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Il Manifesto Rassegna Stampa
03.02.2009 Per il quotidiano comunista Tony Blair è diventato quasi buono
Perché consiglia di trattare con Hamas

Testata: Il Manifesto
Data: 03 febbraio 2009
Pagina: 1
Autore: Tommaso Di Francesco
Titolo: «Sostiene Tony Blair»

Dalla prima pagina de  Il MANIFESTO del 3 febbraio 2009, l'editoriale di Tommaso Di Francesco "Sostiene Tony Blair".
L'ex premier britannico viene lodato per aver detto che Israele deve trattare con Hamas, e redarguito perché avrebbe dovuto esprimersi prima del "massacro" di Gaza.
Le maggiori simpatie di De Francesco vanno comunque al gruppo terrorista islamista. Che non è responsabile degli ultimi lanci di razzi "contro il Neghev", anche se controlla Gaza. E che appare l'ultima ancora di salvezza per i palestinesi, che dovrebbero prontamente realizzare l'"unità nazionale".
Intorno a una piattaforma politica che prevede la distruzione di Israele.

Ecco il testo:


Mentre bombardavano Gaza e aumentava la conta delle vittime, veniva voglia di lanciare l'appello «chi l'ha visto?». Poi, dopo 1400 morti in maggioranza civili - dei quali 400 bambini - e 5000 feriti, all'improvviso il silenzio colpevole si è rotto ed è arrivata l'uscita esplicita quanto inaspettata nell'intervista a The Times: «Hamas deve essere coinvolto nel processo di pace». Insomma, punto e a capo. Ma non era meglio dirlo prima della terra bruciata? A parlare così fuori dal coro, solo sabato scorso, è stato Tony Blair proprio a ridosso della missione dell'inviato di Obama in Medio Oriente, George Mitchell. È lo stesso mediatore con il quale Blair ha trattato la pace nell'Irlanda del Nord. A dimostrazione che non solo con i «terroristi» si tratta ma che, se è necessario per la pace, si portano gli stessi terroristi - dell'Ira - al governo. È una presa di posizione destinata ad avere un peso rilevante mentre la tregua unilaterale, di Hamas e Israele, dura da due settimane ma è fragilissima e sempre violata. Ripetutamente con raid aerei israeliani che colpiscono ancora i civili e i «famigerati» tunnel che permettono però di spezzare l'embargo della Striscia, e ancora da nuovi lanci di razzi contro il Neghev la cui responsabilità però «non è di Hamas» dice l'intelligence israeliana, a cui tornano ad aggiungersi altrettanti raid aerei su Gaza ridotta a terra lunare. Il fatto è che Tony Blair è anche l'inviato ufficiale in Medio Oriente del Quartetto dei mediatori (Onu, Usa, Russia, Ue) del desaparecido processo di pace che assicurava, con Bush capofila, la nascita dello stato di Palestina a fine ottobre 2008: invece è arrivata la guerra. Blair manda a dire che bisogna aprire ad Hamas. Naturalmente a certe condizioni (finché non riconoscerà Israele) e con le dovute modalità d'uso (l'attenzione al campo moderato, vale a dire Abu Mazen, che potrebbe essere destabilizzato ancora di più). Al di là dell'intenzione di coinvolgere Iran e Siria, Blair insiste su tre argomenti: l'operazione di isolare Gaza dal contesto palestinese è destinata al fallimento; vista la situazione «bisogna parlare con tutti»; si può decidere di non parlare con Hamas se non accetta l'esistenza d'Israele ma non si può non averlo come interlocutore in quanto rappresenta il «potere di fatto a Gaza». È quello che ha detto e praticato l'ex presidente Usa Jimmy Carter solo nove mesi fa in missione in Medio Oriente. Ma restano parole in aperta discontinuità con gli altri leader europei. Basta vedere l'«acuto» e inutile ministro degli esteri Frattini che ora minaccia di non dispiegare i carabinieri al confine con l'Egitto perché «Hamas ha ancora il potere a Gaza» (sic). Intanto le parole di Blair trovano seguito sul campo. Hamas le apprezza e le respinge insieme, ma offre una tregua di un anno a condizione che siano riaperti i valichi invece sempre più blindati militarmente. E la disponibilità di Hamas apre contraddizioni dentro il governo israeliano impegnato a gestire elettoralmente le macerie della Striscia, e dentro il campo palestinese indeciso tra l'unità interna e il feticcio di una Autorità che non esiste più.

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