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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.02.2009 Le illusioni di Youssef Courbage e Emmanuel Todd
Sull'incontro di civiltà

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 febbraio 2009
Pagina: 39
Autore: Antonio Carioti
Titolo: «Huntington sbagliò, sarà pace globale»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 03/02/2009, l'articolo di Antonio Carioti riporta le tesi sostenute da Youssef Courbage e Emmanuel Todd nel loro saggio "L'incontro delle civiltà", che appaiono per molti versi illusorie. 

 I due demografi francesi, per esempio, non vedono nell'Iran una minaccia per l'occidente, arrivando a definirlo un Paese " più omogeneo, più moderno e più individualista  della laica Turchia ". Leggendo queste parole ci chiediamo se, per caso, non esistano due Iran: quello di Ahmadinejad (noto a tutti) e un altro "omogeneo, moderno e individualista" (del quale non sapevamo nulla).
Da notare anche come Courbage e Todd attribuiscano a motivazioni strettamente demografiche l'impossibilità di avere due stati ( Israele e Palestina ) per due popoli (ebrei e palestinesi) "dimenticando" che lo Stato ebraico esiste già da 60 anni e che quello palestinese non c'è perchè sono stati i palestinesi a rifiutare la spartizione prevista dalla risoluzione Onu del 1947.

Ecco il testo:

Samuel Huntington, scomparso in dicembre, non potrà replicare. E sarebbe stato interessante, perché il saggio di Youssef Courbage ed Emmanuel Todd L'incontro delle civiltà,
in libreria dal 5 febbraio per Tropea, capovolge la tesi che diede la notorietà al politologo americano. Secondo i due demografi francesi, il mondo non sta scivolando verso antagonismi di crescente asprezza tra grandi aree geografiche culturalmente omogenee — il temuto «scontro di civiltà» — ma al contrario conoscerà un futuro «nel quale la diversità delle tradizioni culturali non sarà più percepita come generatrice di conflitti».
Potrebbe sembrare un ottimismo incauto, ma Todd ha dei precedenti positivi in fatto di profezie. Nel saggio Il crollo finale, edito da Rusconi nel 1978, previde il collasso del blocco sovietico quando al Cremlino regnava ancora Leonid Breznev. Mentre i suoi saggi di alcuni anni fa Dopo l'impero e L'illusione economica, pubblicati da Tropea, annunciavano la crisi dell'unilateralismo americano e «un panico borsistico di un'ampiezza mai vista ». Conviene prenderlo sul serio. Questo nuovo libro si sofferma sul mondo islamico, ma parte da un'analisi generale, secondo cui l'intero genere umano procede nella stessa direzione: società alfabetizzate, secolarizzate, con un basso indice di fecondità, tendenzialmente pacificate e democratiche. Un moto che deriva da due fattori associati, la crescita dell'istruzione, specie femminile, e il declino della fede religiosa, che fanno calare il tasso di natalità e mandano in crisi il tradizionalismo autoritario.
Tutto fa pensare, sostengono Courbage e Todd, che i Paesi islamici non devieranno dallo schema: perciò il nostro continente non è terra di conquista per le minacciose mire dei seguaci di Maometto, come sostiene per esempio Walter Laqueur nel saggio Gli ultimi giorni dell'Europa (Marsilio, pp. 223, e
19,50), ma al contrario tende a contaminare le nazioni musulmane, che finiranno per assomigliargli sempre più. La stessa immigrazione di massa dalla sponda meridionale del Mediterraneo ha l'effetto di europeizzare l'Islam assai più che di islamizzare l'Europa.
Attenzione però: la transizione verso la modernità ha a lungo termine conseguenze virtuose, ma provoca nell'immediato crisi violente, perché destabilizza i rapporti gerarchici, a cominciare da quelli familiari, con micidiali ricadute politiche. In Europa ci è costata due guerre mondiali, il Gulag e la Shoah; in Estremo Oriente è passata attraverso il militarismo giapponese e il maoismo. Non c'è da stupirsi se nel mondo islamico ha prodotto Khomeini e Osama Bin Laden.
Detto questo, aggiungono Courbage e Todd, la variabile religiosa ha un peso relativo: sia perché i Paesi islamici oggi attraversano tappe differenti della transizione demografica (il loro tasso di natalità varia da 1,7 figli per donna in Azerbaigian a 7,5 nel Niger); sia perché un altro elemento cruciale è la struttura dei sistemi familiari, spesso di gran lunga più antichi delle diverse fedi. Addirittura, secondo i due autori, la storia recente si spiega in gran parte con i tipi di legami parentali in uso presso i vari popoli. La famiglia nucleare egualitaria francese ha generato gli immortali principi del 1789; da quella patriarcale egualitaria, in Russia e in Cina, è scaturito il comunismo; quella nucleare non egualitaria inglese ha partorito il liberalismo anglosassone; quella patriarcale non egualitaria, in Germania e Giappone, ha favorito regimi imperialisti e xenofobi. Un determinismo sociologico che può lasciare perplessi, ma non manca di originalità.
Ovviamente gli autori lo applicano anche all'Islam: per esempio nel mondo arabo non conta tanto la poligamia, praticata soprattutto nell'Africa nera (e qui a volte anche da popolazioni cristiane), quanto l'endogamia, cioè la forte propensione a sposarsi tra cugini, che insieme alla successione patrilineare (l'eredità va quasi soltanto ai figli maschi) determina un sistema molto chiuso, che reagisce alle scosse della modernizzazione con la nostalgia struggente di un idealizzato Islam arcaico. Il fondamentalismo, appunto.
Quindi il pericolo esiste, ma non è come lo si dipinge. È sbagliato, secondo Courbage e Todd, vedere nel Libano una bomba a tempo: ormai anche le donne sciite hanno in media 2,2 figli ciascuna ed è probabile che le tensioni si stemperino, fino a sfociare in «una forma originale di democrazia, comunitarizzata ma negoziatrice e pacifica». Preoccupa di più Israele, poiché il tasso di fecondità dei palestinesi, calato assai dopo la seconda Intifada, supera ancora quello degli ebrei, ma è inferiore a quello dei coloni sionisti in Cisgiordania. Per cui cresce la quota di popolazione araba nei confini dello Stato ebraico, ma anche quella degli abitanti israeliani nella West Bank, e l'ipotesi «due popoli, due Stati» pare sempre meno praticabile.
Sorprendente il giudizio sull'Iran, dove il tasso di fecondità è sceso fino a 2 figli per donna: lungi dall'essere una minaccia incombente, appare ormai un Paese «più omogeneo, più moderno e più individualista » della laica Turchia. La vera mina vagante è il Pakistan, dove «la situazione è inquietante su tutti gli scenari»: demografico, educativo, etnico, religioso. Insomma, avvertono Courbage e Todd, la politica di Washington è fuori strada. «Se l'ansia degli Stati Uniti rispetto alle ambizioni nucleari iraniane appare esagerata e in malafede, la leggerezza manifestata dalla diplomazia americana nella gestione dell'alleato pachistano, potenza nucleare reale, può apparire francamente irresponsabile ».

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