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La Stampa, Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.01.2009 Due ex ambasciatori, Boris Biancheri e Sergio Romano
Dio li fa e poi li accoppia

Testata:La Stampa, Corriere della Sera
Autore: Boris Biancheri - Sergio Romano
Titolo: «Obama - Iran, la prossima mossa - Arabi e leva militare»

Ritenendo di fare cosa gradita agli autori abbiamo messo insieme oggi, 31/01/2009,  due ex ambasciatori, confidando nel detto : " Dio li fa e poi li accoppia ". BORIS BIANCHERI, che si allinea alla critica più stupidamente anti - Bush e con pesante appeasement nei confronti dell'Iran, dimenticandone completamente le attività terroristiche. SERGIO ROMANO, il quale avrebbe potuto rispondere al lettore spiegandogli per bene come funziona il rapporto cittadini arabi e servizio militare, non ha perso l'occasione per tirare in ballo gli ebrei ... nell'impero ottomano ! Una citazione che nulla ha a che vedere con la domanda, ma che gli consente di citare un presunto privilegio senza spiegarne il significato.

LA STAMPA - Boris Biancheri : " Obama - Iran, la prossima mossa "

Obama ha dato un segnale di apertura e buona volontà all’Iran in termini molto equilibrati. Ha scelto un’emittente araba per lanciare un messaggio che auspica «vie di progresso» nei rapporti, con l’augurio che alla mano tesa di Washington Teheran non risponda con il pugno chiuso: un’espressione elegante, significativa e comprensibile dal pubblico islamico oltre che dal governo iraniano. La risposta che il presidente Ahmadinejad gli ha dato ventiquattr’ore dopo, in occasione di un discorso a Kermanshah, è stata più articolata. La stampa americana l’ha giudicata piuttosto deludente, anche se prevedibile. Del suo programma nucleare - la causa più diretta di contenzioso che l’Iran abbia con la comunità internazionale e al primissimo posto delle preoccupazioni occidentali - il premier iraniano non ha detto nulla di nuovo. Ha fatto una lunga lista dei misfatti americani dal tempo dello Scià a oggi, per i quali si attende esplicite scuse, e ha aggiunto che aspetterà pazientemente di vedere se i propositi di cambiamento di Obama sono tattici o sostanziali. Naturalmente, ha ricordato che tra i crimini americani c’è il continuato appoggio alla causa sionista.
Che prospettive concrete si aprono nei rapporti internazionali con questo scambio di battute? Non molte, almeno nell’immediato. Per la ragione assai semplice che quanto è avvenuto nell’area mediorientale e centroasiatica negli ultimi anni dimostra che gli Stati Uniti hanno molto più bisogno dell’Iran di quanto l’Iran non abbia bisogno degli Stati Uniti. Sul tema nucleare, si chiedono all’Iran garanzie che i suoi programmi restino confinati all’ambito civile, ma non si hanno mezzi di pressione per imporlo. Le sanzioni, lo vediamo, sono poco efficaci: vari Paesi appaiono restii a renderle più severe e l’operazione esigerebbe comunque un vasto consenso internazionale difficile da raggiungere. Di azioni coercitive, neppure l’amministrazione Bush osava mai parlare ad alta voce e non è probabile che quella di Obama le prenda neppure in esame.
Ma c’è soprattutto la considerazione che, proprio in questi anni in cui l’Iran ha preso posizioni in contrasto con gli Stati Uniti, esso è diventato, per demerito degli altri protagonisti, una forza politica preminente e l’elemento chiave degli equilibri regionali. Attraverso Hezbollah ha acquistato una posizione di prima grandezza in Libano. Attraverso Hamas l’ha acquistata nel conflitto israelo-palestinese. La prossimità con l’Afghanistan gli ha attribuito un peso di rilievo nella soluzione del problema più grave e urgente della politica americana ed europea in Asia. Mentre gli Stati Uniti perdevano prestigio internazionale e si dissanguavano umanamente e finanziariamente in Iraq, l’Iran riacquistava peso politico in quel Paese attraverso la componente sciita e vedeva intanto il suo vicino-rivale indebolirsi. Nessun altro ha guadagnato qualcosa nella roulette mediorientale dall’11 settembre a oggi. Israele non ha guadagnato sicurezza, malgrado l’abbandono di Gaza, e ne abbiamo ogni giorno la prova. Il Libano non ha guadagnato in coesione. I palestinesi non hanno certo migliorato le loro condizioni di vita e la prospettiva di uno Stato palestinese non si è avvicinata malgrado il tempo trascorso. L’Iraq è nello stato che sappiamo. L’America non ha guadagnato in prestigio e l’Europa non ha guadagnato in credibilità. Solo l’Iran, quasi senza muoversi, ha incassato le poste degli altri. Non c’è da stupirsi che Ahmadinejad dica che aspetta con pazienza di vedere quel che gli Stati Uniti faranno in futuro. Può permettersi di aspettare perché il tempo ha lavorato per lui.

CORRIERE della SERA - Sergio Romano : " Arabi e leva militare "

Caro Romano, il conflitto israelo-palestinese mi suscita una domanda. Dato che la popolazione dello Stato di Israele è composta attualmente per un quinto da arabi democraticamente presenti nel Parlamento, e dato che la ferma militare in Israele è di tre anni, come riferito da David Grossman durante un colloquio con Corrado Augias, mi domando se anche per gli arabi cittadini di Israele vi sia questo obbligo. Escluderei che arabi israeliani siano impiegati in operazioni militari come quella recente nella Striscia di Gaza, ma allora quali sono gli obblighi militari della componente araba israeliana che oltretutto è in progressivo incremento?
Pino Toscano
p.toscano46@virgilio.it

Gli arabi israeliani sono esentati dall'obbligo del servizio militare: uno status simile a quello degli ebrei nell'Impero Ottomano.

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