Elezioni in Iraq: vince il governo Contro l'influenza iraniana
Testata: Il Foglio Data: 03 febbraio 2009 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «In Iraq vince il governo centrale ( e laico) contro l'influenza iraniana»
Dalla prima pagina del FOGLIO del 3 febbraio 2009 "In Iraq vince il governo centrale ( e laico) contro l'influenza iraniana":
Baghdad. Le elezioni di sabato scorso per i governatorati in Iraq sono state diverse dalle prime – gennaio 2005 – grazie alla riduzione del livello di violenza. Quattro anni fa i seggi subirono 38 attacchi, compresi nove attentati suicidi, perché sia al Qaida sia i gruppi locali sunniti si opponevano alla democratizzazione lenta del paese e all’arrivo al potere degli sciiti. Sabato non ci sono stati episodi di violenza. I servizi segreti iracheni hanno arrestato cinque persone nella provincia di Diyala, accusandole di preparare l’attacco a un seggio. L’intero paese è stato bloccato da misure “eccezionali” di sicurezza – divieto totale di circolazione per le automobili e coprifuoco notturno in alcune zone – che in queste occasioni sono diventate però la norma. L’affluenza è stata minore rispetto al 2005: circa il 51 per cento degli elettori registrati, contro il 55 per cento di quattro anni fa. Su questo dato pesano molti fattori: la difficoltà di spostarsi, il timore sempre presente di attentati e soprattutto il problema dei rifugiati interni, perché circa un milione di iracheni non abita più dove abitava all’inizio della guerra. L’affluenza prevista era maggiore, circa il 60 per cento, alcuni analisti si sono spinti fino al 70 per cento: quella reale è stata in linea con questo tipo di voto locale (in Italia, le ultime elezioni provinciali hanno avuto un’affluenza del 48 per cento). Questa volta i sunniti, che quattro anni fa avevano boicottato quasi all’unanimità il voto precedente su indicazione dei loro leader religiosi e anche per le minacce dei terroristi, hanno partecipato. E’ il segno che – considerata la minor affluenza – nelle grandi province sciite del sud, le prime a raggiungere la calma, si è votato meno rispetto alla volta scorsa. I risultati ufficiali potrebbero arrivare soltanto tra qualche settimana, ma i primi scrutinii e gli exit poll danno indicazioni chiare. Dall’inverno scorso è saltata fuori una divisione netta nella politica irachena. Ci sono partiti – l’Alleanza per il Kurdistan e il Consiglio islamico supremo – che vogliono che il paese abbia un centro debole, pronto a cedere una grande quota di potere federale a regioni individuate per etnia o professione religiosa – il governo regionale curdo al nord e il grande sud sciita e filoiraniano al sud. E ci sono partiti, come il partito Dawa e quelli sunniti, che vogliono uno stato fortemente centralizzatore. Gli elettori iracheni hanno premiato questi ultimi. Una delle grandi incognite di questo sabato era il voto a Bassora, il grande porto del sud, la “Gemma della corona irachena” (ma così vicina all’Iran che in città si commercia con il rial e non si pagano tasse di confine). Per i 35 seggi di Bassora si sono presentati mille candidati, e dalla capitale negli ultimi giorni di campagna c’è stato un viavai frenetico di grandi nomi, compreso il premier Nouri al Maliki. Secondo i dati, il primo ministro è in testa e potrebbe ottenere una vittoria a valanga con il suo partito, per l’occasione ribattezzato con il nome più laico di “Coalizione per lo stato di diritto” (l’originale, Dawa, sta per “missione islamica”). Il premier incassa la gratitudine degli abitanti di Bassora per la massiccia operazione militare della scorsa primavera – la Carica dei cavalieri – contro i miliziani dell’esercito del Mahdi, seguaci di Moqtada al Sadr, che opprimevano la popolazione con l’applicazione vessatoria delle leggi islamiche e lucravano grassi profitti sulla produzione e sul contrabbando di greggio. Maliki ha prevalso sulla famiglia Hakim, potentissimo clan locale (33 seggi alle ultime elezioni) che sogna una grande confederazione di dieci province sciite nel sud, da staccare il prima possibile dal resto del paese con l’aiuto interessato di Teheran. A nord, nella provincia di Ninive e nella città chiave di Mosul, i fondamentalisti sunniti del Partito islamico sono stati battuti in misura schiacciante dal partito laico e nazionalista al Hadba. E’ una vittoria positiva anche perché respinge le pretese di annessione dal nord da parte dei curdi. Nella enorme – è grande come mezza Italia – provincia sunnita di al Anbar, a ovest di Baghdad, c’è invece tensione. Gli sceicchi delle tribù, che sono stati attori fondamentali per sradicare al Qaida dal paese al fianco dei soldati americani, hanno partecipato alle elezioni con le loro liste, ma il Partito islamico, i sunniti della capitale – piuttosto fiacchi nella lotta al terrorismo – dichiarano già di essere in testa alla conta dei voti. “Se è così, ci sono stati brogli – dicono i clan da Ramadi – e imbracceremo di nuovo le armi”. Si tratta di una minaccia credibile.
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