Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
L'Onu vuole un'inchiesta contro Israele, Tzipi Livni contestata difende il diritto alla difesa di Israele e intanto l'Iran manda armi ad Hamas
Testata: Corriere della Sera Data: 21 gennaio 2009 Pagina: 16 Autore: Francesco Battistini - Davide Frattini - Guido Olimpio Titolo: «Ban Ki-moon tra le macerie di Gaza Serve un'inchiesta approfondita - La guerra e i bambini uccisi La Livni affronta gli studenti - Nave iraniana colma di mine e razzi per riarmare Hamas»
Da pagina 16 del CORRIERE della SERA del 21 gennaio 2009, la cronaca di Francesco Battistini "Ban Ki-moon tra le macerie di Gaza Serve un'inchiesta approfondita" . Si notino i nomi dei candidati a guidare l'"inchiesta". Il loro curriculum di parzialità antisraeliana rende chiaro che il fine dell'inchiesta invocata non sarebbe quello di accertare la verità, ma quello di condannare Israele. Del resto, perché l'Onu non chiede un'inchiesta sull'operato di Hamas, e sanzioni contro il gruppo terrorista ?
Ecco il testo:
GERUSALEMME — Tutta la verità, nient'altro che la verità. Ban Ki-moon entra a Gaza con la mano aperta del «testimone» (dice così) e ne esce con l'indice dell'accusatore. Il segretario generale dell'Onu non ha gli occhi di Kouchner quando tornò dal Kosovo delle pulizie etniche, perché non è facile leggere l'ira negli occhi d'un coreano, ma alla fine si fa capire benissimo: «Sono inorridito. Incapace di spiegare come mi sento in questo posto». Il posto sono le scuole bombardate, il magazzino distrutto, le macerie dell'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni unite per i profughi palestinesi. Ban Ki-moon è andato anche a Sderot, a solidarizzare con gli israeliani sotto i Qassam, a dire che anche quelli sono «attacchi spaventosi e inaccettabili », ad aspettarsi che «le leggi umanitarie internazionali che proteggono i civili siano rispettate, non violate come fa Hamas», però la sua testa è là dentro. A quel che ha visto nella Striscia. S'è usata una «forza eccessiva », dice, qualcuno dovrà pagare: «Serve un'inchiesta approfondita. Una spiegazione completa, per assicurare che queste cose non si ripetano mai più. I responsabili devono risponderne davanti ai giudici». A processo. Lo chiede Ban Ki-moon. Lo chiedono otto ong israeliane, da B'tselem ai Medici per i diritti dell'uomo, con una denuncia al procuratore generale Menachem Mazuz. Lo chiedono i Paesi arabi all'Agenzia atomica, l'Aiea, per accertare se Israele abbia usato uranio impoverito (accusa che l'esercito respinge, ricordando come la stessa storia fu fatta girare anche dopo la guerra del Libano, e un'inchiesta internazionale dimostrò che erano tutte balle). Sono troppi gli episodi elencati, però, e il chiarimento è necessario. I generali di Tsahal, che fino a ieri dicevano d'aver usato fosforo bianco legalmente e solo per «illuminare i target», ora ammettono che qualche bomba è stata lanciata, «ma in aree aperte e lontane dagli abitati» (in una zona densamente popolata come Gaza?). Le parole non bastano a Ban Ki-moon, primo rappresentante d'un simile rango che abbia mai messo piede nell'Hamastan, accolto nella Striscia da una manifestazione «di vittoria » del movimento islamico: una visita irrituale, dopo lo schiaffo d'immagine dei bombardamenti sulle sedi Onu e proprio nel giorno in cui stava a Gerusalemme, col premier Ehud Olmert. «Indagare a fondo», è l'ordine del segretario generale. L'Alto commissariato per i rifugiati di Ramallah ha chiesto più personale, per preparare i dossier d'accusa, mentre per la commissione internazionale d'inchiesta circolano già i candidati: Marti Ahtisaari, l'ex presidente finlandese e premio Nobel per la pace, uomochiave dei negoziati nei Balcani che portarono all'autoproclamata indipendenza del Kosovo; Mary Robinson, ex premier irlandese e già commissaria Onu per i diritti umani, l'ultima personalità entrata a Gaza prima delle bombe, considerata dagl'israeliani troppo sbilanciata; Peter Hansen, danese, ex capo dell'Unrwa, anch'egli poco amato dal governo di Gerusalemme. L'indagine sarà possibile se la tregua tiene, naturalmente. Il ritiro delle truppe non è finito: Hamas avrebbe ancora un arsenale di 1.200 razzi, e un tunnel su cinque sarebbe ancora in piedi. Proprio durante la visita di Ban Ki-moon, alcuni soldati israeliani sono stati attaccati, un contadino palestinese è stato ucciso, due bambini sono saltati su una bomba. È il faticoso dopoguerra, col problema degli aiuti che finiscono nelle mani di non si sa bene chi (perfino il povero Bangladesh, terzo Paese musulmano al mondo, ha inviato 20mila dollari ai «fratelli di Hamas»). Col conto dei cadaveri che non finisce (1.414) e dei feriti (5.500) che sale. Con le ferite che non si cuciranno mai. Ritirandosi, un gruppo di riservisti ha lasciato una lettera in un'abitazione palestinese: «Alla famiglia che vive qui: ci scusiamo per le distruzioni che la vostra casa ha subito». Bel gesto, commenta un giornale. Forse ci vorrà altro.
Da pagina 17 "La guerra e i bambini uccisi La Livni affronta gli studenti" di Davide Frattini:
TEL AVIV — Gli attivisti con le magliette azzurre e lo slogan obamiano «Believni» (Credete in Livni) mostrano l'entusiasmo di chi ci crede davvero. Che una donna possa diventare il premier di Israele dopo trentaquattro anni, la prima dai tempi di Golda Meir. Tzipi torna nell'università dove ha studiato, da candidata di Kadima alle elezioni del 10 febbraio e da ministro degli Esteri che ha copilotato i ventidue giorni di guerra a Gaza. Ha partecipato alle decisioni della troika con Ehud Olmert ed Ehud Barak, davanti agli studenti difende la scelta di lanciare l'offensiva e la condotta del conflitto. Tailleur nero e camicia bianca, sale sul palco, quando a Washington sta cominciando la cerimonia per l'insediamento del nuovo presidente. «Sono stata negli Stati Uniti pochi giorni fa. La capitale era in festa pronta alle celebrazioni. Voglio vedere la stessa eccitazione in Israele, dopo la nostra vittoria. È importante che qui ci sia un governo capace di lavorare con un'amministrazione amica. In passato (il riferimento è all'avversario Benjamin Netanyahu, DAL NOSTRO INVIATO ndr) abbiamo sprecato questa opportunità». I sondaggi condotti dai consiglieri strategici stimano che tra gli elettori c'è ancora una gran parte di indecisi. Quel 30 per cento che ha aspettato la fine della guerra per giudicare e scegliere. Dicono che Olmert avesse avvertito Livni di non andare a Washington nel fine settimana, di non perdersi «la foto della vittoria», quando lui e Barak, ministro della Difesa, hanno annunciato dalla Kiryah di Tel Aviv (il Pentagono israeliano) il cessate il fuoco unilaterale. «La mia missione adesso — spiega in aula e sembra rispondere al premier — è portare il mondo dalla nostra parte. Con questa operazione, abbiamo dimostrato che Hamas non è solo un nemico di Israele, ma anche del futuro di uno Stato palestinese». Difende la decisione di una tregua unilaterale, senza coinvolgere gli integralisti in negoziati diretti. «Sono finiti i tempi in cui chiudevamo le guerre con una stretta di mano. Israele ha avvertito Hamas, se non è stato abbastanza, ricominceremo ». Chiede uno studente: rifiutarsi di trattare con Hamas e aver lanciato l'offensiva non rischiano di favorire gli estremisti? «La guerra non promuove il terrorismo. La maggior parte degli attentatori suicidi veniva da famiglie benestanti. È Hamas che educa i giovani all'estremismo, nelle scuole e nelle moschee». Più di 5.000 feriti, oltre 1.300 morti (tra loro 410 bambini e un centinaio di donne), calcolano i medici palestinesi. Alla radio, Livni ha detto di essere in pace con se stessa. Lo ripete a uno studente arabo israeliano, l'unico a protestare contro l'operazione Piombo Fuso. «Le ha viste le foto dei bimbi uccisi?», chiede mentre gli altri cercano di zittirlo. «La morte di un bambino è terribile e mi dispiace. Ma noi abbiamo dei valori, gli stessi dei soldati che sono entrati nella Striscia. Voglio che il mondo ci giudichi secondo questi valori: Hamas cerca di colpire i nostri bambini, noi cerchiamo di colpire i terroristi che si nascondono dietro ai bambini ».
Sempre da pagina17, l'articolo diGuido Olimpio "Nave iraniana colma di mine e razzi per riarmare Hamas":
WASHINGTON — Hamas, per quanto ferita e debilitata, è riuscita a tirare razzi fino all'ultimo giorno di battaglia. I rudimentali Kassam (fatti in casa) e i missili forniti dall'Iran. Adesso i depositi vanno riempiti e Teheran, affermano gli israeliani, è pronta a inviare ai palestinesi missili Fajr. Con un raggio d'azione di 75 chilometri, gli ordigni possono «coprire» molte località nella parte centrale di Israele, compresa Tel Aviv. Il sito Debka — non sempre troppo accurato — ha scritto che unità americane ed egiziane darebbero la caccia a una misteriosa nave iraniana, con a bordo 60 tonnellate di armi: i Fajr, razzi controcarro, mine. Il cargo, partito dal porto iraniano di Bandar Abbas, ha cambiato nome da «Iran Hedayat» in «Famagustus» quando è entrato nel Golfo di Oman. Per l'intelligence, il mercantile potrebbe scaricare il materiale sulla costa del Sinai in un punto usato in passato dai trafficanti. Successivamente i beduini, spesso coinvolti nel contrabbando, garantirebbero il trasferimento a El Arish e quindi nella Striscia di Gaza. Anche se è difficile, viste le dimensioni del Fajr, farlo passare attraverso un tunnel. L'aiuto iraniano si inserisce in un quadro dove Hamas e Teheran stanno esaminando l'andamento della campagna. Gli ayatollah sarebbero rimasti in parte scontenti perché le tattiche impiegate non hanno provocato molte perdite tra gli israeliani né si sono avute «sorprese», come il rapimento di un soldato. Giudizi negativi emersi anche tra i palestinesi durante un meeting riservato a Damasco. Queste le contestazioni: i reparti non si sono rivelati all'altezza delle promesse fatte; la leadership locale è stata costretta a rimanere nascosta nei bunker; le unità scelte non hanno usato al meglio le tattiche imparate. Al tempo stesso, però, i capi di Gaza hanno mantenuto capacità di manovra e, per ora, non c'è stata una reazione negativa da parte della popolazione, sacrificata cinicamente nel conflitto. La discussione di Damasco — secondo nostre fonti — è stata accesa, con scambi di accuse pesanti sulle scelte del movimento. Ma, alla fine, i dirigenti avrebbe serrato i ranghi sicuri che l'apparato di Hamas a Gaza ha molte carte da giocare. Ed è pronta a ricevere sostegno militare da chiunque lo voglia offrire. Per questo Teheran ha mobilitato gli uomini della Forza Qods per riarmare l'alleato.
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