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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Anna Mitgutsch La voce del deserto 22/01/2009

La voce del deserto                       Anna Mitgutsch

 

 

Traduzione di Paola Buscagliene Candela

 

 

Giuntina                                        Euro 15,00

 Critica letteraria e scrittrice austriaca Anna Mitgutsch è l’autrice del bel romanzo che la casa editrice Giuntina pubblica nella nuova Collana Diaspora dal titolo “La voce del deserto”.

Dopo gli studi di anglistica e germanistica all’Università di Salisburgo ottiene incarichi di insegnamento in università sia austriache che straniere ma è solo dal 1985, anno in cui si impone agli occhi del pubblico e della critica con il romanzo “Tua madre era come te” – in Italia edito da Feltrinelli – che si dedica esclusivamente all’attività letteraria. Si converte all’ebraismo dopo il matrimonio con un uomo di fede ebraica.

Filo conduttore del romanzo di Anna Mitgutsch è la ricerca delle proprie radici, la riscoperta dell’identità ebraica, un sottile legame mai estinto che porterà Dvora, voce narrante del romanzo, a tornare periodicamente in Israele. L’infanzia di Dvora (il cui nome sul passaporto è Hildegard) trascorre accanto a una madre fredda ed “estranea” che non accetta la parte ebraica di sé e a un padre che seppur non appartenente al partito nazista combatte nelle fila della Werhmacht.

E’ dunque la nonna Rivka la figura determinante nella vita della piccola Dvrora, quella nonna che pur avendo vissuto come cristiana non rinnega le proprie radici e in punto di morte chiede che le venga recitato il kaddish. “…Quando rievoco i primi, fuggevoli ricordi di sicurezza affettiva li identifico con il suo viso….con le sue mani morbide, a lungo risparmiate dall’età…se la nonna Beatrice-Rivka non fosse stata la persona più importante della mia infanzia, forse oggi sarei in tutt’altro luogo..”

In Israele Dvora arriva anche per cercare la zia Martha, cugina della nonna, scomparsa durante le persecuzioni naziste lasciando nel cuore dei suoi familiari la speranza che fosse riuscita a salvarsi e a emigrare in Palestina.

E’ da Channa, amica della nonna Rivka, che Dvora si reca nella speranza di trovare una traccia che possa condurla a Martha, una zia mai conosciuta alla quale assomiglia in modo particolare.

Channa che si definisce “sionista” è ormai una donna anziana, dolce e generosa; sfuggita all’orrore dei campi di sterminio, vive ora a Gerusalemme nel quartiere di Kiryat Yovel e con una sensibilità fuori dal comune ascolta i turbamenti che agitano l’animo di Dvora, offrendole consigli che nascono dall’esperienza e condividendo ricordi dolorosi della sua gioventù; da queste memorie a lungo taciute emerge con forza sia l’indicibile sofferenza per la perdita dei genitori, sia l’amara consapevolezza che nessuna pace sarà mai possibile con gli arabi.

In questo percorso di ricerca, irrequieto e conflittuale al contempo, Dvora incontra una galleria di personaggi simpatici, generosi, affascinanti, misteriosi e intriganti. Ad alcuni si legherà con un rapporto sentimentale, come a Gilbert incontrato nel suo primo viaggio in Israele e con il quale ha vissuto per qualche tempo nel kibbutz di Ashkelon, oppure ad Alwin, un amico d’infanzia che sposerà ma dal quale si separerà dopo solo un anno di convivenza non appena arrivati in Israele, sconcertata dalle sue tesi antisemite ed infine a Sivan, giovane inquietante, a volte galante a volte aggressivo, che spacciandosi per armeno coinvolge Dvora in una rete di progetti spionistici, le cui trame si riveleranno al lettore solo al termine del romanzo.

Intensi sono i rapporti di amicizia che la giovane donna instaura con Nurit di origini iraniane in procinto di partire per l’India, con Eli, un tempo studente di medicina dal carattere franco e onesto, che ora vive con la moglie e i figli a Gerusalemme est e con la franchezza che lo caratterizza esprime il suo giudizio impietoso sugli arabi: “…ci sono cresciuto assieme, non li odio, ma di loro non ci si può fidare…”

Un tema che pervade tutta la narrazione è una sorta di sfiducia, di inquietudine e diffidenza che, sempre latente nella quotidianità fra arabi ed ebrei, può esplodere per una frase, un gesto male interpretato compromettendo inesorabilmente i già difficili rapporti fra i due popoli.

I personaggi mirabilmente tratteggiati e la trama delineata con maestria e arricchita dalla suspense di una spy story hanno una cornice d’eccezione, Gerusalemme, città dai mille volti e dalle mille identità che appare agli occhi del lettore nel fascino degli “stretti vicoli senza finestre”, nelle case di pietra bianca, nelle “acacie e cespugli di ginestra che bordano la strada”.

Gerusalemme è anche il luogo dove “tutti agganciano le loro speranze inespresse…e solo davanti al suo panorama le loro storie e i loro piccoli passati iniziano a risplendere e ad acquistare un senso”.

Il ruolo dell’artista – scrive Tolstoj – è trasmettere al lettore un’esperienza umana, una sensazione, un sentimento, in modo che il lettore possa riconoscerlo come proprio.

Un compito che l’autrice di “La voce del deserto” è riuscita a realizzare in modo perfetto, regalandoci una storia a tratti provocatoria ma narrata con misurata, discreta, spesso poetica dolcezza.

Giorgia Greco


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