Sul CORRIERE della SERA di oggi, 30/01/2009, Sergio Romano risponde a tre lettere sulla Giornata della Memoria. Secondo lui questa commemorazione non solo è per manifestazioni di "conformismo", ma avrebbe l'effetto negativo di gravare le giovani generazioni europee delle colpe dei loro padri e dei loro nonni, privandole di della possibilità di identificarsi in una storia comune che fornendo modelli positivi aiuti a "cementare sentimenti di appartenenza, di solidarietà e di orgoglio".
La storia europea, però, non può essere cambiata. Un sentimento di unità fondato sull'oblio dei crimini nazisti, e della corresponsabilità (individuale, non collettiva) di molti europei, sarebbe falso e pericoloso, perché priverebbe le nostre società delle difese necessarie ad evitare il ritorno dell'odio antisemta e razzista.
Ecco il testo delle lettere e della risposta di Romano:
Riguardo al Giorno della memoria che ogni anno si ripropone «per non dimenticare» (ci mancherebbe altro, lo trovo giustissimo) leggevo delle gite dei ragazzi ai lager di Auschwitz ecc. E fin qui tutto bene. Ma non riesco a capire perché non esista un giorno della memoria riguardo al periodo successivo al regime nazista, il periodo dell'orrore staliniano, e perché non vengano organizzate gite a tutti quei quartieri generali della Stasi (Staatssicherheit, ossia Sicurezza di Stato) sparsi per tutta la ex Germania Est che controllava la vita dei cittadini dell'Est europeo e si insinuava nella vita della gente come una metastasi.
Perché neanche una parola?
Filmografie fiume sulla Shoah e niente sui 40 anni di regime totalitario comunista.
Costanza Corti, Parma
Il presidente Napolitano ha sbagliato a ricevere soltanto i rappresentanti della comunità ebraica in Italia.
Avrebbe dovuto ricevere anche quella dei rom e dei sinti e i rappresentanti delle comunità slave e africane che patirono i lager italiani e morirono a migliaia e migliaia di stenti. Fare della Shoah solo una esclusiva particolare per gli ebrei è inaccettabile specialmente quando ci si serve dell'Olocausto per legittimare le atrocità contro i palestinesi.
Pietro Ancona
pietroancona@tin.it
Provo disgusto nel notare come le vittime dell'antisemitismo siano da sempre dipinte come vittime del nazionalsocialismo, dimenticando completamente quello che fece Stalin, antisemita da sempre. A partire dalla fine della guerra fino al 1953 vi fu nell'Unione Sovietica il completamento di quel disegno che Hitler aveva lasciato incompleto.
L'antisemitismo di Stalin iniziò già negli anni Venti quando scalò il potere eliminando la cosiddetta «opposizione di sinistra», composta effettivamente da membri ebrei del Partito, basti pensare a Zinovev e Kamenev.
Rolando Spinelli
rol.spinelli@libero.it Cari lettori,
Quando il Parlamento discusse la proposta di legge per l'istituzione di un giorno della memoria dedicato al genocidio ebraico, sostenni che l'iniziativa avrebbe avuto l'effetto di suscitare la gelosia di altre vittime e di risvegliare antichi rancori. Temevo che vi sarebbe stata una corsa alla memoria durante la quale molti gruppi nazionali e religiosi avrebbero preteso di ricevere lo stesso riconoscimento. Alcuni di essi sono riusciti ad avere il loro «giorno». Ma a giudicare dalle vostre lettere i miei timori si sono realizzati. Quella che doveva essere una doverosa manifestazione di umana pietà ha finito per risvegliare il ricordo di altre sofferenze e di creare fra di esse una sorta di indecorosa competizione. Non è questo, ne sono certo, l'obiettivo che gli autori della iniziativa si erano proposti. Ma questo è stato il risultato.
Ve n'è stato un altro, ancora più grave. Il giorno della Shoah, celebrato nella data della liberazione di Auschwitz, ha sostituito il giorno dei morti ed è diventato l'unica data comune al calendario ufficiale della maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea. Non abbiamo una festa europea con cui celebrare le nostre glorie e la nostra unità. Abbiamo invece una comune giornata del dolore. Non avrei nulla da obiettare se questa giornata del dolore, per il modo in cui è intesa da alcuni ambienti ebraici, non fosse contemporaneamente una giornata del pentimento. Non viene chiesto agli europei di ricordare, ma di confessare le proprie responsabilità, di ammettere le proprie colpe, di ripetere ogni anno il loro «confiteor», di promettere che «non lo faranno più». Tralascio il problema della responsabilità collettiva (una tesi che sa terribilmente di razzismo) e mi chiedo quale potrà essere la coscienza civile delle generazioni a cui sarà stato insegnato, negli anni della scuola, che i loro nonni e i loro padri sono stati aguzzini, «volonterosi collaboratori di Hitler» o, nella migliore delle ipotesi, testimoni e complici di un dramma di fronte al quale hanno dato prova di insensibilità e cinismo. Le grandi ricorrenze servono a cementare sentimenti di appartenenza, di solidarietà e di orgoglio. Questa rischia invece di iniettare nelle vene dei giovani europei un sentimento di disprezzo per il Paese a cui appartengono e per le generazioni che li hanno preceduti. Non ne propongo l'abolizione. Ma vorrei che l'anno prossimo venisse celebrata con maggiore discrezione, senza il conformismo di tutti coloro che fanno a gara per essere in prima linea a battersi il petto.
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