Così la Shoah divenne possibile Susanna Nirenstein intervista lo storico Georges Bensoussan
Testata: La Repubblica Data: 26 gennaio 2009 Pagina: 31 Autore: Susanna Nirenstein Titolo: «Le radici dell'Olocausto»
Da pagina 31 de La REPUBBLICA del 26 gennaio 2009, l'intervista di Susanna Nirenstein allo storico George Bensoussan, "Le radici dell'Olocausto":
Una genealogia della Shoah. La traccia arditamente Georges Bensoussan nel suo Genocidio. Una passione europea (Marsilio, pagg. 388, euro 21), individuando i semi già attivi nell´Ottocento e nel Settecento, i secoli della ragione e del progresso, da cui è nata la pianta totalitaria e omicida del Novecento. Un´operazione complessa, anche se lui stesso avverte, riprendendo un proverbio cinese, come «conoscere la fine non aiuti a comprendere l´inizio». Ma troppo grande è lo sconcerto per la distruzione degli ebrei nel cuore del mondo occidentale e questa opera di archeologia alla ricerca delle fonti della barbarie è generosa e piena di spunti. Andando a ritroso dunque, tre sono i filoni che lo storico delle idee, già autore di un monumentale lavoro sul sionismo a cui è stato conferito a Parigi il "Prix Mémoire de la Shoah", segnala ed esplora: la natura di guerra totale del primo conflitto mondiale, concepita dai suoi protagonisti, primi fra tutti i tedeschi - ma non solo -, come una via per "l´igiene del mondo" da percorrere attraverso tutti i mezzi possibili (la Germania vi introdusse gas, campi di concentramento dove affamare e picchiare i prigionieri, utilizzo dei cadaveri per riempire i fossati...). Una visione, argomenta Bensoussan, resa possibile (e qui andiamo di nuovo all´indietro) dal darwinismo sociale sviluppato nell´XIX secolo che indica via via classi, gruppi (i malati), popoli, razze inferiori che devono soccombere: teorie nate all´interno dell´anti-illuminismo da cui derivano in generale un colonialismo predatore e razzista (vedi la soppressione degli Herrero, piuttosto che degli armeni), l´eugenetica della sterilizzazione dei malati gravi (già votata ad esempio nella Repubblica di Weimar). L´antisemitismo infine: che Bensoussan giustamente associa all´antigiudaismo coltivato e agito secolarmente dalle Chiese cattolica e protestante, radicato sì nell´idea del "popolo deicida" ma, fin dalla fine del I millennio, evoluto in una dimensione razziale come dimostra l´ossessione per la purezza del sangue che perseguitò gli ebrei anche se convertiti. Monsieur Bensoussan, dunque per lei esiste una sorta di gestazione unica, intellettuale ma non solo, dello sterminio biologico degli ebrei d´Europa. È così? «No, non esiste una causalità lineare che conduca alla Shoah. Non esistono delle "cause". Ma un terreno culturale che prepara gli intelletti e li condiziona». La prima matrice del "disastro" è la Prima Guerra Mondiale, ma non tanto per il risentimento e la sete di riparazione che lasciò in Germania, quanto per come venne concepita e condotta. «Fu una tappa verso la guerra totale che non distinse tra militari e civili. Questa concezione del conflitto come "igiene del mondo" si coniugava con il sogno di un´umanità sottomessa unicamente alle leggi della scienza. Non fu appannaggio della sola Germania che però, per prima in Europa, ha introdotto alcune forme di annientamento totale. Ed è sempre la Germania che fin dal 1925 ha accolto l´insegnamento dell´igiene razziale nelle università tedesche» La Germania durante la Prima Guerra concepì già l´Europa orientale come il suo "spazio vitale", il lebensbraun nazista, abitato solo da barbari e primitivi? «Da tempo la Germania, attraverso le Leghe pangermaniste nate alla fine del XIX sec., pensava l´Est come un suo spazio naturale di espansione. Il disprezzo verso gli slavi era radicato. Allo scoppio del conflitto lo sguardo dei tedeschi su di loro è come quello del colonizzatore bianco che sbarca in Africa. Slavi ed ebrei gli appaiono popoli degenerati. Gli ebrei, per di più, vengono percepiti come pericolosi, specie dopo l´enorme flusso migratorio che li aveva condotti in Germania e Austria nell´ultima parte dell´Ottocento». Nel riavvolgimento di questo nastro dell´orrore, lei rammenta lo sterminio degli Herrero (nelle colonie africane tedesche), ma più in generale il capitolo del colonialismo come un´altra tappa verso la concezione dell´esistenza di sotto uomini la cui vita non aveva alcun valore. E parla molto della responsabilità del darwinismo sociale. Ci può spiegare meglio? «Ci fu un uso distorto della scienza. I successi ottenuti dalla biologia non furono sinonimi della costituzione del biopotere che considera l´uomo innanzitutto un essere vivente e non pensante, segnando così la fine della sua centralità. Anche se il darwinismo sociale e razziale ha impregnato i paesi sviluppati di quest´epoca, solo alcuni di loro hanno spazzato via le barriere etiche che fondano la nostra civiltà». Al di là dei principi di selezione e sterminio che presero piede in Europa tra Ottocento e Novecento, cosa scattò perché questi divenissero realtà massificata, Shoah? «L´idea di selezione, ovvero di sterminio, è all´origine di un razzismo moderno che si basa su studi scientifici distorti. Quest´idea è inseparabile dall´Europa della rivoluzione urbana e industriale e del colonialismo che rimette in discussione l´eredità biblica e dell´Illuminismo per giustificare la sua impresa di dominio. Se si dimentica questa realtà, il trionfo del nazismo appare come un incidente incomprensibile. Come un sotto prodotto del periodo 1914-1918, della pace di Versailles o della Depressione. Una spiegazione davvero riduttiva anche se quei fatti storici hanno contribuito a tessere il dramma. Ma senza quel contesto anti-illuministico che in Germania assunse una forma più violenta che altrove, senza il movimento völkisch, il pangermanesimo, il luteranesimo non si capirebbe Hitler. E nemmeno senza lo studio della tradizione di obbedienza all´autorità, qualunque essa sia, o delle strutture del potere e della famiglia che caratterizzano la società tedesca. Nessuna spiegazione vale senza genealogia, che non costituisce da sola una interpretazione: perché il nazismo resta una rottura nella tradizione politica dell´Occidente. Fare l´archeologia del disastro non deve nascondere questa verità». Dal Settecento all´anno Mille e prima, sono le Chiese a portare lo stendardo della demonizzazione di ebrei, omosessuali, streghe... «Ogni piccolo europeo si è nutrito fin dalla più tenera età di un antigiudaismo dottrinario che si è depositato strato dopo strato negli intelletti. Un gruppo esiste solo a condizione di espellere da sé il proprio odio per proiettarli su un gruppo-vittima. I lebbrosi, gli ebrei, i devianti sessuali e le donne, costituiscono delle declinazioni di un´identica cultura del diavolo». C´è differenza tra antigiudaismo e antisemitismo? «Il termine antisemitismo fu coniato nel 1879 in Germania, e lascia intendere che esista una razza semita, quando invece esistono solo delle lingue semitiche. È una versione secolarizzata della giudeofobia. L´antisemita cammina nel solco della tradizione antiebraica della Chiesa, dalla quale si discosta appena. Se il rigetto basato sulla fede lascia una porta aperta all´ebreo perseguitato, il rifiuto basato sulla razza chiude tutte le vie d´uscita. Il sangue non si può cambiare. Rimane il fatto che dal XV secolo, la tradizione spagnola, l´interrogativo sull´ascendenza famigliare del convertito costituisce il primo passo verso il razzismo moderno». Perché la teoria cospirativa che ha perseguitato l´ebreo europeo oggi è passata, più o meno tale e quale, nel mondo islamico? «Numerosi modelli anti-ebraici propri del mondo cristiano sono passati oggi al mondo musulmano che nel XIX secolo ignorava l´accusa del crimine rituale, dell´avvelenamento dell´acqua, del complotto. Sono stati introdotti dalle congregazioni cristiane, e infatti allora erano gli arabi cristiani i più ostili agli ebrei. Ma le frustrazioni e i risentimenti che i paesi arabi islamici svilupperanno nei confronti del mondo occidentale nel XX secolo favoriscono la cristallizzazione di un potente antisemitismo. L´assenza di una rivoluzione illuministica, in grado di cambiare le mentalità che continua a ignorare la secolarizzazione e la laicità, rafforzata da un sentimento di umiliazione di una cultura a lungo dominatrice, sono elementi che spingono a non sopportare l´idea che l´"ebreo", creatura disprezzata, si emancipi dalla condizione di dhimmi, inferiore, a cui era relegato negli stati musulmani. La sua "uguaglianza" è vissuta come un´arroganza insopportabile. Il sionismo e Israele verranno a sovrapporsi a questo sentimento di umiliazione, dando il colpo di grazia a questo ethos dominatore. Così come l´hitlerismo aveva fatto dell´ebreo lo specchio dello smarrimento esistenziale dello spirito tedesco, e al contempo l´opposto della propria identità, il musulmano di oggi ha bisogno di Israele per esprimere le proprie contraddizioni verso il mondo moderno». Quanto è pericoloso tutto questo? «La letteratura politica di quel mondo, penso a Hamas e Hezbollah in particolare, all´Iran, è un incitamento al genocidio. Se preferiamo dar retta a quel potente bisogno che ha l´essere umano di essere rassicurato, ci si può persuadere che "tanto le cose finiranno per sistemarsi". Ma la storia è tragica e radicale».