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La Repubblica Rassegna Stampa
27.01.2009 Ritiro da Gaza, Autorità palestinese ? Per Lucio Caracciolo sono invenzioni
così può continuare a incolpare la "Grande Israele", che non esiste

Testata: La Repubblica
Data: 27 gennaio 2009
Pagina: 41
Autore: Lucio Caracciolo
Titolo: «Il buio oltre Gaza»
Da La REPUBBLICA del 27 gennaio 2009,  "Il buio oltre Gaza", di Lucio Caracciolo, stralcio dell'introduzione del numero di LIMES in edicola.

Per Caracciolo ogni colpa è di Israele, che persegue una politica di espansione territoriale e potrebbe, se solo volesse, realizzare la pace.
Che Hamas voglia distruggerla non conta. La pace, per Caracciolo, non la fanno due contendenti, accordandosi, ma il contendente più forte, Suicidandosi ?

Ecco il testo:


La farsa dei due Stati finisce nella tragedia dello Stato con due ghetti. La guerra di Gaza sigilla questa provvisoria realtà. Fra Mediterraneo e Giordano regna un solo Stato, quello ebraico. Alla sua periferia Sud, la gabbia di Gaza. O meglio le sue macerie, amministrate da quel che resta di Hamas e contese fra bande rivali. A cominciare da al-Fath, titolare del tragicomico marchio "Autorità nazionale palestinese". A tale non autorevole autorità di una non-nazione Gerusalemme ha subappaltato la pseudo-Palestina orientale: i coriandoli della Cisgiordania tagliati dal Muro, sminuzzati da 630 posti di blocco israeliani, pressati dalle colonie ebraiche in espansione. Israele spera di reinsediare prima o poi nella Striscia il pallido leader dell´Anp, Abu Mazen, che durante la battaglia di Gaza tifava per il nemico israeliano contro i "connazionali" di Hamas. Ossia contro coloro che Israele oggi considera terroristi e che a suo tempo incentivò come spina nel fianco dell´allora terrorista Arafat.
Da tale intreccio di contraddizioni deriva un paradosso geopolitico. Nell´ex Mandato britannico domina un Grande Israele - informale e più che imperfetto - vestito da Piccolo Israele, peraltro incompiuto. (�) Resta il dilemma esistenziale: se Gerusalemme formalizzasse il Grande Israele "dal fiume al mare", in quanto territorio che Dio ha assegnato agli ebrei, sancirebbe la morte del sionismo, dato che in quello spazio gli abitanti di ceppo ebraico stanno diventando minoranza; se battezzasse una mini-Palestina in tutta la Cisgiordania o quasi più Gaza, rischierebbe la guerra civile, con i coloni a difendersi dalle truppe chiamate a sgombrarli, sulla cui fedeltà in un simile frangente nessuno potrebbe giurare. (�)
Come disegnare un orizzonte di speranza? Dai palestinesi c´è poco da aspettarsi, finché non avranno suturato le ferite intestine e scelto un solo capo per tutti, autorevole e credibile. Nell´attesa, la questione palestinese resterà un dramma umanitario. Non una priorità geopolitica per gli attori che contano. Invece di ottenere uno staterello, quel popolo disperato finirà forse sotto un protettorato internazionale. Perpetuando il senso di un´ingiustizia che oggi può commuovere ma non mobilita davvero nessun governo. Mentre nella regione e nel mondo si diffonde l´epidemia di antisemitismo e di contrapposta (talvolta parallela) islamofobia. A meno che.
A meno che Israele - la parte oggi più forte che domani rischia di diventare più debole, se non di scomparire - si assuma le responsabilità che gli spettano. Gli israeliani potrebbero capire che se i palestinesi hanno perso loro hanno vinto. E come tutti i vincitori sono responsabili dei vinti. Con i quali conviene essere generosi finché sono deboli, anziché doverli poi fronteggiare come avanguardia di un nemico che volesse liquidare lo Stato ebraico.
«Il tempo è venuto di dire queste cose. Israele è il paese più forte nel Medio Oriente. Possiamo affrontare ciascuno dei nostri nemici o tutti i nostri nemici messi insieme e vincere. Ma io mi chiedo, che cosa succede quando vinciamo? Prima di tutto, dobbiamo pagare un prezzo doloroso. Dobbiamo trovare un accordo con i palestinesi, ritirandoci da tutti, o quasi tutti, i Territori. Una percentuale di quelle terre rimarrebbe nelle nostre mani, in cambio dobbiamo dare ai palestinesi la stessa percentuale (di territorio israeliano, ndr). Senza di questo non c´è pace». Così parlava Ehud Olmert, da anatra più che zoppa, pochi mesi prima di Piombo Fuso. E spiegava che Israele dovrebbe permettere alla Palestina di installare la sua capitale a Gerusalemme, divisa perché lo Stato ebraico non vuole integrarne gli arabi, mentre il Golan tornerebbe alla Siria. Un sogno di pace. Impossibile finché prevarranno quei generali che secondo Olmert «non hanno imparato nulla» e «continuano a vivere ai tempi della guerra d´indipendenza e della campagna del Sinai. Con loro è tutta questione di carri armati, di controllare territori o di territori controllati, di tenere questa o quella collina. Roba senza valore».
Se il nuovo leader israeliano parlerà così e agirà di conseguenza, all´inizio e non alla fine del suo mandato, oltre Gaza torneremo forse a intravvedere una luce. Forse.

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