Membro del gruppo che sequestrò l'Achille Lauro e uccise Leon Klinghoffer, il terrorista palestinese Abdellatifh Fatayer è libero, ma, pare, in fuga, da imprecisate minacce.
L'articolo di Nicolò Zancan "In fuga per l'Italia un terrorista dell'Achille Lauro", pubblicato a pagina 19 da La STAMPA del 26 gennaio 2009, esprime preoccupazione per la sua sorte, e di fatto suggerisce l'opportunità di concedergli la cittadinanza.
Una decisione che sarebbe stata e sarebbe un'ennesimo sfregio alla memoria della vera vittima, per la quale il nostro paese, fin dall'inizio, quando si permise la fuga del mandante Abu Ababs, il nostro paese non ha voluto fare giustizia.
Ecco il testo:
Al bar Portasole di via Alessi, nel centro storico di salite strette e negozi di lusso, Ibrahim Abdellatifh Fatayer beveva il cappuccino e raccontava a tutti la sua storia: «Eravamo una famiglia felice, mio padre faceva il macellaio. I militari l’hanno ucciso sotto i miei occhi quando avevo nove anni. Ho perso tutti i parenti nella guerra del Libano. Per questo sono diventato un terrorista, volevo riprendermi quello che mi avevano tolto». Il gestore del bar, Vincenzo Carioti, lo ricorda senza imbarazzo: «Una brava persona. Dormiva qui dietro, in un alloggio della Caritas. Cercava lavoro ma non lo trovava. Voleva rifarsi una vita ma non ci riusciva. Passava tutte le mattina per colazione, prima di incominciare i suoi vagabondaggi». Ora però Fatayer, il più giovane dirottatore dell’Achille Lauro, non passa più. Quello che ha fatto è noto, il suo presente è un giallo.
Nel 1985 aveva vent’anni. Era nel commando del Fronte per la liberazione della Palestina di Abu Abbas. Si imbarcarono in quattro sulla nave da crociera italiana. Il passeggero statunitense di origine ebraica Leon Klinghoffer, costretto su una sedia a rotelle, fu ucciso a sangue freddo. Il cadavere gettato in mare. Dopo vent’anni anni di carcere, tre di libertà vigilata a Perugia, un provvedimento di espulsione difficile da eseguire - Fatayer è nato in Libano nel campo profughi bombardato e raso al suolo di Tal Al Zatar - sembra sparito. Un fantasma. Forse in fuga. Ultimo avvistamento certo, all’uscita dal centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria a Roma, agosto 2008. Scaduti i termini per il trattenimento, è tornato in libertà. Ma libero di cosa? Palestinese senza patria, ex terrorista ritenuto ancora socialmente pericoloso: sospeso, apolide, nel limbo.
L’avvocato Giuseppe Romeo: «Ho presentato richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Anche un’istanza al Presidente della Repubblica. Ma da tre mesi il telefono di Fatayer è staccato. Non l’ho più sentito. Non ho idea di dove possa essere andato. Però so con certezza che era molto preoccupato di doversi guardare le spalle». Il vicequestore Francesco Barba, dirigente della Digos di Perugia all’epoca dei fatti: «L’espulsione era un atto dovuto, non c’erano margini di discrezionalità. Fatayer si è macchiato di reati così gravi che il nostro ordinamento non prevede la possibilità di concedergli il permesso di soggiorno. Per questo lo abbiamo accompagnato al Cpt di Roma. E, per quanto ne so io, l’espulsione è ancora in corso di esecuzione». In teoria. In pratica Fatayer sembra inghiottito dal vuoto giurisdizionale in cui è precipitato.
Non vive più a Perugia. Non risponde al vecchio numero. Non rilascia più interviste per radio e network filopalestinesi: «Ho passato tutta la mia vita in Italia, chiedo solo una possibilità. Quello che mi stanno facendo non è giusto». Ha smesso di ragionare pubblicamente sul suo passato: «Eravamo troppo giovani e troppo arrabbiati. Il dirottamento dell’Achille Lauro non era in programma. Volevamo entrare in Israele utilizzando la nave italiana come mezzo di trasporto, per poi lanciare un attacco contro una base militare. L’omicidio di Leon Klinghoffer è stato un tragico errore. Non sono stato io a sparare. Ma credo comunque di avere pagato le conseguenze di quella tragedia».
Vent’anni di buona condotta. In carcere Ibrahim Abdellatifh Fatayer ha studiato. Nel 2000 si è pubblicamente dissociato dalla lotta armata. Ha chiesto la grazia, ma gli è stata negata. Ancora nel 2004 è stato interrogato dall’Fbi. Tutti i servizi segreti sono interessati alla sua storia. Ma nessuno Stato sembra disposto a concedergli una residenza.
A Perugia Fatayer ha lavorato nel ristorante arabo di Mustafa Shalabi, a pochi passi dal vecchio Tribunale: «Mi aiutava con il kebab. Puntuale, serio. Con me si è sempre comportato molto correttamente». Tifava Inter, cucinava bene, sognava di avere dei figli e mettere radici. E proprio le sue radici italiane, adesso, forse lo hanno tradito. Perché Fatayer avrebbe chiamato il suo amico Alì, tunisino, per due anni compagno di stanza: «Mi ha detto che vive in Algeria, ma non vuole parlare con nessuno. Ha paura della sua ombra». Destinazione confermata anche da un altro testimone. Noureddine, 36 anni, algerino, in cucina alla mensa della Facoltà di Agraria di Perugia: «Ho visto Fatayer ad Algeri il 10 gennaio. Non mi ha voluto dire niente di lui, ma stava bene». Ammesso che sia davvero così - c’è sempre un’ombra lunga che accompagna i passi di Fatayer - come sia finito in Algeria, attraverso quali protezioni e con quali prospettive, non è dato sapere.
«Io non l’ho più sentito e mi dispiace - dice il direttore della Caritas di Perugia, Lucio Gatti - l’Italia sta sbagliando. Ha voluto processarlo, l’ha tenuto in carcere per più di vent’anni, per poi dimenticarsi di lui. Credo che oggi Fatayer non sarebbe in grado di fare del male a una mosca. Ma sarebbe stato più giusto trovargli un modo di ricominciare qui. Più giusto e più sicuro».
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