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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.01.2009 L'antisemitismo politicamente corretto
basta chiamarlo antisionismo, più i servizi da Israele

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Gian Antonio Stella,Davide Frattini, Francesco Battistini,Stefano Montefiori, Lorenzo Cremonesi,Fabrizio Caccia, Paola Di Caro,Fabrizio Roncone
Titolo: «Vari»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 18/01/2009, analisi e cronache sul conflitto. Iniziamo con  Gian Antonio Stella, che esamina l'antisemitismo di sinstra, definendolo con felice intuizione, " l'antisemitismo politicamente corretto " in quanto definitosi antisionismo. Facciamo solo una chiosa a Fassini, citato nell'articolo, quando definisce " una sciocchezza" l'antisemitismo di sinistra, E no, sciocchezza non è la parola giusta, Fassini ne trovi un'altra, il repertorio è vasto. Anche quell' "equivoco" nel titolo è ambiguo, se l'antisemitismo a sinistra, come dimostra Stella nel suo articolo, ha una storia molto lunga e drammatica, altro che equivoco.

Gian Antonio Stella - " Antisemitismo, quell'equivoco a sinistra "

Per carità, guai a prendere sul serio un gruppuscolo infinitamente minoritario che mette Stalin e Mao tra i Maestri: è il ruggito d'una mosca. Ma sarebbe un errore non vedere che nei dintorni di una certa sinistra stanno tornando a galla, sia pure arginati da una specie di pudore, sentimenti «antisionisti» dietro i quali si intravede l'ombra della solita bestia razzista.
Sono segnali, capiamoci: solo segnali. Facili da spacciare come casi isolatissimi all'interno di una reazione corale sobria e saggia. Un paio di bandiere con la stella di David sostituita dalla svastica al corteo di ieri della sinistra extraparlamentare. Un altro paio di bandiere israeliane bruciate nei giorni scorsi. E-mail immonde smistate da internauti «rossi » che incitano a ribellarsi contro «il mostro giudaico-talmudico-sionista che ci domina» e lanciano la parola d'ordine: «Distruggiamo quest'incubo razzista e genocidario infame! ». Sventurate dichiarazioni alle agenzie dell'«esule» rifondarolo Marco Ferrando, fondatore del lillipuziano Movimento per il Partito comunista dei lavoratori secondo il quale chi brucia le bandiere israeliane non deve «vergognarsi di nulla» perché brucia «non la bandiera dell'ebraismo, ma la bandiera del sionismo: cioè di uno Stato coloniale nato dal terrore contro il popolo arabo e che si perpetua, da 50 anni, con i metodi del terrore».
Frattaglie. Impossibili da spacciare, nemmeno in giornate come queste dominate dalle immagini spaventose di una guerra sconvolgente, per «antisemitismo di sinistra». Come spiega Amos Luzzatto, a lungo presidente dell'Unione comunità ebraiche italiane e autore del libro «Conta e racconta. Memorie di un ebreo di sinistra», «l'antisemitismo "di sinistra" come atteggiamento innato e necessario di un'idea di sinistra non c'è. Ma certo, dell'antisemitismo esiste anche a sinistra. D'altra parte, se la sinistra appartiene a questa società...». Un paio di anni fa suo figlio, Gadi Luzzatto Voghera, docente di Storia dell'ebraismo a Venezia e certo estraneo alla destra, ha scritto un libro («Antisemitismo a sinistra ») per dimostrare che «sinistra e antisemitismo non sono incompatibili» fin dai tempi in cui il «mito dell'ebreo capitalista, ricco, usuraio» entra «nell'immaginario della sinistra nella seconda metà dell'Ottocento e non ne esce più». Tesi condivisa, ad esempio, da Shalom Lappin, del King's College di Londra, protagonista del «Manifesto di Euston», secondo cui «grandi fette d'una sedicente sinistra fanno causa comune con estremismo, totalitarismo ed antisemitismo».
O ancora da chi in Francia, come racconta un'inchiesta di Paolo Rumiz, denuncia il triangolo perverso «fra tre antisemitismi: quello del nazionalismo arabo, quello dell'estrema destra e quello dell'estrema sinistra antimondialista».
Certo, siamo lontani dagli abissi ricostruiti da Riccardo Calimani in «Ebrei e pregiudizio ». Dove si racconta, ad esempio, che quando Stalin (che pure favorì la nascita di Israele «prima con aiuti massicci di armi cecoslovacche all'Haganah, l'esercito clandestino ebraico, e poi con il voto all'Onu e il riconoscimento formale del nuovo Stato») scatenò «la sua offensiva con gli oppositori, gli agitatori politici alimentarono l'odio contro Trockij e contro Ztnovev lasciando intendere che non era un caso che entrambi complottassero e fossero ebrei».
Alla larga dai paralleli. C'è però un fastidiosissimo «link» tra gli orrori di ieri e le storture di oggi. Ce lo dice il libro «La confessione» dove Arthur London, un ebreo cecoslovacco, comunista, precipitato nell'incubo dei processi staliniani, ricorda il suo interrogatorio: «Il giudice istruttore mi domanda bruscamente di precisare per ognuno dei nomi che verranno citati nell'interrogatorio se si tratti o meno di un ebreo; ma ogni volta nella sua trascrizione sostituisce la designazione di ebreo con quella di sionista: "Facciamo parte dell'apparato di sicurezza d'una democrazia popolare. La parola giudeo è un'ingiuria. Perciò scriviamo sionista"». Assurdo, si ribella London. Il giudice fa spallucce: «Del resto anche in Urss, l'uso della parola giudeo è proibita ». Basta sostituirla e, oplà, ecco l'antisemitismo politicamente corretto.
Fatta la tara all'immensa diversità della situazione, è proprio così diverso, oggi, il gioco di un pezzo, minoritario, di sinistra? Piero Fassino, qualche anno fa, rispose così: «Rappresentare Israele come uno Stato militarista, aggressore o, come qualcuno dice, fascista, è una sciocchezza, come lo è non riconoscere che Israele è una società democratica. Identificare la politica della destra israeliana con Israele tout court è un'operazione che non viene fatta con nessun Paese al mondo». Era, allora, il segretario dei Ds e riconosceva che «ci sono settori della sinistra che hanno parole d'ordine fondate su un pregiudizio ideologico e manicheo verso Israele, che spesso "coprono" il resto» e disse di riconoscersi nella tesi di Adriano Sofri. Il quale, denunciando i ritardi e le ambiguità di «tanta sinistra», aveva tagliato corto: «Non possiamo confidare nell'Europa e tanto meno amarla se non amiamo lo Stato di Israele (in nessun altro caso userei un'espressione come «amare uno Stato») e il suo popolo misto, coraggioso e spaventato. Il suo popolo, non soltanto le minoranze ammirevoli, i pacifisti che fraternizzano con gli arabi di Israele e di Palestina, i riservisti renitenti, le donne che difendono la vita e un'altra idea di coraggio, gli intellettuali che onorano la verità e non la sottomettono a una nazione».
C'è chi dirà: ma li avete visti, oggi, i bambini di Gaza? Immagini che fermano il respiro. Ma proprio per questo, a chi come l'ex deputato rifondarolo Francesco Caruso disse (in momenti diversi) che era «meglio essere uno di Hamas all'italiana, che un Mastella alla palestinese», vale la pena di ricordare quanto spiegò anni fa Giorgio Napolitano. Riconoscendo che «prima che nel Pci, a partire dagli anni 80, si affermasse una posizione politica coerente, se c'era antisemitismo si presentava nelle vesti di antisionismo». Ricordò, il futuro capo dello Stato, che «si protrasse a lungo l'equivoco di una contrapposizione al sionismo: come se questo costituisse un'ideologia reazionaria che nulla aveva a che vedere con la storia del popolo ebraico, e come se fosse l'incarnazione di un disegno di oppressione nei confronti dei palestinesi, un disegno di potenza dello Stato d'Israele». Ecco, possibile che quell'«equivoco» possa protrarsi ancora?

Davide Frattini - " Raggiunti tutti gli obiettivi, tregua unilaterale a Gaza "

GERUSALEMME — Il cessate il fuoco parte, i soldati restano. Nella notte il governo israeliano ha votato una tregua uni-laterale, senza ordinare il ritiro delle truppe. «Controlleranno ancora per qualche tempo Gaza e restano pronte a rispondere al fuoco» spiega il premier Ehud Olmert. Lo stop ai ventidue giorni di guerra è tanto unilaterale, che Hamas ha già annunciato: «Continueremo a combattere, fino a quando l'ultimo militare lascia la Striscia e le nostre condizioni non verranno accettate». Dalla Cisgiordania, anche Abu Mazen, presidente palestinese, ha chiesto che l'esercito torni al di là del confine.
La troika che ha guidato il conflitto — Ehud Olmert, Ehud Barak, Tzipi Livni — non vuole che l'organizzazione integralista possa in alcun modo proclamare di aver partecipato alle trattative e di aver ottenuto qualche ricompensa. Loro tre si dividono per ora gli onori. Livni, ministro degli Esteri, ha stilato con Condoleezza Rice, segretario di Stato americano, il documento che coinvolge gli Stati Uniti nel controllo del contrabbando di armi dall'Egitto. Barak, come ministro della Difesa, ha decretato: «Abbiamo raggiunto il traguardo che ci eravamo posti. Non ci ritiriamo perché Hamas non accetta i termini del cessate il fuoco. Se necessario, siamo pronti a riprendere e intensificare l'offensiva ». Olmert è quello che ha chiamato Hosni Mubarak, presidente egiziano, per riconoscergli gli sforzi diplomatici e anticipargli la pausa nei combattimenti. Il premier si è dichiarato ancora più ottimista di Barak («gli obiettivi sono stati superati») e si è rivolto alla popolazione di Gaza: «Non vi odiamo, siamo addolorati per ogni bambino rimasto ucciso. Hamas ci ha costretto al conflitto, abbiamo cercato di ridurre al minimo le vittime civili ».
Da Mubarak, passano oggi i leader internazionali, con la supervisione di Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite che, dopo aver espresso «sollievo» per la tregua, ha chiesto il ritiro dei soldati israeliani e ha avvertito Hamas: «Il lancio di razzi deve cessare». Dopo il vertice di Sharm el-Sheikh, Nicolas Sarkozy, presidente francese, Gordon Brown, premier britannico, Angela Merkel, cancelliere tedesco, Silvio Berlusconi, primo ministro italiano, hanno già confermato di essere attesi a Gerusalemme per un incontro con Olmert. «Ho letto alcune dichiarazioni sul comportamento del governo — ha commentato Berlusconi — che è stato invece il più concreto e pragmatico possibile. A chi mi riferisco? Ai tanti che avevano aperto bocca per darle fiato. Sapevamo che gli israeliani non si sarebbero fermati e non ci siamo infilati in iniziative inutili destinate a non avere fondamento ». A metà giornata, in diretta televisiva, Mubarak si è ripreso il centro della scena diplomatica. «Israele fermi immediatamente le operazioni militari. Chiedo il cessate il fuoco incondizionato e il ritiro totale dalla Striscia. Hamas prenda delle posizioni responsabili per mettere fine alle sofferenze della gente di Gaza». Gli egiziani si sono irritati per l'accordo tra il governo Olmert e gli americani. «Possono decidere quel che gli pare per quanto riguarda il mare o qualunque altro Paese in Africa. Ma sul nostro territorio noi rispondiamo solo agli interessi del popolo e della sicurezza nazionale egiziani » ha attaccato Ahmed Aboul Gheit, ministro degli Esteri.
Il Cairo ha sempre negato che il contrabbando di armi verso Gaza viaggi attraverso i tunnel sotto al valico di Rafah. Il governo israeliano ha spinto perché una forza multinazionale venga dislocata sul confine e aiuti a bloccare i traffici clandestini. Francia, Gran Bretagna e Germania hanno inviato una lettera a Mubarak e Olmert con la promessa di essere pronti a partecipare a una squadra di monitoraggio internazionale. Londra ha anche offerto le navi della flotta per controllare le acque al largo della Striscia.
Nel vertice sulla costa del Mar Rosso, i leader internazionali parleranno anche di ricostruzione. L'offensiva ha causato almeno 1.200 morti — tra loro 410 bambini e 108 donne— stimano i medici nella Striscia. L'Ufficio centrale di statistica palestinese calcola che i bombardamenti hanno distrutto 4.000 edifici con danni per 476 milioni di dollari (più altri 500 solo per rimuovere le macerie).

Francesco Battistini - " I dubbi e i misteri di 22 giorni di guerra "

GERUSALEMME — «Ci sono i cadaveri di trecento terroristi che Hamas tiene nascosti nelle celle frigorifere dell'ospedale Al Quds, per minimizzare le perdite e far credere che i morti siano tutti civili» (e poi si scopre che quelle celle non funzionano da settimane, perché il poco carburante dei generatori serve casomai alle apparecchiature mediche e quei corpi, se ci fossero, sarebbero ormai in decomposizione). «Gl'israeliani stanno bombardando i civili col fosforo bianco» (e poi tocca alla Croce Rossa, se non smentire, spiegare che il fosforo viene usato per illuminare gli obiettivi o per alzare una cortina di fumo intorno all'avanzata delle truppe, come accade in molte guerre, e tutto questo non sarà tranquillizzante ma è un'altra faccenda: «Non ci sono prove che sia stato finora usato in maniera impropria o illegale»).
Vero, falso, verosimile. Come i segreti dell'uranio impoverito. Come le armi chimiche di Saddam. Come le fosse del Kosovo. Quando la cronaca di questa guerra sarà finita, comincerà il lavoro degli storici. Il dovere di risolvere gialli, chiarire misteri, smontare dubbi. Anche su Gaza c'è un fuoco incrociato di parole.
Difficile districarsi. E ricostruire fatti, responsabilità. Dieci ong israeliane hanno preparato un dossier sui «danni collaterali», ma nemmeno le cifre vengono lette in maniera univoca: sono stati uccisi 12 fra medici e infermieri, 17 i feriti e 15 sono stati gli attacchi a ospedali e infermerie, però «almeno su cinque di questi casi — dice un portavoce dell'esercito israeliano — stiamo indagando per dimostrare che c'erano uomini di Hamas che si fingevano personale sanitario». E i corridoi umanitari? L'esercito ha sempre detto di garantire il ricovero dei casi urgenti e alcuni li abbiamo visti anche noi, ma il dossier sostiene l'esatto contrario per quanto riguarda i malati cronici: «Solo poche decine di persone» sono state salvate, 250 sono state portate in Egitto, mentre ci sono ancora 600 pazienti (cancro, epatite, dialisi) che da tre settimane sono senza cure e aspettano d'essere evacuati.
Esagerare, minimizzare. Dubitare. Quando Hamas ha denunciato che erano state bombardate nove moschee, Tsahal ha mostrato inequivocabili immagini d'armi da contraerea nascoste sotto il minareto. Quando Tsahal ha ammazzato una trentina di civili nella scuola Onu, il 6 gennaio, ha detto che da là dentro sparavano: c'è un video che mostra il fumo, in effetti, ma qualche giorno dopo s'è ammesso che i colpi forse provenivano da qualche edificio vicino e, comunque, «stiamo ancora investigando». Non sempre quel che appare è quel che è: una fonte rivela che «c'è qualcosa che non quadra» nella vicenda del medico palestinese, Ezzedin Abu al-Aysh, tre figlie e due nipoti uccisi, colpito in diretta mentre dalla sua casa di Gaza parlava al telefono con la tv israeliana Canale 10.
Ezzedin è un personaggio notissimo in Israele, più volte intervistato in ebraico per la sua opera in un ospedale di Tel Aviv, era stato bersagliato qualche giorno fa e proprio per questo gli avevano garantito l'incolumità. Un primo esame del materiale esploso, dice la fonte, potrebbe lasciar sospettare una verità diversa: forse la fiammata d'una santabarbara lì vicino, forse una «punizione» per quelle sue collaborazioni umanitarie col nemico.
A volte, le indagini sono rapide e si capisce subito che cos'è stato, anche se resta oscuro il perché. Mercoledì alle otto e mezza del mattino, il mondo s'è allarmato perché tre razzi Katiusha da 107 millimetri erano stati lanciati dal Libano meridionale «sull'area della città israeliana di Kiryat Shimona». La seconda volta, dopo l'ospizio colpito l'altra settimana. La reazione israeliana è stata severa, prima con accuse rivolte ai gruppi armati palestinesi lungo quel confine, poi con messaggi telefonici d'avvertimento agli abitanti della zona («se tu permetti ancora a gruppi come Al Qaeda o Hezbollah di lanciare razzi contro innocenti nel Nord d'Israele, ricordati di che cosa t'è capitato l'ultima volta...»). S'è rischiato d'aprire un altro fronte di guerra. Ora però — lo scrivono la stampa israeliana ( Haaretz) e libanese ( As-Safir), lo confermano i caschi blu italiani — salta fuori che quei razzi non sono mai caduti su Israele, perché i frammenti sono stati trovati in Libano, e che i palestinesi forse non c'entrano («ci sarebbe piaciuto, ma non siamo stati noi»). I razzi sono sempre razzi, chiaro: ma chi e perché ha avuto interesse a enfatizzarne la gittata?

Stefano Montefiori - " Le foto dei bimbi e la propaganda dei miliziani. Così Gerusalemme ha perso la guerra mediatica"

Forse mai come in questa guerra di Gaza si sono viste fotografie di bambini colpiti. La propaganda di Hamas è senz'altro all'opera, ma i civili muoiono davvero.
«C'è una guerra mediatica in corso, con entrambe le parti che cercano di manipolare l'opinione pubblica mondiale — dice lo scrittore e docente anglo-olandese Ian Buruma —. Hamas fa di tutto per presentare Israele come una banda di criminali di guerra; gli islamisti di Gaza sono talmente determinati in questo da non esitare a sacrificare i civili, bambini compresi, esponendoli ai pericoli nella speranza di accaparrarsi le simpatie degli spettatori ».
Israele sta perdendo la guerra mediatica?
«È senza dubbio in una posizione difficile, da sempre. Perché è una democrazia aperta e se usi la forza contro una società chiusa parti in svantaggio. La gente ha molto più accesso a quello che fai tu rispetto a quello che fa l'avversario. Gerusalemme ha un'immagine controversa nei media prima di tutto perché è una democrazia».
Hamas ha molti nemici nel mondo islamico, eppure la solidarietà musulmana scatta immediatamente.
«C'è un evidente doppio standard. Mi trovo ora a Kuala Lumpur, nella musulmana Malaysia, e tutte le prima pagine dei giornali sono interamente dedicate ai "crimini di guerra israeliani" e all'urgenza di boicottare Israele e così via. I governi musulmani hanno sempre massacrato infinitamente più persone, spesso loro stessi cittadini: per esempio il siriano Assad, padre dell'attuale presidente, ha ucciso decine di migliaia di oppositori e nessuno in Malaysia né altrove si è mai sognato di proporre il boicottaggio della Siria».
Lei condivide la scelta israeliana di attaccare Gaza?
«Niente affatto. L'argomento che le dittature sono di gran lunga peggiori non è sufficiente per bloccare ogni possibilità di critica a Israele, sia chiaro. Questa guerra per me non ha granché senso; l'idea di usare la forza per indurre le popolazioni a rivoltarsi contro i loro stessi governi non ha mai funzionato. Era ciò che speravano gli alleati durante la Seconda guerra mondiale; bombardarono le città tedesche e giapponesi convinti che la gente sarebbe insorta; invece i governi in carica, pur traballanti, furono rafforzati, perché in quelle circostanze erano pur sempre gli unici a poter offrire servizi minimi ai superstiti».
Le immagini dei bambini uccisi hanno purtroppo anche l'effetto di scatenare commenti e reazioni al limite dell'antisemitismo.
«Israele deve essere sottoposto al giudizio come qualsiasi altro Paese. Sottolineo come qualsiasi altro Paese e non con toni pregiudizialmente più severi. È evidente che lo Stato ebraico è più vulnerabile, un po' perché come dicevo è una condizione inerente alla natura stessa delle democrazie e un po' perché Israele è un facile bersaglio, tutti si sentono un più buoni se condannano le azioni del Golia israeliano contro il povero Davide palestinese. La realtà non è così semplice».
Le fotografie vanno pubblicate?
«Sì, ma con infinite spiegazioni e mettendole nel giusto contesto. Il ruolo dei media seri è di informare i lettori, dare loro analisi e commenti. Detesto chi diffonde immagini strazianti per indurre a una condanna morale senza appello. Eccitare i lettori è troppo facile e sbagliato».
Ci sono i precedenti della bambina vietnamita in fuga Kim Phuc, ritratta da Nick Ut, premio Pulitzer 1972. E della piccola ferita all'occhio durante l'assedio di Sarajevo.
«La celebre foto della bimba in Vietnam: tutti pensano che fu vittima del napalm americano, mentre in realtà venne ferita durante un attacco sudvietnamita. C'è una differenza tecnica non così fondamentale, d'accordo, l'America era lì in soccorso dei sudvietnamiti, ma comunque in questo genere di situazioni sarebbe bene essere precisi. Quanto a Sarajevo, il contesto era un po' diverso: a Gaza, per quanto uno voglia criticare Israele, e io lo critico, l'esercito non punta a uccidere civili; durante la guerra dei Balcani, invece, massacrare la gente su semplice base etnica era l'essenza stessa dei combattimenti. Non sono d'accordo con la guerra di Gaza, ma non gioisco certo della vittoria mediatica di Hamas. Bisognerebbe non abbandonarsi all'emozione provocata da immagini incapaci di restituire una realtà più complessa».

Lorenzo Cremonesi - " Fuoco dai tank sulla scuola Onu "

Almeno Cremonesi riporta la dichiarazione dell'esercito israeliano che dalla scuola Onu partivano i razzi contro Israele. Invitiamo a leggere l'articolo di Amy Rosenthal sul Foglio nella rassegna di oggi su IC.

KHAN YUNIS (Striscia di Gaza) — Si attende l'applicazione del cessate il fuoco. Ma intanto i civili a Gaza continuano a soffrire. E ieri sera fino all'ultimo Hamas ha continuato a sparare, dalla nostra abitazione a Khan Yunis abbiamo sentito poco prima della mezzanotte almeno quattro missili sparati verso Israele. Ieri mattina il fatto più grave è avvenuto a Beit Lahiya, una cittadina appena a nord di Gaza City, dove i colpi partiti da un carro armato hanno investito la scuola locale delle Nazioni Unite. I medici palestinesi segnalano la morte di almeno due bambini e alcuni feriti. E sembra un vero miracolo che non ci siano altre vittime gravi. Nella scuola erano raccolti circa 1.600 profughi, tra loro molti civili fuggiti dal vicino campo profughi di Jabalia e da alcuni dei quartieri di Gaza City più violentemente bombardati nelle ultime ore. La protesta dell'Unrwa (l'Agenzia Onu per i palestinesi) è arrivata immediata, assieme alla richiesta di un'inchiesta internazionale e all'accusa ad Israele di «crimini di guerra». Sarebbe questa la quarta scuola Onu bombardata nelle ultime 3 settimane. La risposta dei portavoce a Gerusalemme non muta: se i nostri soldati sparano significa che in quei luoghi, da qualche parte, i miliziani di Hamas tirano i loro missili facendosi scudo con i civili.
I bombardamenti vanno a ondate. Una settimana fa erano concentrati nel sud. Ora l'epicentro è il nord. Negli ultimi giorni si sono intensificati i raid notturni. Dal centro di Khan Yunis si sono udite fortissime esplosioni verso la mezzanotte di venerdì e poi dopo le cinque di ieri mattina. Quindi è cresciuta la voce di un imminente cessate il fuoco unilaterale da parte israeliana. E la popolazione, nonostante il pericolo, si è riversata per le strade. I negozi hanno aperto in massa. C'è una grande voglia di normalità, tanto che anche gli scoppi occasionali, persino nel centro delle zone urbane, lasciano quasi indifferenti. Le radio locali hanno commentato l'intensificazione dei bombardamenti come una sorta di colpo di coda. «Israele intende a tutti i costi terminare i raid prima dell'insediamento di Barack Obama e preme su Hamas affinché accetti i suoi termini » commenta al Corriere Mohammad al Farah, 42enne, sindaco di Khan Yunis e noto simpatizzante di Hamas sin da quando nel 1992 venne espulso per 8 mesi nella località libanese di Marjal Zuhur assieme a tutti i maggiori leader del movimento che via via sono stati uccisi, oppure oggi restano ben nascosti. «Ma noi non ci arrenderemo. Israele è come il pugile forte contro quello debole. La loro vittoria è metterci ko il prima possibile. La nostra è restare sul ring il più a lungo possibile. Più continuiamo a sparare, più il mondo sentirà la nostra voce» aggiunge. E che dire allora del vostro uso strumentale dei civili, come potete lamentarvi dei morti innocenti se Hamas spara dalle scuole? «Il mondo deve capire che noi ci difendiamo dall'occupazione. Non siamo un esercito regolare, difendiamo le nostre case, la nostra terra, la nostra gente, perché siamo parte della gente e lo facciamo come possiamo». Al cessate il fuoco unilaterale al Farah crede molto poco: «Prima di tutto gli israeliani devono uscire da Gaza e levare l'embargo economico. Da due anni tutta la Striscia di Gaza è una grande prigione. Poi potremo negoziare una hudna, una tregua con Israele lunga almeno 10 anni».

Fabrizio Caccia. " Corteo a Roma, svastiche sulle bandiere isrealiane"

riporta il Corriere, "siamo 200.000", ma la questura corregge " 15.000), Palliwood anche a Roma ?

ROMA — Per fortuna non succede come ad Amsterdam, dove cantavano «Hamas Hamas, tutti gli ebrei nelle camere a gas». E non succede come a Milano, dove le bandiere d'Israele sono finite al rogo, né come a Firenze, dove ieri un ordigno rudimentale è stato trovato nella casa Schabat che accoglie chi visita la sinagoga. Però sulle Stelle azzurre di David compaiono le svastiche nere e lo slogan gridato da chi sfila è «sionismo uguale nazismo». Roma, ieri pomeriggio: c'è voglia d'intifada. Lo gridano apertamente le donne dell'Ucoii (l'unione delle comunità islamiche italiane) col capo velato: «Un sasso qua, un sasso là, un sasso per la libertà ». Lo fanno gridare anche ai loro bambini, decine di bambini che tengono in braccio bambolotti insanguinati, per ricordare i coetanei uccisi a Gaza in questi giorni dai bombardamenti israeliani. Il corteo sfila da piazza Vittorio, il cuore della città multietnica, fino a Porta San Paolo, luogo simbolo della Resistenza (non a caso), con una sola parola d'ordine: «Fermiamo il massacro dei palestinesi a Gaza». Marciano in duecentomila, secondo gli organizzatori (il Forum Palestina e altri), ma la Questura dice «12-15 mila». Comunque sia, gli islamici presenti sono numerosissimi: musulmani venuti in pullman da Brescia, Massa Carrara, Firenze, Napoli, Foggia. Espongono un cartello con la scritta: «Grazie Santoro per la sincerità e la verità». Tutto l'opposto di ciò che pensano al Ghetto, lì vicino. Nidhal ha 7 anni e apre il corteo: «Ho avuto gli incubi, ho sognato che uccidevano anche me», racconta. A lui, figlio di una tunisina che vive da anni in Italia, viene dato il megafono per scandire lo slogan d'inizio: «Palestina terra mia, Israele via via via».
Ma i cori sono tanti: «Israeliani assassini, giù le mani dai bambini», «Olocausto, genocidio », «Boicotta Israele, sostieni la Palestina». E poi insulti contro Livni e Olmert, Berlusconi e Veltroni. Un minuto di silenzio di fronte alla Fao. C'è chi appende le proprie scarpe all'asta della bandiera per ricordare il gesto del giornalista iracheno che lanciò le sue contro Bush e per questo è finito in carcere.
«Siamo tutti palestinesi», è un altro slogan: ci sono Paolo Ferrero di Rifondazione, Oliviero Diliberto e Marco Rizzo dei Comunisti italiani, Marco Ferrando del Partito comunista dei lavoratori, Flavia D'Angeli di Sinistra critica, il disegnatore Vauro. Più bandiere rosse che arcobaleno. Ci sono anche Cobas, Fiom, i centri sociali, gli studenti dell'Onda e i Carc. Vessilli con Mao, Ocalan, Arafat. Dalle casse dei camion, poi, Bandiera rossa, Bella Ciao e L'internazionale. Mancavano da tempo.
Alle cinque e mezza spaccate, all'ora del tramonto, i musulmani interrompono la marcia e si fermano tutti, in silenzio, spalle al Colosseo, si levano le scarpe e s'inginocchiano sulla stoffa delle bandiere verdi e nere di Palestina per la preghiera del giorno. «Allah è grande», gridano in via dei Fori imperiali. E a un carabiniere in divisa, davanti alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano, viene spontaneo farsi un segno di croce.


Che si dice a sinistra ? D'Alema attacca la destra dicendo che ha cambiato opinione perchè prima era fascista. Ma se da fascisti si diventa democratici, è forse un male ? Molto peggio D'Alema che era comunista e continua ad esserlo, in più era contro Israele e anche lì continua ad esserlo. Ne scrive:

Paola Di Caro: "  Nel PdL è con Israele chi prima era antisemita "

ROMA — Ci sono «alcune personalità del centrodestra» che vogliono fare del loro rapporto con Israele «la testimonianza del fatto di aver cambiato pelle, perché vengono da una tradizione fascista e antisemita». Non usa toni felpati Massimo D'Alema, e a chi gli chiede, durante la sua partecipazione alla marcia di Assisi contro la guerra a Gaza, se non si senta a disagio per le manifestazioni anti- israeliane che si svolgono in Italia e non solo, l'ex premier replica deciso: «L'antisemitismo è una barbarie», quella di Assisi non è certo una marcia «contro Israele» ma «non si può considerare ogni critica ad Israele come una manifestazione di antisemitismo ». E comunque «mio padre quando c'era il fascismo lo combatteva per difendere gli ebrei. Non ho nulla da giustificarmi in questa materia, non devo spiegare che non sono antisemita, io. Altri lo devono fare».
Parole che naturalmente scatenano la protesta. Durissimo il portavoce di FI, Daniele Capezzone, che vede l'ex ministro degli esteri «in totale consonanza di toni e contenuti con Santoro» e si chiede se «siano entrambi pronti per collaborare con Al Jazeera?». «Da quello che emerge dalle parole di D'Alema, la politica internazionale del Pd è semplicemente ributtante», protesta Fabrizio Cicchitto.
Ma sono soprattutto gli ex missini, quelli ai quali probabilmente D'Alema si riferiva, a reagire: «Io da bambino ammiravo Mosè Dayan, avevo 11 anni e inneggiavo a lui sul diario — si infervora il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri —. Almirante è sempre stato dalla parte di Israele, e tranne alcune eccezioni, come Rauti, la destra è sempre stata filo-israeliana. D'Alema invece, a differenza di suo padre evidentemente, è sempre stato dalla parte di chi gli ebrei non li difendeva, ma li ammazzava».
«Quella di D'Alema è una
excusatio non petita, nessuno lo considera antisemita— assicura il reggente di An, Ignazio La Russa —. Ma antisemiti non siamo mai stati neanche noi, questo è certo. Mio padre era fascista, ma mi ha sempre insegnato il rispetto per Israele, Almirante sosteneva le ragioni dello Stato ebraico. D'Alema invece era tra quelli che nel '68 sfilava gridando "Al Fatah vincerà"». E che di antisemitismo non si possa parlare lo giura anche Francesco Storace, leader della Destra, uno che si proclama con orgoglio fascista e che pure condivide con D'Alema la posizione sul conflitto di Gaza: «Ma al massimo — dice — a Fini, ai suoi, puoi dare degli opportunisti, dei senza ideali, non degli antisemiti, perché non è vero. Una cosa è il servilismo, voler essere più realisti del re, altra antisemiti». E comunque «su queste materie dovremmo tutti abbassare i toni: la situazione è talmente drammatica che è meglio andare con i piedi di piombo e cercare di essere il più possibile equidistanti ».

Fabrizio Roncone: " Chiamparino: Lo Stato ebraico nuovo nemico a sinistra "

ROMA — «La sinistra radicale italiana ha il grave problema di sentirsi viva solo se individua un nemico assoluto: in questo caso, purtroppo, mi sembra abbia individuato lo Stato di Israele».
Sindaco Sergio Chiamparino, lei è preoccupato.
«Penso che si debba fare molta attenzione. La stragrande maggioranza dell'opinione pubblica per ora non sembra essere influenzata dal comportamento di certe frange estremiste: però non dobbiamo neppure sottovalutare il valore simbolico di alcuni gesti».
Quali?
«Le svastiche disegnate sui muri, le bandiere di Israele bruciate...».
( Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, ex Pci-Pds-Ds e ora tra i più autorevoli esponenti del Pd, risponde al telefono dalla sua abitazione: è in poltrona, la tivù accesa per recuperare, con i tigì, la giornata che gli è corsa via: al mattino ospite a Omnibus su La7; poi un incontro con il cardinale Severino Poletto; infine protagonista di un'intervista pubblica a Portacomaro, vicino ad Asti, il paese di origine della madre Maddalena).
Le bandiere di Israele bruciate, ecco. D'Alema ha detto che l'opinione pubblica è più scossa dalle immagini dei bambini palestinesi uccisi.
«Guardi: io non penso che si possa sospettare D'Alema di chissà cosa... D'Alema, credo, si limita a ragionare su come poter interrompere la guerra ». La comunità ebraica romana, però, non l'ha invitato a una manifestazione a sostegno di Israele. Non l'hanno considerato un amico: al pari di Ferrero e Diliberto.
«Guardi, io dico che è legittima, anche all'interno del Pd, una discussione su quali siano le strade più giuste per arrivare a una pace... Più attenzione farei invece all'uso di certi termini...».
Tipo?
«Non possono esserci rivolte accuse di antisemitismo, più o meno strisciante... non sono accettabili. Le ricordo che Vittorio Foa ammoniva: dev'esserci un rapporto tra le parole e le cose...».
D'Alema, a sua volta, accusa alcuni esponenti del Pdl di avere un passato da antisemiti.
«Il che, purtroppo, mi sembra storicamente vero».
In Olanda, ci sono cortei in cui si sfila gridando «Hamas! Hamas! Gli ebrei nelle camere a gas!».
«Lo dicevo prima: dobbiamo far sì che, nel dibattito, gli estremisti non trovino un loro spazio. Tantopiù che, in Italia, la presenza di immigrati d'origine araba è, come si sa, cospicua».
Michele Santoro.
«Fa una trasmissione faziosa. Chi ci va, sa dove va. Detto questo, la Annunziata aveva tutto il diritto di eccepire senza, per questo, essere sospettata di volersi ingraziare qualcuno».

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