Angelo D'Orsi ritorna sulle sue ossessioni: la condanna dell'autodifesa di Israele, un'inesistente strumentalizzazione della Shoah e le attribuisce a Pierre Vidal-Naquet
Testata: La Stampa Data: 29 gennaio 2009 Pagina: 36 Autore: Angelo D'Orsi Titolo: «Vidal-Naquet ebreo contro l’uso politico della Shoah»
Su La STAMPA del 29 gennaio 2009, Angelo D'orsi strumentalizza le parole di Pierre Vidal-Naquet per denunciare a sua volta un'inesistente sfruttamento della Shoah in favore dei governi israeliani e per condannare l'autodifesa dello Stato ebraico contro Hamas. Ecco il testo: Vidal-Naquet ebreo contro l’uso politico della Shoah, pagina 36:
Sono trascorsi un paio d’anni dalla scomparsa di Pierre Vidal-Naquet, rara figura di studioso che seppe dare un senso civile al proprio lavoro. La preziosa edizione italiana dei suoi Saggi sul revisionismo e la Shoah, arricchito da un’Introduzione di Giovanni Miccoli (Gli assassini della memoria, Viella Editrice), può essere un eccellente viatico alla conoscenza di questo storico, che spaziò dall’antichità greco-romana al dibattito sulla «veridicità» delle camere a gas. Vidal-Naquet sommava la capacità del ricercatore alla passione di un testimone del tempo, coinvolto come vittima sia pur indiretta della Shoah. Non a caso il libro è dedicato a sua madre, Marguerite, «eternamente giovane», finita nei forni di Auschwitz nel 1944, a 35 anni. Anche suo padre, ebreo laico e militante comunista, fu strappato alla vita dai nazisti, torturato, prima di essere ucciso. Solo negli anni 60 Pierre, partecipe di tutte le battaglie civili del suo tempo, in difesa della libertà e della verità (dalla guerra d’Algeria al colpo di Stato dei colonnelli greci), prese coscienza della questione ebraica. Senza abbandonare il campo specifico di ricerca (l’antichità), cominciò a occuparsi dello sterminio di un popolo a cui egli fino ad allora non si era sentito particolarmente legato. Si imbatté quindi nelle correnti «revisionistiche» (ossia «negazioniste»), che provavano a revocare in dubbio la volontà genocidaria del nazismo, e la stessa esistenza di un apparato tecnico-industriale per realizzare la «soluzione finale» della Judenfrage, il «fastidioso» problema della presenza ebraica. Certo, le vittime non furono solo gli ebrei, ma zingari, prigionieri russi, slavi, minorati ecc. Tuttavia, avendo i negazionisti concentrato il loro zelo nel «dimostrare l’impostura delle camere a gas», soltanto in relazione agli ebrei, egli si convinse che dietro l’operazione stava il riaffiorare dell’antisemitismo e una rivalutazione dell’hitlerismo. Fu così che si fece ebreo «per volontà» e «per riflessione». E si dedicò a smontare le «argomentazioni» dei negazionisti. La sua fu un’operazione «di metodologia storica», volta a smascherare le pratiche degli «assassini della memoria», gli «Eichmann di carta», i quali, con argomenti sofistici (non certo sofisticati), pretendevano dimostrare che le camere a gas erano solo una «diceria». I saggi qui raccolti sono esempio di una straordinaria «anatomia della menzogna». Eppure criticò, e duramente, le politiche di Israele, denunciando «l’uso politico della Shoah» e la «tentazione sudafricana» che è «al cuore dell’ideologia sionista», ponendosi nella difficile condizione di chi ha la volontà di capire e dire la verità, a qualunque costo. Il che gli attirò l’ostilità di larga parte del mondo israeliano, benché affermasse che gli era «insopportabile» l’idea della cancellazione dello Stato di Israele; soggiungendo, con l’attitudine di chi parteggia non per un partito, una nazione, un’etnia, bensì per il principio della verità: «ma l’idea di uno Stato ebraico dove l’esercito ordina di sparare contro i bambini, apre il fuoco in una moschea, è forse sopportabile?». Impossibile non cogliere la tragica attualità di questa domanda senza risposta.
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