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Il Foglio Rassegna Stampa
31.01.2009 Elezioni in Iraq
le analisi di Carlo Panella e Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 31 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella - Giulio Meotti
Titolo: «Al voto in Iraq - Quattromila veli»

Sulle elezioni in Iraq, sul FOGLIO di oggi, 31/01/2009, le analisi di Carlo Panella e Giulio Meotti.

Carlo Panella : " Al voto in Iraq "

Roma. Le elezioni amministrative che si svolgono oggi in Iraq non sono certo le prime, ma sono le prime che si svolgono dopo che molte province sono passate sotto il controllo esclusivo delle forze di sicurezza irachene, a partire da quella strategica di Bassora. Non sono elezioni senza sangue, ma con un livello di violenza contenuto: tre candidati sunniti uccisi a Mosul, Diyala e Baghdad e due attacchini ammazzati a Baquba. Il Comando americano ha minimizzato la portata di questi fatti di sangue: il suo portavoce, il generale David Perkins, ha ricordato come nelle 24 ore precedenti il voto gli attacchi politicamente motivati sono stati in tutto nove, contro i ben 92 registrati nel gennaio 2005, quando la popolazione irachena andò alle urne l’ultima volta. Perkins ha attribuito alle massicce misure di sicurezza il drastico calo della violenza: tanto più che giovedì erano chiamati a votare in anticipo soldati, poliziotti, ma anche detenuti e pazienti degli ospedali, complessivamente 614.000 elettori. Il rilievo politico della tornata elettorale è triplo, a piena conferma della strategia adottata da George W. Bush: innanzitutto la conferma del lento procedere del radicamento della democrazia rappresentativa; in secondo luogo, la previsione di una grande affluenza dei circa 15 milioni di elettori, chiamati alle urne per eleggere i 440 consiglieri provinciali (in realtà, regionali) tra ben 14.400 candidati (di cui, ben 4.500 sono donne, in omaggio alla norma, unica in un paese islamico, che impone il 25 per cento di candidature rosa, sia pure con scarse possibilità di elezione effettiva); ma il dato politico più importante è proprio nella caratteristica di queste elezioni. Secondo l’avanzatissima Costituzione irachena, i consigli provinciali (regionali) per cui si vota sono infatti strutture di tipo federale, con ampi poteri normativi e legislativi decentrati e sottratti al potere centrale, dentro un modello di stato federale, assolutamente inedito nel contesto musulmano, là dove il rigido centralismo corrisponde ad una visione della società gerarchizzata e autoritaria. Va detto che questa tornata elettorale è frutto di un saggio compromesso: non si vota infatti nelle tre province del Kurdistan (che godono di una autonomia federale marcatissima), e neanche nella regione di Kirkuk, là dove ancora non è stato raggiunto un compromesso tra i curdi – che sostengono debba essere annessa al Kurdistan – e sunniti, turcomanni e sciiti, che invece sostengono che la ricca regione petrolifera deve essere autonoma. Il governo teme che al Qaida approfitti dell’attenzione internazionale sul giorno del voto per attaccare: nel 2005, la propaganda estremista minacciò gli elettori e in alcune zone i seggi furono colpiti da cecchini e autobomba. Per venire ai sondaggi, balza agli occhi il primo dato rilevato: almeno il 73 per cento dei circa 15 milioni di elettori chiamati alle urne si recherà al voto. Ma veramente clamoroso, se verrà confermato dalle urne, è la seconda tendenza rilevata da un recente sondaggio pubblicato da un sito web governativo: il 42 per cento degli elettori, infatti, ha dichiarato di essere intenzionato a scegliere candidati laici, e solo il 31 per cento candidati di formazione religiosa. Più in particolare, la lista presentata dal premier Nouri al Maliki che non si presenta con l’abituale nome Dawa ma con una lista più composita, in cui confluiscono liste laiche minori e dal carattere più secolare chiamata “Per lo Stato di Diritto”, sarebbe in testa con il 23 per cento dei consensi, seguita al 12,6 dalla lista Nazionale irachena dell'ex premier laico Ayad Allawi e quindi dall’11,4 per cento dalla grande formazione sciita del Supremo consiglio islamico iracheno (Sciri) di Abdel Aziz al Hakim, che alle elezioni del 2005 aveva ottenuto il controllo di gran parte dei consigli provinciali nel sud del paese. Le due formazioni sunnite Fronte della concordia e Fronte del dialogo nazionale, che avevano boicottato le legislative e le provinciali del 2005, sono accreditate del 4,5 per cento e 3,6 per cento. Se la tendenza rilevata si confermerà, queste elezioni segneranno un punto di svolta radicale. Lo Sciri di al Hakim, sino ad oggi, è stato il più importante partito religioso iracheno (sia pure temperato dalla saggia guida spirituale dell’ayatollah al Sistani), per di più con una storia di padrinato esplicito (ma negli ultimi anni declinante) da parte degli ayatollah iraniani. Se i suoi consensi declineranno a favore di partiti laici, sarà un’ulteriore prova del successo del primo nation building tendenzialmente laico in un paese musulmano, che solo la cecità del mondo politically correct può negare. Un clamoroso regalo di Bush a Obama, ma anche una poderosa prova dell’errore strategico del nuovo presidente democratico (che negli anni ha insistito sul ritiro dei soldati americani) nei confronti della questione irachena.

Giulio Meotti : " Quattromila veli "

Roma. Le candidate sciite portano con sé i decenni patiti sotto Saddam Hussein, quelle sunnite sono il sangue e la paura che hanno visto scorrere nelle strade dominate da al Qaida, le donne cristiane corrono a nome di una comunità ancora viva nonostante tutto l’odio scatenato contro di loro. Nel 2005, in occasione delle prime elezioni democratiche irachene, vedemmo una fila interminabile di donne coperte dai veli neri davanti ai seggi, scortate dai militari, e le loro dita colorate di viola a suggellare il voto. Per i quattro anni successivi ci era stato detto che le donne in Iraq erano precipitate in un incubo senza uscita. Oggi, che saranno chiamati alle urne 15 milioni di iracheni, su 14.431 candidati per le elezioni provinciali ben 3.921 sono donne. Per una donna candidarsi pubblicamente in Iraq significa mettere a repentaglio la propria vita, scontrandosi con le minacce di morte dei gruppi radicali sunniti e sciiti. Il 18 dicembre scorso Nahla Hussein, leader femminile del Partito comunista curdo, è stata trovata senza testa nella sua casa di Kirkuk. In molte zone, le candidate preferiscono non utilizzare la propria immagine. A Bassora, la città sciita del sud che per mesi ha visto le strade riempirsi di cadaveri di donne (40 soltanto nel 2007), Ibtihal Abdul- Rahman fa comizi dove fino a ieri tribunali sharaitici amministravano una “giustizia” sanguinaria. Queste donne sciite dicono di richiamarsi a Zaynab, la sorella del martire sciita Hussein che accompagnò a Damasco la testa del fratello. Difese la vita dell’unico maschio sopravvissuto della famiglia, assicurando la continuità dello sciismo. Safia al Suhail è figlia di un noto religioso sciita assassinato da Saddam Hussein. “Dobbiamo cambiare le cose. Come? Combattendo”. Maysun al Damaluji, candidata laica con l’ex primo ministro Ayad Allawi, dice che le donne hanno un doppio ruolo, “il dovere di servire sia le donne sia la comunità”. Suhaila Oufi, di professione veterinaria, è candidata “per far da voce alle donne che hanno vissuto sotto un regime ingiusto”. Quello delle milizie filoiraniane che hanno chiuso saloni di bellezza e amputato, a esempio di tutte, i manichini di abiti femminili. Safiya Al Suheil e Amira Al Baldawi sono il ritratto di questo grande puzzle iracheno, la prima è una secolarista liberal, la seconda è una conservatrice religiosa. “Le donne hanno sofferto di più nelle operazioni terroristiche, hanno assunto il ruolo di capo famiglia dopo aver perso il marito o un figlio” dice Baldawi, che di professione è agronoma. Quasi un milione di donne in Iraq sono vedove o hanno i mariti scomparsi. “Abbiamo vissuto sotto minaccia di assassinio e fosse comuni” aggiunge la collega laica a cui Saddam Hussein uccise entrambi i genitori. Fatima Mahmud Marzuk è nella lista delle “Tribù dell’Iraq”, i sunniti che in questi due anni hanno portato il peso della guerra contro al Qaida. “La consideravo una grande responsabilità, e sono molto fiera della fiducia che mi hanno dato”. Madre di quattro figli, laureata in Scienze islamiche presso una università locale, Fatima ha un grande fervore patriottico. “Come irachena, sopporto il dolore della mia gente, e voglio fare del mio meglio per restituire qualcosa a questo paese”. Nebras al Maouri è candidata nel gruppo al Iraqiya. “E’ magnifico vedere una donna in politica. In America, ad esempio, il Segretario di Stato è una donna. Perché non qui in Iraq?”. C’è anche chi, come Hanaa Kazem, si è candidata a nome di una categoria martoriata dal terrorismo. Quella degli insegnanti con la Iraqi Teachers’List. La polizia irachena fornisce la cifra vertiginosa di mille intellettuali e scrittori uccisi negli ultimi due anni. Oltre 80 gli accademici nella sola università di Baghdad. Wahida al Jumaili, candidata sunnita, racconta che “un giorno stavo tornando a casa in macchina e al Qaida mi sparò addosso, mancandomi. Da allora ho fatto politica in segreto”. O come Liza Nisan, candidata del National Assyrian Party che dice di parlare a nome di quei 700 cristiani uccisi dal 2003 a oggi. Tutte queste donne oggi tornano con il pensiero a Wijdan al Khuzai. Era una forza della natura, tanti figli e la volontà di correre da laica per un seggio in Parlamento. Diceva sempre che “se hai un obiettivo, vai avanti e non lasciarti fermare da nessuno”. Gli americani trovarono il suo corpo sulla strada per l’aeroporto di Baghdad, cinque colpi di pistola, le braccia spezzate e le mani legate dietro la schiena, come in un’esecuzione. Era stata torturata. Aveva iniziato nel 1990 a fare politica a Hilla, fra gli sciiti, distribuendo cibo ai bambini. Gli sgherri di Saddam le misero gli occhi addosso e Wijdan decise di fermarsi. Per riprendere nel 2003, quando il tiranno non c’era più. Aveva rifiutato la scorta. Perché ripeteva sempre: “Dio mi proteggerà”. La sua storia è uno dei pegni di questo Iraq.

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