Da pagina 82 di PANORAMA del 2 febbraio 2009, l'inchiesta di Pino Buongiorno su Fratelli Musulmani: !I padroni occulti del mondo arabo!:
Tempi duri in Medio Oriente e nei paesi del Golfo Persico. E non solo perché il petrolio crolla rispetto ai picchi di pochi mesi fa. C’è un nemico ben più insidioso che preoccupa il re dell’Arabia Saudita Abdullah, lo sceicco degli Emirati Arabi Khalifa bin Zayed al-Nahyan, il sovrano giordano Abdallah II e il presidente egiziano Hosni Mubarak. È la Fratellanza musulmana, che chiamano semplicemente con il nome arabo: Al-Ikhwan. È il più vecchio e ramificato movimento sunnita transnazionale, con un programma radicale: creare un nuovo ordine regionale nel nome dell’Islam purificato dalle influenze occidentali.
Grazie a un’alleanza opportunistica forgiata già ai tempi dell’ayatollah Ruhollah Khomeini con l’Iran sciita, la Fratellanza punta innanzitutto a prendere il potere in Egitto, ora che Mubarak appare sempre più debilitato. Da lì vuole partire alla conquista degli altri stati arabi alleati dell’Occidente. Il cuneo che dovrebbe far saltare tutti gli equilibri è rappresentato da Hamas, l’organizzazione terroristica creata nella Striscia di Gaza come la filiale palestinese dei Fratelli musulmani, secondo quanto recita l’articolo 2 dello statuto.
«L’offensiva d’Israele contro Hamas va interpretata anche come una guerra interna al mondo musulmano» spiega ai suoi interlocutori europei lo sceicco Mohammed al-Nahyan, il giovane principe ereditario degli Emirati Arabi, cercando di squarciare il velo su ciò che sta accadendo dietro le quinte. «Un milione e mezzo di palestinesi sono stati presi in ostaggio dalla Fratellanza che si è insinuata a Gaza attraverso le moschee e le organizzazioni umanitarie dopo aver debellato l’Autorità nazionale di Abu Mazen».
Ecco la vera posta in palio: se Hamas continua a rinforzarsi, l’intero «blocco della resistenza» (Iran più Fratellanza) può continuare la sua marcia trionfale. Se invece viene sconfitta, a cantare vittoria non è solo Israele ma l’intero arco dei paesi musulmani moderati. Si spiega così la lacerazione della Lega araba una volta iniziata l’operazione militare Piombo fuso.
E si spiega così pure lo straordinario attivismo della Fratellanza prima e dopo la guerra. In un incontro a Damasco, all’inizio di dicembre, i rappresentanti dei Fratelli musulmani d’Egitto, la componente più strutturata della galassia, hanno promesso di ampliare l’assistenza militare a Hamas nell’imminenza della rottura della tregua con Israele e della probabile escalation bellica. Era presente l’«hojatoleslam» iraniano Ali Akbar Mohtashami Pur, potente segretario generale dell’Unione internazionale per il supporto alla Palestina, figura chiave dell’alleanza dei cosiddetti resistenti, che comprende anche Hezbollah.
Ottanta miliziani della Fratellanza sarebbero stati infiltrati dal varco egiziano di Rafah; cinque di questi sono poi stati uccisi e tre gravemente feriti (la notizia è stata tenuta segreta fino a quando un informatore palestinese l’ha trasmessa al controspionaggio egiziano).
La divisione del lavoro, riconfermata in quel summit, al quale hanno partecipato anche Khaled Meshaal e Moussa Abu Marzuk, i leader di Hamas in Siria, prevedeva per l’Iran l’impegno a rifornire di razzi l’ala militare anche alla fine della guerra. La Fratellanza invece avrebbe intensificato gli sforzi per mobilitare le masse in Egitto, in Giordania, nei paesi del Golfo e in Europa a favore di Hamas. Non solo, avrebbe dovuto moltiplicare la raccolta di fondi trasferendo il denaro a Hamas attraverso banche libanesi e inglesi (Arab bank di Beirut e Natwest di Londra).
È qui che fa la comparsa il personaggio più importante dell’intera rete dei Fratelli musulmani, il punto di raccordo fra la preghiera, i soldi e la conquista dei cuori e delle menti. È lo sceicco egiziano Yousef al-Qaradawi, che dalla sua base a Doha, nel Qatar, è diventato il leader religioso più influente del mondo islamico. Appare regolarmente su Al-Jazeera per sobillare l’opinione pubblica contro «gli ebrei, i regimi arabi e gli Stati Uniti». Una volta spente le telecamere il predicatore veste i panni del finanziere. La sua carica formale è quella di presidente dell’Union of good (Ug), coalizione di 54 organizzazioni caritatevoli fondata nel 2000, dopo l’inizio della seconda intifada, per aiutare l’infrastruttura sociale di Hamas (scuole, strade, trasporti pubblici, aziende agricole e ospedali), ma non solo ovviamente. Lo testimoniano due processi svoltisi nel febbraio e nel maggio 2008 in Egitto contro membri della Fratellanza accusati di aver fornito soldi e armi al ramo militare di Hamas.
Quanti soldi la guida spirituale e finanziaria della Fratellanza spedisca a Gaza ogni anno è un mistero: Israele e l’Autorità nazionale palestinese accennano a «decine di milioni di dollari», mentre nel luglio 2007 un leader di Hamas ha dichiarato che la confraternita ha aiutato i palestinesi con «centinaia di milioni di dollari». L’Ug è divisa in quattro aree geografiche: da una parte ci sono i Territori palestinesi (Cisgiordania e Gaza), in qualità di beneficiari; dall’altra ci sono Europa, Africa e Medio Oriente, come contributori.
Da pagina 86, l'intervista di Lorenzo Vidino all'analista Matthew Levitt "Così finanziano la Striscia":
Uno dei massimi esperti al mondo di Hamas, Matthew Levitt, è direttore del centro studi di terrorismo e intelligence al Washington Institute. Ha lavorato per anni nelle sezioni delegate a contrastare il finanziamento al terrorismo dell'Fbi e del dipartimento del Tesoro. Nel 2006 ha scritto il libro intitolato Hamas.
Come si finanzia Hamas?
Le fonti di finanziamento sono varie, ma attualmente l’Iran e i Fratelli musulmani sono le principali. L'Iran è divenuto il principale stato finanziatore di Hamas dopo che vari paesi del Golfo, su pressioni Usa, hanno diminuito le donazioni. Teheran è inoltre l'unica fonte in grado di fornire a Hamas armi e missili a media gittata.
E i Fratelli musulmani?
Hanno creato una rete che raccoglie donazioni per Hamas in quasi tutto il mondo. In Medio Oriente ciò viene fatto apertamente, mentre in Occidente il vero destinatario è spesso occultato. Le organizzazioni indicano come beneficiari ospedali, scuole e strutture che dovrebbero distribuire cibo e aiuti. Tutti questi beneficiari, però, sono controllati da Hamas. Verificare come i fondi siano spesi una volta giunti a Gaza è impossibile. Le autorità palestinesi legate ad Abu Mazen sono le prime a dire che quei soldi hanno aiutato Hamas a creare un'infrastruttura che ha surclassato la loro.
Dove si trovano queste strutture in Occidente?
Paradossalmente, per anni Hamas aveva uno dei suoi centri negli Usa. Le autorità hanno iniziato a controllarlo dopo l'11 settembre. L'anno scorso un tribunale federale ha condannato per aiuto al terrorismo i direttori della Holy Land foundation, il massimo organismo caritatevole islamico legato a Hamas sul territorio Usa. Gli europei sono stati finora più lenti, avendo a lungo fatto una distinzione tra ala politica e ala militare di Hamas e considerando illegittimi solo i finanziamenti a quest'ultima. Da poco hanno capito che in un gruppo come Hamas i due aspetti non sono distinguibili.
Di che cifre parliamo?
La Holy Land foundation ha mandato a Hamas 12 milioni di dollari. Ma è difficile quantificare, anche perché i passaggi di denaro avvengono in via informale evitando le banche. I soldi sono spesso raccolti in moschee e alle manifestazioni per la Palestina.
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