Su La REPUBBLICA di oggi, 03/02/2009, l'editoriale di Guido Rampoldi riporta la notizia dell'elezione di Gheddafi come presidente dell'Unione africana . Rampoldi appare affascinato dalle doti teatrali del dittatore libico, e non del tutto affrancato dai miti terzomondisti: per questo non riesce a giungere a una netta condanna morale di un tiranno terrorista.
Ecco il pezzo:
Guido Rampoldi : " Gheddafi : l'Africa incorona il colonnello - Sono il re dei re "
Chissà come veste un «re dei re» africano. Probabilmente non porta la corona, emblema troppo europeo. Tantomeno una stola purpurea, anche quella orpello di sovranità coloniale. Né siede su un trono sfavillante, come un tempo il «re dei re» persiano. Ma a significare nel 2009 la super-regalità africana forse non è sufficiente la tunica dai bagliori dorati che Gheddafi indossava ieri ad Addis Abeba, dove il leader libico è stato eletto presidente dell´Unione africana.
Aveva preparato la sua elezione con lettere personali ai 52 presidenti africani nelle quali si prospettava appunto come una sorta di «re dei re» continentale, titolo immaginario, privo di qualsiasi fondamento storico, ma ugualmente attribuitogli in agosto da un consesso di duecento importanti capitribù, sovrani di vaste popolazioni. E poiché Gheddafi sa bene che l´occhio vuole la sua parte, che insomma la politica è anche un´estetica, presto il suo sarto o il suo coreografo dovranno arricchire un guardaroba mutevole e variopinto come le fasi della politica libica che quegli abiti di scena hanno inteso sottolineare. Finora comprendeva alte uniformi militari, tute mimetiche da guerrigliero, sgargianti vesti africane, mantelli beduini dai colori delicati e i più diversi copricapi, in genere intonati prima al periodo «pan-arabo», in seguito a quello «pan-africano». Insomma è un guardaroba ideologico, altamente simbolico, mai casuale. Per esempio, ricevendo Berlusconi sotto la sua leggendaria tenda nel deserto, cinque anni fa Gheddafi aveva indossato di proposito l´album di famiglia della sua generazione. Sulla sua camicia erano stampate le dodici facce di leader o ispiratori di movimenti di liberazione, tutti con l´eccezione di Mandela, nel 1973 fondatori dell´Organizzazione per l´unità africana. Nell´occasione l´excursus storico di cui il torace del colonnello era palcoscenico poteva apparire un Amarcord un po´ senile, da guerrigliero in pensione, ma in realtà fungeva perfettamente ai suoi scopi. Il primo dei quali era stabilire una simmetria implicita con il suo interlocutore: se infatti il colonnello rappresentava la lotta del continente africano contro il colonialismo, a Berlusconi toccava la parte dell´erede dei colonizzatori. Fosse stato per il cerimoniale libico, probabilmente gli avrebbero stampato sulla bandana il ritratto di Graziani, il generale che insanguinò con i suoi crimini la Cirenaica durante l´occupazione fascista. E infatti lasciare per decenni aperta quella contabilità storica permetteva a Tripoli di affermare uno schema generale per il quale l´Italia era tendenzialmente in debito e la Libia tendenzialmente in credito. Con tutto quello che ne ha conseguito in termini di oneri per l´Italia e di vantaggi per la Libia.
Detto altrimenti, Gheddafi non è affatto un pazzo, uno stupido o un buffone, come invece ama raccontarsi quell´Occidente aggrappato all´immagine dell´africano con l´anello al naso, particolarmente cara ai fessi pullulanti nel Triveneto. Però è dubbio che in questo caso la simbologia da lui prescelta sia la più appropriata al progetto di costruire, sono parole sue, «gli Stati Uniti d´Africa». Di sicuro la regalità africana di un Mandela, per esempio, è stilisticamente ben superiore alla regalità europea, che nelle sue espressioni attuali annovera personaggi in genere mediocri o frivoli. Ma la scelta di impersonare un «re dei re» africano non è stilistica, quanto politica. E qui Gheddafi in parte ha ragione e in parte sbaglia. Richiamandosi alla sovranità tradizionale nella sua forma più classica, il re, in buona sostanza Gheddafi ammette il fallimento della generazione eroica, quella dei leader dei movimenti di liberazione, che come mostra la parabola dell´ultimo in circolazione, il presidente dello Zimbabwe Mugabe, furono quasi tutti formidabili capi guerriglieri ma disastrosi uomini di Stato. Abbatterono sulle minoranze (politiche, etniche) la frusta che avevano strappato di mano alle potenze coloniali, e per quante attenuanti abbiano, da quel crimine non potranno mai essere assolti. Ma il fatto che quel terzomondismo sia stato, tutto sommato, un fiasco, non significa che si debba tornare al passato. Un pan-africanismo previdente dovrebbe puntare sull´Africa giovane e dinamica cresciuta per gran parte insieme al giornalismo più coraggioso e alle organizzazioni per i diritti umani sorte negli ultimi anni nel continente. Lì si troverebbero le energie sufficienti per dare slancio al progetto pan-africano e per reintepretare la tradizione (si veda per esempio il modo intelligente col quale la nuova filosofia africana rivaluta gli istituti del diritto tradizionale xhosa e bantu).
Ma Gheddafi è un sovrano assoluto (sia pure informalmente, non avendo cariche ufficiali) e pensa come un sovrano assoluto. Quell´Africa liberale o proto-liberale probabilmente resta invisibile al suo sguardo. Che gli piaccia o no, rimane un colonello che ha preso il potere con un colpo di Stato e non lo ha più mollato, trasformandosi in dittatore. Ha grande intuito politico ed una duttilità estrema, le doti che lo hanno reso uno tra i più abili surviver del mondo contemporaneo. Ma il realismo, la sua qualità, può diventare un limite, se impedisce di capire che la storia non è soltanto il territorio del potere, della forza.
Questa cecità non è compensata a sufficienza dalla previdenza con la quale Gheddafi si è sganciato per tempo dal pan-arabismo, di cui era stato un campione, per approdare al pan-africanismo, un orizzonte più promettente, almeno in teoria. Il leader libico ha disertato anche l´ultima riunione della Lega araba, un organismo di fatto moribondo come la solidarietà panaraba, cui dovrebbe offrire una scena. Il suo palcoscenico è l´Africa. Resta da vedere se nella parte di "re dei re" otterrà il successo internazionale che finora è mancato alle altre sue rappresentazioni.
Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull'e-mail sottostante