Sul diritto alla patria dei palestinesi Sergio Romano non racconta la storia per intero omettendo il rifiuto della spartizione e l'aggressione a Israele nel 1948
Testata: Corriere della Sera Data: 22 gennaio 2009 Pagina: 55 Autore: Sergio Romano Titolo: «Israele e i palestinesi. Il giudizio dei partiti europei»
Sergio Romano a pagina 55 del CORRIERE della SERA del22 gennaio 2009 ("Israele e i palestinesi. Il giudizio dei partiti europei", pagina 55), rispondendo a un lettore sulle inclinazioni filopalestinesi di governi e partiti palestinesi, le attribuisce a una molteplicità di fattori, tra i quali le "forti simpatie per la causa di un popolo che aveva, non meno degli ebrei, diritto a una patria". Si tratta di una ricostruzione storica assolutamente lacunosa. Occorre ricordare che la patria cui avevano diritto, i palestinesi potevano averla nel 48, accettando il piano di spartizione dell'Onu. Non lo fecero, preferendo farsi guidare dai loro capi a una guerra disastrosa, perché negarono agli ebrei il diritto a una patria, e cercarono di distruggere Israele. La storia andrebbe dunque raccontata per intero: i filopalestinesi, di fatto, furono alleati di chi voleva la distruzione di Israele, molto più della creazione di un nuovo Stato.
Ecco il testo completo:
Con il nuovo conflitto scoppiato fra Israele e Hamas, sono riprese per l'ennesima volta le manifestazioni di piazza, che come di consueto sono sfociate in carattere politico. Ed ecco i dimostranti elettoralmente vicini al centrodestra sfilare per lo Stato ebraico e gli elettori di centrosinistra per il popolo palestinese. Mi sorprende che la destra sia filoisraeliana conoscendo la nostra storia passata; mi sorprende anche la sinistra pacifista che sfila, di fatto, in difesa dei kamikaze. Non c'è dell'incoerenza politica, da entrambe le parti, nella difesa dei rispettivi «alleati»? O anche, oserei, un errore stesso nella scelta di schieramento? Waleriano Karl Maria Paissan waleriano.paissan@ gmail.com
Caro Paissan, L ei pone un problema a cui è difficile rispondere nello spazio di cui dispongo. Posso soltanto tentare di darle qualche indicazione sommaria. L'atteggiamento verso Israele dei governi e dei partiti europei fu influenzato da una combinazione di considerazioni ideologiche, riflessi culturali e interessi nazionali. Quando Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato, le sinistre europee salutarono l'evento con soddisfazione. Per i socialisti e i socialdemocratici, Israele sembrava riflettere alcuni dei grandi ideali che avevano ispirato la loro politica nei decenni precedenti. Era il Paese delle cooperative agricole (i kibbutz), della «nazione in armi», dei sindacati; ed era governato da una classe dirigente allevata nelle organizzazioni di sinistra dell'Europa centro-orientale. Ma il governo laburista di Londra non volle pregiudicare i suoi rapporti con il mondo arabo e tenne un atteggiamento apparentemente neutrale, in realtà sospettoso e diffidente. Quando tornarono al potere i conservatori non modificarono sostanzialmente la politica britannica in Medio Oriente. I comunisti, dal canto loro, si allinearono sulla posizione dell'Urss. Il loro ragionamento fu elementare: se Stalin ritiene che il nuovo Stato possa nuocere all'imperialismo britannico in Medio Oriente, ben venga Israele. Per le democrazie cristiane europee il problema fu più complicato. Non potevano ignorare l'esistenza di una realtà nuova e comprendevano le aspirazioni degli ebrei cacciati dall'Europa. Ma sapevano che la Chiesa romana vedeva con timore la nascita di uno Stato ebraico nella terra dei Luoghi Santi: un sentimento che divenne ancora più forte quando la Santa Sede constatò che l'internazionalizzazione di Gerusalemme, auspicata dalla risoluzione dell'Onu, sarebbe diventata col passare del tempo sempre più improbabile. La crisi del Canale di Suez e la spedizione anglo-francese introdussero nella vicenda elementi nuovi. Francia e Gran Bretagna avevano due premier di diverso colore politico (socialista il francese, conservatore il britannico), ma uno stesso avversario: il colonnello egiziano Nasser. Si allearono con Israele perché, al di là di ogni preferenza ideologica o culturale, «i nemici dei miei nemici sono i miei amici ». Le democrazie cristiane stettero a guardare e quella italiana, in particolare, sperò trarre qualche vantaggio per il suo Paese, dopo il fallimento dell'operazione, dal declino dell'influenza francese e britannica nel mondo arabo. Negli anni seguenti, e soprattutto dopo la guerra arabo- israeliana del 1967, il Medio Oriente divenne un teatro periferico della Guerra fredda, il luogo dove ciascuna delle grandi potenze scelse il proprio alleato in funzione dei propri interessi. L'Urss decise di sostenere gli arabi e gli Stati Uniti strinsero con Israele un'alleanza che divenne col tempo sempre più salda. In Europa, invece, governi e partiti furono dominati da altre preoccupazioni. Constatarono la nascita di un movimento nazionale palestinese di cui non potevano ignorare l'esistenza. Temettero che la politica di Israele e i suoi ripetuti conflitti con il mondo arabo avrebbero nuociuto alle loro esigenze energetiche e pregiudicato la loro sicurezza. Furono filopalestinesi, con qualche eccezione, per una combinazione di interessi economici, preoccupazioni politiche e, in molti casi, forti simpatie per la causa di un popolo che aveva, non meno degli ebrei, diritto a una patria. Più recentemente, tuttavia, l'immigrazione arabo-musulmana e l'esistenza di un minaccioso terrorismo islamico hanno creato nelle società europee un sentimento anti-arabo che ha provocato, di rimbalzo, una indiretta simpatia per la causa israeliana. Credo che sia questa una delle principali ragioni per cui alcuni gruppi di destra proclamano il loro sostegno a Israele. Fanno, in modo più rozzo e sommario, lo stesso ragionamento dei governi di Francia e Gran Bretagna nel 1956: «I nemici dei miei nemici sono i miei amici ».
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