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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.01.2009 Israele inizia il ritiro da Gaza, Hamas accetta la tregua e si divide
le cronache di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 gennaio 2009
Pagina: 2
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Israele inizia il ritiro da Gaza Olmert: non vogliamo restare - Le accuse ai «duri»: ci avete condannato»
Da pagina 2 del CORRIERE della SERA del 19 gennaio 2009, la cronaca di Francesco Battistini "Israele inizia il ritiro da Gaza Olmert: non vogliamo restare":

GERUSALEMME — A metà mattina, gl'infermieri della Mezzaluna rossa scavano fra le macerie di Beit Lahiya, nord di Gaza, allineano i 95 corpi dissepolti, gli ultimi cadaveri di bambini ad uso Ramattan Tv, li caricano sull'ambulanza: almeno oggi, nessuno spara loro addosso. A mezzogiorno, i capataz di Hamas siedono in quattro a un tavolo, hanno dietro i drappi verdi ad uso tv siriana, leggono un proclama: dicono d'aver vinto, e intanto dicono che la tregua va bene. Di primo pomeriggio, gli israeliani di Sderot scendono in strada, agitano dei volantini elettorali ad uso tv straniere, gridano «Vergogna!
»: sono furiosi, si sono appena beccati i razzi quotidiani, pensano che l'incubo dei Qassam non finirà. A metà pomeriggio, i soldati della Brigata Golani smontano i blocchi di Netzarim e Atatrah che tagliavano la Striscia in due, baciano la bandiera ad uso Canale 10, saltano veloci sui tank: sorridono, sono vivi, tornano a casa. A tarda sera, il premier israeliano Ehud Olmert accoglie i leader europei che arrivano da Sharm El Sheikh, tutti insieme a cena, annuncio con photo opportunity: «Ci ritiriamo. Progressivamente, per gradi. Ma ci stiamo ritirando».
Che sia l'inizio della fine o la fine dell'inizio, si capirà. La tregua unilaterale proclamata da Israele, che di domenica mattina fa piovere su Israele diciassette razzi e su Gaza una doppia rappresaglia via elicottero, la «fragile tregua» che a inizio giornata fa dire a Olmert «risponderemo colpo su colpo», quand'è sera diventa una tregua vera. Hamas cede. Accetta una settimana di cessate il fuoco, dice il quartetto islamico in onda da Damasco, purché da Gerusalemme accettino di ritirare «immediatamente» le truppe e d'aprire i valichi. Olmert aveva detto sabato sera che l'operazione Piombo fuso aveva raggiunto gli obbiettivi e sconfitto Hamas? «Il nemico sionista ha fallito nel tentativo d'imporre le sue condizioni — dice Mussa Abu Marzuk —. Noi, Hamas, annunciamo quindi una tregua a Gaza ed esigiamo che le forze del nemico si ritirino entro una settimana ». In serata il leader Ismail Haniyeh rivendica in tv «una grande vittoria» contro un nemico «che non ha ottenuto nulla».
Tutti vincitori, nessuno sconfitto. A parte gli oltre 1.300 morti, i 5.700 feriti, il martellamento d'un milione e mezzo di palestinesi, l'angoscia di 700 mila israeliani. E un'immagine d'Israele devastata. «Vogliamo ritirarci il più presto possibile», confida Olmert, perché «il negoziato coi palestinesi è una priorità» — i palestinesi di Abu Mazen, chiaro — e comunque «lo faremo giorno per giorno, vedremo come va», tutto si può riaggiustare «minuto dopo minuto». Quelli dello Shin Bet, gli 007 israeliani, avvertono che andarsene così è un rischio: in pochi mesi Hamas si riarmerà, perché c'è sul Sinai un'intera economia beduina che vive di contrabbando d'armi e si vendica non appena l'Egitto cerca d'impedirli. «Abbiamo distrutto i tunnel e insieme Gaza — scriveva ieri un commentatore israeliano —, ma non abbiamo portato a casa nemmeno il caporale Gilad Shalit». Già, l'ostaggio Shalit: quelli di Hamas lo libereranno, 939 giorni dopo? «Lo speriamo», sospira Olmert. Ma tutti dicono che quella è un'altra partita.

Il "dietro le quinte" di Battistini sulle divisioni interne di Hamas, da pagina 6 "Le accuse ai «duri»: ci avete condannato":

GERUSALEMME — «Ricordati delle parole di Yassin!». L'ira scoppia venerdì notte, dopo la preghiera, a una riunione non si sa bene dove. Un discorso d'una decina di minuti, più secco d'una raffica d'Uzi. Appuntamento al buio sul che fare, che dire, come uscirne. Il primo a parlare è Ahmed Yousef. Il consigliere politico di Ismail Haniyeh, leader di Gaza, collaboratore del giornale israeliano Haaretz. Yousef, che è pure considerato l'interlocutore segreto di Obama (alcuni proconsoli americani l'avrebbero contattato mesi fa), prima ricorda una sentenza dello sceicco Ahmed Yassin, il fondatore di Hamas: «Quel che si ottiene da un negoziato deve corrispondere alla reale forza delle parti in gioco». Poi incalza i duri del movimento che hanno voluto questa resistenza: «Qual è la nostra forza? Ci avete portato a un terribile disastro! Avete condannato a morte Gaza!».
Il disastro d'una Striscia in fiamme, d'una sconfitta militare e politica. Si sapeva: gli «hamasologi » ripetono fin dall'inizio che i dirigenti sono divisi, l'ala dura del «siriano» Khaled Meshaal contro quella trattativista di Haniyeh. Ora si sa che c'è del vero: Yousef e un altro leader, l'ex portavoce del movimento, Ghazi Hamad, contestano apertamente «il gravissimo errore» di non avere rinnovato a dicembre la tregua con Israele e d'avere lasciato l'iniziativa a Meshaal, «uno che non vive in Palestina da quarant'anni».
L'uscita non è casuale, dicono nei corridoi del Fatah a Ramallah, forse un'autocandidatura per il futuro: dietro il desiderio di vendetta contro Israele, ormai cresciuto e diffuso anche fra i più moderati, un silenzioso malcontento circola anche verso il gruppo ristretto dei capi Hamas, accusati per esempio d'essersi protetti dai raid nel sicuro dei loro bunker.
Loro, si difendono. L'ultimo cadavere eccellente, Said Siam, il ministro dell'Interno bombardato davanti a casa da un F-16, è il pretesto per recuperare, contrattaccare, mettere gli avversari sull'altolà: «Siam non stava nel bunker, era col suo popolo, come lo erano Nizar Rayan e gli altri martiri», fa notare Salah al-Bardawil, uno dei negoziatori del Cairo. Anzi: Hamas dice chiaro che c'è un complotto, Siam «è stato ucciso dagli israeliani grazie alla collaborazione delle spie di Abu Mazen e del Fatah». I dubbi erano circolati subito, raccontano fonti interne al movimento: Siam s'era trasferito in quell'abitazione «più sicura» da due settimane, pochi sapevano dove stesse, e quando l'F-16 l'ha colpito, il ministro era appena sceso dall'auto, stava sulle scale. Uno dei gorilla, un certo Sleem che «inspiegabilmente s'era allontanato pochi minuti prima dell'esplosione », è stata bloccato: dal suo cellulare sarebbero spuntati numeri israeliani, oltre a una chiamata su un numero Orange (compagnia israeliana) fatta al momento del raid. La bodyguard è stata arrestata dalle Brigate al Qassam, condannata a morte: la sentenza, eseguita sul posto.
Adesso si sta processando il padrone di casa, poi toccherà ad altri del Fatah. «Il primo nemico è Israele, il resto viene dopo»: diceva anche questo, lo sceicco Yassin.

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