L'Iran cerca di riarmare Hamas mentre si riapre lo spazio politico per la trattativa tra Israele e Autorità palestinese
Testata: Il Foglio Data: 22 gennaio 2009 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «La grande caccia all’Iran Hedayat - La quiete dopo il Piombo fuso»
Dalla prima pagina del FOGLIO del 22 gennaio 2009, "La grande caccia all’Iran Hedayat ", sulla nave iraniana inviata a rifornire di armi Hamas
Il Cairo. Una nave iraniana viaggia verso l’Egitto con un carico segreto. Non è un mercantile come gli altri, come quelli che ogni giorno attraversano il Golfo Persico e quello di Aden, fra le coste della Somalia e la penisola araba. Perché questa nave non ha un nome e neppure una rotta precisa. I satelliti spia dell’esercito israeliano la osservano da quando ha lasciato Bandar Abbas, il quartier generale dei pasdaran. E’ partita con il nome di Iran Hedayat ma durante il tragitto ha cambiato identità e bandiera, come fanno gli agenti segreti: ora si chiama Famagustus e appartiene alla flotta panamense. Secondo l’intelligence di Gerusalemme trasporta armi destinate a quel che rimane di Hamas. Sessanta tonnellate di missili Grad e Fajr, lanciarazzi, esplosivo per fabbricare i Qassam, mine, fucili, pistole e pallottole. Anche le navi della Marina americana impegnate nella caccia ai pirati al largo della Somalia seguono i movimenti di questo vascello: è la prima fase dall’accordo firmato venerdì dal ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, e dall’ex segretario di stato di Washington, Condoleezza Rice, per interrompere i rifornimenti di armi alle milizie di Hamas. L’Iran Hedayat è un regalo ai terroristi partito nel momento sbagliato. Secondo gli autori di debka.com, un sito Internet vicino allo Shin Bet, il suo carico sarebbe dovuto finire nei depositi di Hamas distrutti dall’esercito di Israele durante l’operazione Piombo fuso. L’equipaggio avrebbe l’ordine di arrivare sino al Golfo di Suez e di consegnare i container a una delle bande armate che controllano la zona. La tappa successiva è el Arish, nel Sinai, uno degli snodi del contrabbando fra l’Egitto e la Striscia: le armi entrano a Gaza attraverso i tunnel che collegano le due parti di questo confine chiuso ormai da mesi. Il mercantile iraniano non è seguito soltanto dai satelliti di Israele. C’è anche l’Uss San Antonio, una nave americana che fa parte della Combined task force 151, il contingente internazionale arrivato nella regione per fermare i pirati somali. A bordo ci sono elicotteri, mezzi anfibi e squadre di pronto intervento. La San Antonio, dice debka.com, ha ricevuto questo incarico speciale dopo il vertice fra Rice e Livni. L’ultimo accordo dell’epoca Bush fra Washington e Gerusalemme ha un obiettivo preciso: mettere fine al traffico di armi che coinvolge l’Iran, Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza, come ha detto Rice al termine dell’incontro con il ministro israeliano. Il grosso del lavoro riguarda il confine fra l’Egitto e i Territori palestinesi. Gli Stati Uniti forniranno tecnologia e addestramento al personale impiegato lungo questa frontiera. Un team di genieri americani sarà a Rafah nei prossimi giorni per neutralizzare i tunnel dei guerriglieri. Il Cairo non vede positivamente la presenza di militari stranieri sul proprio territorio e il ministro degli Esteri, Ahmed Aboul Gheit, ha fatto sapere ieri che nessuna nave militare potrà entrare nelle acque territoriali egiziane. Il paese, però, accetterà aiuti economici per fermare il contrabbando di armi. Ieri Livni è volata a Bruxelles per coinvolgere anche i paesi europei. “Il fatto che l’Egitto, gli Stati Uniti e l’Unione europea riconoscano il ruolo svolto dall’Iran in questo traffico è un grande passo in avanti – ha detto ieri il ministro degli Esteri israeliano – Tutti concordano sul fatto che sia come sparare e che noi abbiamo il diritto di difenderci”. Per questo motivo, i confini della Striscia avranno un ruolo cruciale nel futuro del processo di pace. Secondo il commissario europeo per la Politica estera, Javier Solana, “aprire i valichi con Gaza è molto importante: dovremo lavorare con l’Egitto per ottenere un accordo”. Gli osservatori dell’Ue, dice Solana, sono pronti a tornare a Rafah, il posto di frontiera fra Egitto e Palestina abbandonato nel 2007. L’ok potrebbe arrivare domenica, al vertice sul medio oriente con i ministri di Egitto, Giordania, Turchia e Anp.
A pagina 13 del SOLE 24 ORE, nell'articolo "A Gaza riparte il business dei tunnel", Ugo Tramballi scrive appunto della riapertura dei tunnel per il contrabbando (compreso quello di armi) tra l'Egitto e Gaza.
A pagina 3, l'editoriale "La quiete dopo il Piombo fuso":
Il ritiro delle Forze armate israeliane dalla Striscia di Gaza dopo tre settimane conclude le operazioni belliche e apre la fase, per qualche aspetto più ardua, del consolidamento politico dei risultati raggiunti. Quali sono questi risultati? In primo luogo la riaffermazione del diritto di Israele di non subire bombardamenti di missili senza che questo provochi una reazione. La discussione sul carattere proporzionale o eccessivo di questa reazione è questione di lana caprina, quel che conta è che molte rampe siano state eliminate, molti capi del jihad colpiti, il sistema di approvvigionamento degli ordigni bloccato. Questo è il senso della “tregua permanente”, alla quale America ed Egitto si sono impegnati, e che era l’obiettivo politico diretto di Israele. D’altra parte il disegno di Hamas e dei suoi sostenitori iraniani, che consisteva nella sollevazione delle popolazioni musulmane contro i governi moderati accusati di connivenza con “il nemico sionista” non ha ottenuto risultati, nonostante il sostegno ottenuto da settori Una buona idea da Veltroni, ascoltarla dell’opinione pubblica occidentale. Resta naturalmente il problema della prospettiva negoziale, che non è stata ostruita dall’intervento su Gaza, visto che nessuno può pensare che un paese sovrano e militarmente robusto come Israele tratti sotto i bombardamenti. La “grande vittoria” annunciata rodomontescamente da Hamas non può nascondere il fallimento del suo progetto e il ritorno al dilemma che si pose quando, costituito un governo di unità palestinese, Hamas denunciò gli accordi con Fatah e si impadronì illegalmente con la violenza della Striscia. Se la comunità internazionale manterrà i suoi impegni e svolgerà le attività umanitarie a Gaza senza passare per il cosiddetto governo di Hamas, si tornerà a discutere di governo unitario palestinese, che in sostanza implica il riconoscimento dei trattati firmati dall’Olp, che riconoscono l’esistenza di Israele. E’ presto per stilare un bilancio politico dell’esito del conflitto, ma per ora non appare affatto negativo come sostiene la campagna del pacifismo a senso unico.
Per inviare la propria opinione al Foglio cliccare sulla e-mail sottostante lettere@ilfoglio.it