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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Sylvian Gougenheim Aristotele contro Averroè - André Chouraqui André Chouraqui 19/01/2009
 Aristotele contro Averroè Sylvian Gougenheim

Traduzione di Sara Arena

Rizzoli Euro 19,50


Il destino d’Israele André Chouraqui

Traduzione di Paolo Pellizzari

Paoline Editoriale libri Euro 14



Solo gli utopisti possono sognare di fondere insieme le varie religioni; le religioni, ciò che c’è di più personale, di più resistente in quel complesso di beni, di forze, di sistemi che è ogni civiltà”, scrive Fernand Braudel, il grande storico di quello spazio condiviso da diverse civiltà che fu – ed è spiccatamente ancora – il Mediterraneo.

Universo multiforme, ma anche limitato cortile dove tutto è quasi a portata di mano, occhi e orecchie, il mare nostrum (nonché altrui) è da sempre la palestra ideale per un confronto fra le esperienze umane. L’hanno reso tale la conformazione geografica e i destini della storia. L’intreccio di passato e presente rende le sue sponde inafferrabili come la materia di cui è fatto il mare: qui tutto immancabilmente sfugge ai luoghi comuni, ai preconcetti, a ciò che sembra dato per scontato.

In “Aristotele contro Averroè” (in uscita presso Rizzoli), lo storico Sylvian Gougenheim offre una visuale piuttosto anticonformista dell’incontro fra civiltà affacciate sul Mediterraneo. Egli parte da un assunto tanto onesto quanto evidente e ormai accolto dagli studiosi: quello cioè che i secoli bui non furono affatto tali. L’alto Medioevo è come poche altre un’epoca ricca di interessi, curiosità e lavorio intellettuale. Gougenheim pone innanzitutto l’accento sulla varietà del cristianesimo ancora giovane, cioè sul suo pluralismo interno. Poi offre un ritratto degli scambi fra questo mondo – cristiano, greco, latino ma anche siriano, copto e via di seguito – e l’islam in travolgente espansione nel Mediterraneo. “Proclamare che cristiani e musulmani hanno lo stesso Dio e fermarsi a questa affermazione è segno di un approccio superficiale. Il Dio degli uni e degli altri non fa gli stessi discorsi, non propugna gli stessi valori, non propone all’uomo lo stesso destino”.

In questo senso non c’è stato, spiega Gougenheim, uno scambio di patrimoni culturali. L’islam non ha, secondo questa sua lettura, che un ruolo affatto secondario nella trasmissione del sapere lasciato dall’antichità classica: lo spirito e i testi della grecità ci sono giunti per merito di monaci e dotti cristiani, e non grazie alla mediazione dell’arabo. Da una sponda all’altra del nostro piccolo mare, islam e cristianesimo si sono dunque guardati a vicenda, senza troppo comunicare, ma soprattutto senza ibridarsi: questa è la tesi dello studioso, supportata da ampia documentazione. Potrebbe sembrare una posizione di insidiosa chiusura, ma a ben guardare non è così. Il presupposto d’ogni dialogo, infatti (e più che mai quando di fede si tratta) è proprio quello di accettare l’irriducibile diversità dell’altro.


Pochi hanno capito e raccontato questo rispetto dell’altro, in ambito di fede e civiltà, meglio di André Chouraqui. Nato nel 1917 nei pressi di Orano, in Algeria, è cresciuto in un piccolo universo fatto di confessioni diverse: è ebreo in un paese islamico, frequenta la scuola delle suore salesiane, ma anche la giovane Yvonne (che è protestante). Da Gerusalemme, dove abiterà per gran parte della vita (è mancato nel 2007) e delle quale sarà a lungo vicesindaco, Chouraqui diventa ben presto una grande voce del dialogo ebraico, cristiano e islamico. Ha un ruolo di primo piano nei passi che conducono al concilio Vaticano II. E questo cammino emerge nitido dalla sua corrispondenza, in uscita presso le edizioni Paoline.

Sono lettere di e a Jules Isaac, Jacques Ellul, Jacques Maritain, Paul Claudel. Il filo conduttore di questi incontri epistolari, a volte intimi e confidenziali, a volte solenni, è in fondo uno soltanto: quello di fare delle divergenze una ricchezza, e non un ostacolo. Come quando, pur in un cammino di una sofferta riconciliazione, Chouraqui non esita a parlare chiaro, sul “silenzio così pesante quando siamo noi stessi condotti al macello o minacciati di esserlo”, e sulla “benda che velava anche un volto d’Israele che la Chiesa non ha mai realmente conosciuto. Scommettiamo che gli storici del futuro non comprenderanno l’indifferenza delle nazioni e più ancora l’accecamento delle autorità spirituali di fronte alle realtà della nostra rinascita israeliana”.

Il confronto fra le fedi, infatti, non ammette approssimazioni di sorta, perché è inevitabilmente un faccia a faccia fra due o tre o più verità. Solo ammettendo questo limite, lo si può trasformare in un terreno di dialogo. Come attesta forse più di ogni altra la lettera che Chouraqui manda a Marc Chagall.

Il grande pittore era turbato da una proposta: quella di affrescare la cappella del Calvario di Vence. “Un ebreo così profondamente radicato nel nostro patrimonio ancestrale, come voi siete, ha il diritto di decorare una cappella?”. Il teologo e uomo del dialogo spiegherà al pittore che sì, vale la pena. Chagall accettò di decorare la cappella. Il meraviglioso ciclo di quadri monumentali si trova ora al museo “Message biblique Marc Chagall” a Nizza e, fra tante mirabili cose, ci racconta anche che il dialogo è possibile.


Elena Loewenthal

Tuttolibri – La Stampa


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