Dalla prima pagina e da pagina 18 di LIBERO del 30 gennaio 2009, riportiamo l'articolo di Ugo Finetti "Ecco cosa dicono i negazionisti":
Il dato più impressionante del negazionismo è che esso non è riconducibile ad una mera difesa del nazismo. Se si trattasse di neonazismo sarebbe meno inquietante. Siamo invece di fronte ad uno dei fenomeni che caratterizzano l’antisemitismo attuale. (...)
(...) La “fortuna” del negazionismo, la sua persistenza con relativa attenzione, dipende dal fatto che l’antisemitismo non è in ritirata, anzi viviamo anni di una rinnovata mobilitazione antisemita che ripropone miti e pregiudizi che hanno caratterizzato importanti personalità anche in Europa, prima e indipendentemente da Hitler. Persino in Thomas Mann, nei Buddenbrook (1901), troviamo espressioni antisemite scritte senza problemi come prosa scontata (macchia che lo scrittore cancellerà poi tramite i romanzi con gli ebrei come protagonisti). Le leggi razziali austriache furono votate prima dell’avvento del nazismo: risalgono al 1920. Quando Hitler entra in scena c’è già una opinione pubblica diffusa che indica gli ebrei tedeschi come responsabili della sconfitta del 1918. Nella cosiddetta Repubblica di Weimar, nella Germania degli anni Venti, è l’ebreo il “nemico interno” a causa di una ricchezza “spregevole” mentre il popolo tedesco è afflitto dall’inflazione e dalla miseria. Ma veniamo alle tesi dei negazionisti.
1) Non è mai esistita la volontà da parte dei nazisti di sterminare gli ebrei. Non ci sono testi né discorsi né ordini scritti che provino questo disegno. La “soluzione finale”, di conseguenza, è un’invenzione.
Hitler diventa l’interprete più spietato dell’humus antisemita e il suo programma di violenza razzista è esplicito sin dall’inizio. La tesi secondo cui non sarebbe mai esistita la volontà da parte dei nazisti di sterminare gli ebrei che poi sfocia nel sostenere che la Soluzione finale è un’invenzione, è smentita innanzi tutto dalla lettura del Mein Kampf scritto da Hitler durante la detenzione in seguito al fallimento del suo tentativo di colpo di stato del 1923. Esiste una ampia letteratura storica sulla differenza tra nazismo e fascismo fondata proprio su questo dato indiscutibile: l’esplicito programma antisemita che caratterizza sin dalle origini il movimento hitleriano (a differenza di quello mussoliniano).
2) Non sono mai esistite camere a gas per uccidere gli ebrei. Non sono mai state trovate tracce di veleno nei resti dei lager.
Lo sterminio attuato da Hitler è stato oggetto di rimozione nel corso del Dopoguerra. Il processo di Norimberga non lasciò una traccia indelebile. Da un lato vi erano ragioni formali, per il limitato impatto nell’opinione pubblica dei resoconti giornalistici dell’epoca. Dall’altro di sostanza, perché subito dopo la fine della guerra si ruppe la coalizione antinazista: gli occidentali contestavano ai sovietici l’alleanza con Hitler tra il ’39 e il ’41; i sovietici contestavano agli occidentali di essere i continuatori dell’hitlerismo.
A ciò reagì lo Stato di Israele con una sorta di riedizione del processo di Norimberga organizzando nel 1961 il processo ad Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili dello sterminio, rintracciato dal Mossad aveva ritrovato in Argentina. Per la prima volta venne prodotta un’ampia e inoppugnabile documentazione fotografica e cinematografica supportata da una serie sconvolgente di testimonianze dirette. L’intera macchina dello sterminio fu ricostruita a partire dalle riunioni dedicate alla sua pianificazione fino alla esecuzione avvenuta principalmente attraverso le camere a gas.
Nonostante questa mole schiacciante di materiale, il negazionismo rifiuta l’esistenza delle camere a gas. A distinguersi nella divulgazione di questa tesi sono stati in particolare Robert Faurisson e Fred Leuchter: nel 1988 hanno pubblicato un saggio (esiste anche un documentario) intitolato Leuchter Report. Si tratta del tentativo di dar vita ad una sorta di negazionismo “scientifico”. Gli autori infatti presentano le loro tesi sotto forma di perizia tecnica, effettuata da Leuchter, sull’assenza di residui di cianuri nei resti delle camere a gas ad Auschwitz. Fu l’inizio di un filone - Luftl Report, Rudolf Report - in cui si descrive la impossibilità “tecnica” dello sterminio di massa. Proprio uno dei testimoni del Processo Eichmann, il chimico francese Georges Wellers che era stato deportato ad Auschwitz replicherà a questi “Report”. A fianco di Wellers nell’immediata confutazione di questo “negazionismo scientifico” ci fu negli anni Ottanta in particolare Jean-Claude Pressac con il suo Auschwitz. Technique and operation of the gas chambre del 1989 e quindi Les Crématoires d’Auschwitz. La machinerie du meurtre de masse del 1993 in cui utilizza documenti provenienti dagli archivi sovietici divenuti accessibili.
Il caso più clamoroso di negazione dell’esistenza delle “macchine della morte” negli ultimi anni è stato quello di David Irving, un autore britannico specializzato nella storia militare della Seconda guerra mondiale, che nel 1977 aveva scritto una rievocazione dal punto di vista del dittatore nazista: Hitler’s War. In quel testo non era ancora “negazionista”. Lo divenne sfruttando quel filone “dal punto di vista di Hitler” arrivando nel 1988 a testimoniare a favore del neonazista e negazionista canadese Ernst Zündel e sostenendo quindi che l'Olocausto non ebbe mai luogo. All’inizio degli anni Novanta il suo negazionismo diventa un fatto giudiziario. Dopo aver affermato che ciò che è stato ricostruito nel campo di Auschwitz rappresenta «un falso fabbricato dopo la guerra» privo di qualsiasi veridicità storica si reca a Roma dove all’aeroporto viene arrestato e mandato in aereo in Germania secondo la richiesta di estradizione tedesca. Viene quindi processato a Monaco di Baviera per il reato di «diffamazione del ricordo dei morti». La vicenda si conclude con una multa, ma quando nell’aprile del 1996 egli stesso intenta una causa contro la storica Deborah Lipstadt, sua critica, il tribunale sentenzia che è stato Irving ad aver «falsificato e distorto l’evidenza storica» in quanto «negazionista dell’Olocausto», «antisemita» e «razzista». Quindi nel novembre del 2005 viene arrestato in Austria dove vige la legislazione che punisce il reato di “negazionismo” e condannato a tre anni di detenzione.
3) Il numero degli ebrei morti durante la Seconda Guerra Mondiale è inferiore a quanto si ritiene. Non esiste documentazione attendibile sul numero delle vittime.
Di fronte al fallimento dei tentativi “storici” di negare lo sterminio e “scientifici” di negare l’esistenza delle camere a gas, la polemica negazionista è quindi proseguita in questi anni soprattutto in relazione all’entità dell’Olocausto proponendo la tesi dell’esagerazione del numero delle vittime. La studiosa Valentina Pisanty ha indagato la “strategia” usata dai negazionisti: smontano testimonianze e documenti sullo sterminio senza però portare alcuna testimonianza o documento a proprio sostegno. A contraddirli basterebbe la trascrizione dei discorsi di Hitler e degli altri dirigenti nazisti. Ma in Israele da tempo si lavora a un archivio delle vittime. Circa tre milioni di nomi sono stati inventariati. Anche se in effetti molti documenti sono stati perduti, le stime degli storici oscillano tra i 5 e i 6 milioni di vittime, in base a considerazioni statistiche, archivistiche e demografiche.
4) La narrazione della Shoah è un utile artificio pensato per giustificare la costituzione dello Stato di Israele nel dopoguerra, e giustificare i crimini commessi dagli eserciti e governi Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il fondamento, o meglio l’attenzione e il consenso che il negazionismo registra, il suo apparentemente assurdo perdurare, traggono origine dallo stesso Processo Eichmann. L’identificazione tra diritto di esistenza dello Stato di Israele ed esistenza storica della Shoah è un dato storico, non propagandistico, che risulta inaccettabile a quanti non vogliono ammettere l’esodo degli ebrei in Palestina provocato nell’immediato Dopoguerra dall’orrore di una persecuzione di massa largamente condivisa e con ampie corresponsabilità soprattutto in Europa. Criminalizzare Israele richiede la negazione delle ragioni di fuga dall’Europa.
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