigente si candida ad essere la sorpresa di Israele":

Gerusalemme. Di lui Aryeh Eldad, deputato dell’ultradestra di Unione nazionale, dice che, almeno su certi temi, “è persino più di sinistra di Kadima” e che la sua immagine di “mangia arabi” non sarebbe altro che una maschera per celare il favore “per la divisione di Gerusalemme, la creazione di uno stato palestinese e la cessione di altri territori”. A credere che Avigdor Lieberman sia di sinistra, o quasi, a Gerusalemme c’è però soltanto Eldad e il suo partito, in legittima concorrenza con Yisrael Beitanu (“Israele casa nostra”). Stando ai sondaggi, la formazione guidata da Lieberman dovrebbe essere la sorpresa della tornata elettorale nazionale in programma per martedì prossimo, 10 febbraio. Le rilevazioni gli attribuiscono una quota di consensi sempre crescente, soprattutto da quando – con la sospensione dell’operazione “Piombo fuso” – il governo israeliano ha dato l’impressione, alle fasce più radicali dell’opinione pubblica, di aver rinunciato a “finire il lavoro” nella Striscia di Gaza. Cioè a detronizzare, presto e bene, i capi di Hamas e le loro milizie. Il partito dLieberman, rivelava ieri il Jerusalem Post, potrebbe conquistare 17 seggi alla Knesset, quanti quelli che riuscirebbero a confermare i laburisti guidati dal ministro della Difesa, Ehud Barak. Meglio farebbero soltanto i due partiti principali di Israele: il Likud di Bibi Netanyahu (che eleggerebbe 27 parlamentari) e i centristi di Kadima che, con Tzipi Livni, attuale ministro degli Esteri, avrebbero ridotto lo svantaggio a quattro seggi. Ai commentatori politici di Gerusalemme non è sfuggito – a prescindere da chi vincerà il confronto per la premiership, se Netanyahu, come probabile, o Livni – il dato nuovo di queste elezioni: e cioè che i primi tre partiti di Israele, se i sondaggi troveranno conferma nelle urne, saranno partiti di destra o centrodestra. Lo slittamento dell’elettorato su posizioni conservatrici che starebbe facendo la fortuna di Lieberman. Le sue esternazioni contro gli arabo-israeliani “che devono dar prova di lealtà al paese per non rischiare l’espulsione” e persino le rivelazioni del liberal Haaretz, che martedì raccontava di un passato da militante del Kach (il partito arabofobo messo al bando nel 1988) sono in realtà note di merito agli occhi degli elettori cui Lieberman punta: i coloni, le tante vittime del terrorismo palestinese, ma soprattutto il milione e passa di ebrei immigrati dall’ex Unione sovietica (lo stesso Lieberman è arrivato in Israele dalla Moldavia nel 1978 ed è un settler). I vertici del Likud lo temono. Da qualche giorno è partita un’offensiva anti Lieberman: votare per Yisrael Beitanu può aprire la strada a un governo di Kadima, è il messaggio arrivato ieri da Netanyahu, che teme una concorrenza a destra. L’idea del voto utile si accompagna alle informazioni che in questi giorni stanno uscendo sul conto di Lieberman. Martedì è stato il Jerusalem Post a raccontare di come l’attuale leader di destra ed ex ministro di Ehud Olmert fosse stato coinvolto in negoziati con i palestinesi, lui che in teoria sarebbe la negazione del dialogo fatta persona. A rivelarlo è un libro dell’ex ambasciatore degli Stati Uniti a Gerusalemme, Martin Indyk, che ricorda come Lieberman avesse assicurato al negoziatore palestinese Muhammad Rachid che anche i settori meno moderati della destra si sarebbero espressi a favore del piano di pace redatto a Camp David e a Taba dall’allora premier Barak e dal presidente americano, Bill Clinton. Un ricordo, quello del diplomatico statunitense, che stride con l’immagine che i detrattori danno di Lieberman (tanto che ieri Haaretz gli ha dedicato un aspro editoriale di scomunica politica e che qualche giorno fa Haim Yavin, il volto più noto della tv israeliana, lo ha bollato come “il successore del rabbino Kahane”, ossia del fondatore di Kach), e che lui non fa molto per smentire. Il passato di buttafuori di una discoteca a Kishinev e di operatore televisivo a Baku contribuisce ad alimentare il mito del leader rude che parla chiaro. Ma sono le esperienze alla direzione generale del Likud (dal 1993 al ’96) e a capo del gabinetto dell’allora premier Netanyahu (’96-’97), oltre al passato da sindacalista, a fare di Lieberman un avversario temibile tanto per la destra quanto per la sinistra: “un alleato esigente”, come lo definisce il Monde

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