sabato 21 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
20.01.2009 Domande e risposte sulla guerra Israele-Hamas
ma le seconde non sempre sono corrette

Testata: La Stampa
Data: 20 gennaio 2009
Pagina: 11
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Israele e Hamas, chi ha vinto?»
A pagina 11, La STAMPA del 20 gennaio 2009 pubblica una serie di domande e risposte sotto il titolo "Israele e Hamas. Chi ha vinto?", a cura di Francesca Paci.

Non tutte le risposte sono convincenti. Facciamo tre esempi


Rispondendo alla domanda  Si potevano evitare tante vittime civili?  si sarebbe dovuto ricordare che l'uso dei civili palestinesi come scudi da parte di Hamas è provato da numerosi, inequivocabili documenti video


Alla domanda " Israele ha usato o no  le bombe al fosforo?" si sarebbe dovuto rispondere ricordando esattamente la posizione della Croce Rossa, che ha negato usi illeciti di questi ordigni da parte di Israele


Alla domanda " Perché l'Egitto non blocca  il contrabbando verso Gaza?" rispondere che non può permettersi di affamare i palestinesi è disinformazione.Garantendo che le armi non passino l'Egitto potrebbe al contribuire ad incrementare il flusso legale di generi di prima ncessità.

Ecco il testo completo:



Perché Israele ha deciso di invadere la Striscia di Gaza?

Gli obiettivi dichiarati dell'operazioni Piombo Fuso erano impedire il lancio dei razzi sulle città del Negev e bloccare il traffico d'armi nelle gallerie scavate sotto il confine egiziano. Quello sottinteso, ma non troppo, rovesciare il potere di Hamas.
Non si poteva seguire invece la via diplomatica?
Secondo Israele no: in un anno e mezzo, da quando Hamas ha preso il potere a Gaza, sulle città del Negev sono piovuti 2047 missili. L'anno precedente erano stati 879. Hamas, che il 18 dicembre non ha rotto la tregua di sei mesi, replica che nonostante Israele si sia ritirato da Gaza nel 2005, ha mantenuto il blocco aereo e navale e la chiusura dei valichi, isolando la Striscia già tagliata fuori dall'embargo internazionale.
Quali sono gli obiettivi raggiunti da Israele?
Il numero dei razzi è precipitato: 852 dall'inizio dell'offensiva, 20 nelle 24 ore seguite alla tregua. L'aviazione ha distrutto oltre la metà dei 500 tunnel e 2000 strutture di Hamas. I morti tra le fila di Hamas, secondo Israele, sono la metà del totale. Il target centrato al cento per cento, per ora, è la frammentazione del mondo arabo, mai così diviso tra gli Stati cosiddetti "moderati" (Egitto, Arabia Saudita, Giordania) che sostengono il presidente palestinese Abu Mazen e l'asse Iran-Siria-Qatar, paladino di Hamas.
Allora perché Hamas
sostiene di avere vinto?

I leader di Hamas, che durante il conflitto sono rimasti nascosti nei tunnel, sono tutti al loro posto (tranne il ministro degli interni Said Siam, ucciso il 16 gennaio). Inoltre Israele non è riuscito a liberare il caporale Shalit, rapito da Hamas nel 2006. A giudicare dalla risposta militare al di sotto delle aspettative, Hamas ha subito molte perdite. Ma, accreditandosi la vittoria, il portavoce Abu Ubaida ha detto che solo 48 dei 1300 morti erano combattenti di Hamas e 80 sarebbero gli israeliani uccisi.
Il presidente palestinese ora è più forte o più debole?

Secondo la Legge fondamentale palestinese, il mandato del presidente Abu Mazen è scaduto il 9 gennaio scorso. Abu Mazen però, è rimasto al suo posto obiettando che le elezioni politiche e presidenziali debbano svolgersi insieme, ossia tra un anno. Il conflitto lo ha certamente indebolito, come dimostra l'appello del segretario generale delle nazioni unite Ban Ki-moon ai leader arabi perché sostengano «il legittimo presidente dei palestinesi»: se finora i palestinesi lo accusavano di aver instaurato uno stato poliziesco pagato dagli americani, oggi gli imputano di aver implicitamente appoggiato l'offensiva israeliana per sbarazzarsi di Hamas che dall'estate 2007, dopo la guerra civile contro Fatah, controlla la striscia di Gaza e diverse città della Cisgiordania.
Si potevano evitare tante vittime civili?
La stima finale è di 1300 morti e 5430 feriti a Gaza, 13 morti (di cui 10 militari) e 770 feriti (di cui 582 sotto shock) in Israele. L'altissimo numero di civili caduti (il 90% secondo i palestinesi, di cui la metà bambini, e il 50% secondo gli israeliani) dipende dal fatto che Gaza (un milione e mezzo di abitanti in 350 km quadrati) è uno dei luoghi più popolosi al mondo, in cui il 45% della popolazione ha meno di 15 anni. La tecnologia militare in questi casi non è di grande aiuto. L'esercito israeliano sostiene che i miliziani di Hamas si siano nascosti in case, scuole e moschee facendosi scudo dei civili. Secondo Amnesty ambo le parti hanno commesso crimini di guerra.
Israele ha usato o no  le bombe al fosforo?
I portavoce militari ripetono di aver usato solo armi conformi alle leggi internazionali. I proiettili contenenti del fosforo, secondo Israele, sarebbero legali se utilizzati solo per coprire con il fumo bianco l'avanzata delle truppe. La Croce Rossa Internazionale aspetta un'inchiesta: «Non abbiamo prove ma siamo quasi certi che si siano serviti di armi al fosforo». Amnesty International sostiene di poter provare «in modo inconfutabile» l’uso di queste armi.
Il blitz favorirà il governo nelle prossime elezioni?
La guerra, insegna la storia israeliana, rafforza i falchi. I sondaggi del dopo cessate-il-fuoco rivelano che alle elezioni del 10 febbraio il blocco di centro-destra dovrebbe conquistare 65 seggi contro i 55 del centro-sinistra. Nonostante l'impegno bellico del ministro degli Esteri Tzipi Livni e dell'alleato Ehud Barak, sostenuto dall'80% degli israeliani, i loro schieramenti restano indietro rispetto a Likud di Bibi Netanyahu che ieri ha cominciato a denunciare gli obiettivi falliti dell'operazione (Hamas è ancora al suo posto). Le chances della Livni dipendono a questo punto dal sostegno internazionale al controllo del traffico di armi.
Perché l'Egitto non blocca  il contrabbando verso Gaza?
Nel dedalo di tunnel sotto il confine egiziano non passano solo armi. Nel 2007, quando Israele e Egitto hanno serrato i valichi costringendo alla chiusura la maggior parte delle 3900 aziende di Gaza, i trafficanti hanno differenziato l'offerta: armi, capre, mucche, grano, cioccolata, il duty free della sopravvivenza. Due terzi dei prodotti venduti a Gaza provengono dai tunnel, un giro d'affari da 650 milioni l'anno che impiegava 12 mila persone direttamente e indirettamente e almeno il doppio. Difficile per il presidente egiziano Mubarak decidere di tagliare i viveri a un milione e mezzo di palestinesi senza scontrarsi con l'opposizione interna già forte dei Fratelli Musulmani, progenitori di Hamas.
L'Europa può avere un ruolo nel processo di pace?
L'Europa ha accompagnato la crisi in ordine sparso. Con i nuovi europei (in particolare i cechi) schierati a fianco d'Israele, i vecchi (con l'eccezione della cancelliera tedesca Angela Merkel) sdegnati per le vittime civili palestinesi, il presidente francese Sarkozy alla ricerca, solitaria, di un posto sul carro del cessate-il-fuoco. Il vertice di Sharm-el-Sheikh è un'offensiva diplomatica in extremis per sfruttare le ultime ore di vacanza americana, tradizionalmente il principale attore nel teatro mediorientale. Gli europei, ben visti dai palestinesi e da qualche tempo sdoganati, in parte, dagli israeliani, potrebbero avere un ruolo di mediazione importante. Ma serve una politica comune.
Che cosa vuole fare
Obama per risolvere la crisi?
Il neopresidente americano ha tre scelte. Rinviare il problema mediorientale a tempi migliori, privilegiando la crisi economica degli Stati Uniti. Continuare la politica di sostegno incondizionato a Israele, sulle orme del predecessore Bush. Immaginare un nuovo ordine regionale che comprenda il dialogo con la Siria, la chance alla via diplomatica con l'Iran, l'appoggio «condizionato» a Israele attraverso il rilancio del piano saudita, che prevede la creazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967 e la normalizzazione dei rapporti tra Israele e 22 Paesi arabi.

Per inviare la propria opinione alla Stampa cliccare sulla e-mail sottostante

direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT