Igor Man scatenato contro Israele che a Gaza avrebbe compiuto una spietata "spedizione punitiva"
Testata: La Stampa Data: 23 gennaio 2009 Pagina: 28 Autore: Igor Man Titolo: «A Gaza come a Baghdad»
"Spedizione punitiva","bombe omicide", quasi una "guerra coloniale". Sulla STAMPA del 23 gennaio 2009, Igor Man qualifica così , a pagina 28, la risposta israeliana al terrorismo di Hamas.
Gran parte dell'articolo è dedicato a un paragone con la bomba americana che colpì un bunker iracheno durante la prima guerra del Golfo, uccidendo diversi civili, definita "ordigno stragista ".
Certo, Igor Man non scrive da nessuna parte che Israele uccide intenzionalmente civili palestinesi. Il lessico scelto, le drammatiche descrizioni dell'episodio di Baghdad tendono però, innevitabilmente, a duggerire proprio questo.
Quel che resta della lettura di questo articolo è appunto l'immagine (falsa) di un Israele "stragista", "omicida", "coloniale" che con brutalità "punisce" i palestinesi.
Ecco il testo: "A Gaza come a Baghdad"
I bambini palestinesi nati a Gaza sotto le bombe omicide, diventeranno terroristi? È questo il destino che li aspetta? Non si riesce a immaginare altro destino per chi col latte succhia odio. La spedizione punitiva chiamata «piombo fuso» si è fermata: non sappiamo ancora se per un’ingannevole tregua ovvero per l’ennesimo «tavolo» affidato a scettici sherpa incaricati di abbozzare una messa in scena sulla falsariga di Annapolis. Israele, in forza della sicurezza, aveva vietato alla stampa mondiale di «coprire» la spedizione punitiva che ancorché non fosse «la guerra» bensì un frullato maledetto di battaglie, ha seminato lutti e danni, distrutto case e speranze, ma soprattutto ha seminato irriducibile odio. Epperò Israele, paese democratico, alla fine ha aperto alla stampa. E accade che l’ascensore della memoria conduca il Vecchio Cronista al 14 di febbraio del 1991, in piena (prima) Guerra del Golfo. Vediamo. Alla tv di Amman lo speaker piange sulle immagini venute da Baghdad: è «la strage del bunker» che ha sfranto il mito giovine della «guerra chirurgica». «Fermate il genocidio...», urla lo speaker. È il telegiornale delle 19, il più seguito al di qua, al di là del Giordano. La guerra pressoché senza immagini ha ora un’immagine antica: la morte degli innocenti. Sarebbe importante sapere se quel bunker fosse davvero un obiettivo militare centrato con precisione chirurgica da una «bomba intelligente» ovvero un rifugio destinato ai civili, insomma un bunker non intelligente. (Ancora oggi il massacro è la sola realtà che abbiamo). Nemmeno Dario Argento avrebbe potuto inventare immagini tanto crudeli da apparire mostruose più di quelle cinematografiche: il tronco d’un ragazzo pietrificato dalla morte subitanea, il capo riverso, la bocca spalancata dall’urlo dello spasimo finale (ancora una volta ritorna l’Urlo di Munch a far da logo), le mani a cercare le gambe incenerite. Due mani di donna giovine, due mani soltanto a galleggiare, incrociate, sul grembo sostituito da un grumo di antracite. Allora, nel 1991, quella bomba intelligente, l’ordigno perfetto guidato dal laser, attraversò due spessi strati di cemento e di acciaio giungendo con tragica precisione al punto prestabilito «trovato pieno di donne e bambini». Quell’ ordigno stragista non colpì al cuore lo spumeggiare un po’ fatuo del linguaggio di guerra. Triple A (la contraerea), target of opportunity (bersaglio grosso), CD (collateral damage, cioè vittime civili). Ancora pochi giorni fa, a Gaza, sinistramente volavano ordigni portatori di collateral damage: donne e bambini che Israele sosteneva fossero diventati parabersagli per il satanico volere dei miliziani di Hamas. Ora supponiamo (è facile) che «piombo fuso» abbia centrato tutti gli obiettivi indicati dallo stato maggiore. Il problema è un altro. Antichissimo. Il problema è, sarà, vincere la pace. Jacques Berque ha scritto: «Nessuno ha capito che le guerre coloniali hanno una particolarità: vincerle è peggio che perderle. E più la vittoria è schiacciante, più diventa inutile». La lunga guerra, gravida di infinite vittorie ma laboratorio di odio indotto, questo eterno combattimento di sopravvivenza che Israele persegue (e vince) non è proprio una guerra coloniale ma per il resto penso che Jacques Berque abbia ragione.
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