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La Repubblica Rassegna Stampa
16.01.2009 Fosforo sull'Onu: la bufala che diventa fatto
e il dogma del terrorismo invincibile

Testata: La Repubblica
Data: 16 gennaio 2009
Pagina: 0
Autore: Safa Joudeh - Ellekappa
Titolo: «La nube tossica che ci soffoca - vignetta - Gaza, migliaia in fuga dalla guerra Ma ai funerali il dolore diventa sfida»
Nell'articolo di Safa Joudeh "La nube tossica che ci soffoca", pubblicata a pagina 11 de La REPUBBLICA del 16 gennaio 2009 viene dato per scontato che Israele abbia usato proiettili al fosforo contro l'edificio dell'Unrwa a Gaza. Una notizia assolutamente non verificata.

A pagina 10 la vignetta di Ellekappa parte dallo stesso presupposto. Due personaggi intrattengono questo dialogo "Bombe al fosforo sulla sede Onu a Gaza - Così impara dire che Israele fa un uso eccessivo della forza".

Infine Guido Rampoldi sostiene l'impossibilità di sconfiggere il terrorismo islamico, perché parte di una cultura che esalta la morte.

Una scoperta tardiva che però serve solo a denunciare come inutile l'autodifesa di Israele:

Gaza, migliaia in fuga dalla guerra Ma ai funerali il dolore diventa sfida


La cinquantenne energica che solleva le dita nel segno della vittoria è la vedova di un famoso sceicco di Hamas caduto in combattimento. La più giovane, l´unica con il viso scoperto, non ha dimenticato del tutto l´inglese appreso in Algeria, dove è vissuta fin quando lei e il marito si sono illusi che gli accordi di Olso avrebbero portato la pace in Palestina. Allora sono tornati a Gaza, ed ecco com´è finita: poco dopo l´alba i tank appostati a mezzo chilometro da Hain Naser, un sobborgo di periferia, «hanno cominciato a mitragliare il nostro casolare e quelli vicini». Poiché la famiglia aveva la fortuna di possedere una macchina è riuscita a scappare. Il marito ha lasciato la moglie e figli in città ed è tornato al fronte, in tempo per vedere la propria casa bruciare.
I tank erano sette, e i palestinesi che hanno tentato di fermarli, fossero miliziani di Hamas o proprietari di quei casolari, hanno avuto la peggio. Il furgone che porta indietro uno degli uccisi è imbandierato con gli stendardi di Hamas e il suo altoparlante semina per le strade vuote della periferia orientale un canto gutturale e melanconico. Trovo altri reduci dello scontro nell´ospedale di Gaza. Un miliziano di Hamas: «Non riusciamo a recuperare i morti e i feriti, sparano su chiunque, anche sulle ambulanze. Hanno perso la testa, forse per le voci su un cessate-il-fuooco imminente». Un abitante di Hain Naser: «Un uomo è morto dissanguato perché non permettevano di avvicinarsi. Hanno minato o dato fuoco alle case che si lasciavano dietro, e si sono trincerati nella sabbia». Ormai sono a due chilometri dal centro.
Ma se entrassero difficilmente riuscirebbero a snidare una guerriglia che combatte con circospezione, di notte, e all´alba si dissolve all´interno della popolazione. Gli uccisi delle ultime ore, i "martiri", sono sette, e verranno tumulati tutti insieme all´una del pomeriggio nel cimitero di Rafah. Le veglie funebri durano poche ore, e si svolgono in centro, sotto tende di plastica verde. Chiedo al padre di Youssef Mustafa al-Kurd come siano morti il figlio e l´amico Ahmed al-Bilbasi, anche lui ventunenne, ma ottengo risposte vaghe. Entrambi erano «in visita da amici», sostiene, quando il razzo li ha ammazzati.
Per una città di 150mila abitanti, i quattromila che partecipano ai funerali sono una folla imponente. In gran parte giovani, e forse combattenti; nessuna donna è ammessa alla cerimonia. La policromia delle sciarpe conferma che l´offensiva di Israele grossomodo ha riunito tutti i fratelli-coltelli palestinesi. Ci sono le kefieh a quadratini bianche e verdi, Hamas; bianche e nere, Fatah; bianche e rosse, il Fplp di Habbash.
Ma a guidare la marcia verso il cimitero saranno le bandiere di Hamas, seguite dalle bandiere nere della Jihad islamica. Al momento della preghiera un caccia israeliano sorvola i fedeli a non più di duecento metri dalle teste, con un boato trionfale, sarcastico: a suo modo, anche Israele è presente al funerale. Puntuale. Onnisciente. Ma l´imam che guida la preghiera non ha un´esitazione, e anche i fedeli ignorano intenzionalmente quella dimostrazione di potenza. Allah-u-Akbar, ripete l´imam. Dio è grande, più grande d´Israele.
Ora siamo sullo stradone che conduce al cimitero, confidando come tutti che la guerra risparmi le esequie e i partecipanti. Da un altoparlante una voce rimbomba: «Le nostre condoglianze e il nostro salute alle anime dei martiri volerà con i missili al Banna», i razzi di 10 centimetri di diametro che Hamas sparacchia sulle città israeliane. Le salme sono avvolte nelle bandiere verdi di Hamas e trasportate su barelle che procedono nel corteo a velocità discontinua: talvolta gli otto che portano a spalla il defunto partono con una sorta di corsa improvvisa e concitata, e l´accompagnano con strilli di rabbiosa esultanza. «Il martire è colui che ama Dio», si grida.
Chi dirige il corteo per mezzo dell´altoparlante invita i fedeli a dire chi è il loro dio: tutti alzano l´indice, per intendere Allah. E quel punto il funerale diventa una manifestazione politica. Volete abbandonare la resistenza? No. Volete riconoscere l´esistenza di Israele? No. Continuerete a lottare per liberare la Palestina? Sì.
Il cimitero è una distesa di tumuli di sabbia sui quali crescono piante grasse. L´imam che pronuncia l´orazione funebre assicura di aver ricevuto almeno cinquanta telefonate dallo Yemen, amici che ardono dal desiderio di combattere a Gaza. «Tutti gli arabi oggi vorrebbero essere qui in Terrasanta, per difendere la Palestina».
Eppure qui a Gaza finora non si è vista traccia dei milioni di volontari che Hezbollah dal Libano, gli ayatollah da Teheran e al Qaeda dai suoi rifugi invitavano ad accorrere. «Dio punisce i giudei e chi li aiuta», conclude l´imam. Il funerale è finito. Di nuovo il suono di Rafah è il rombo oscuro del cielo, il suono prodotto dagli andirivieni dell´aviazione israeliana. Nel pomeriggio quegli aerei uccideranno a Gaza il capo della polizia segreta di Hamas, Said Siam. E´ il maggior successo militare ottenuto finora da Israele, e quando apprendono la notizia alcuni giovani quadri di Hamas sono affranti. Ma il loro scoramento dura poco. Dieci minuti dopo, uno di loro mi racconta del miracolo di cui non mi ero reso conto. E´ accaduto al cimitero, al momento della tumulazione del ventiduenne Khaled Abid, militante di Hamas.
La famiglia aveva deciso di seppellirlo insieme al fratello Mahmud, ucciso sei anni fa in territorio israeliano, dunque martire, e perciò, se accettato come tale da Dio, risparmiato dalla corruzione della carne. Scavata la sabbia e sollevato il coperchio di cemento, gli astanti hanno constatato che non solo la salma non si era decomposta, ma addirittura nelle vene il sangue era caldo.
Una cultura che trasforma la sconfitta più definitiva, la morte, in una vittoria paradisiaca, è invincibile. O almeno, non può essere sconfitta con mezzi militari. Quanto più perde, tanto più vince. Quanto più viene decimata, tanto più si conferma nella certezza di essere la prediletta dal Signore. E Dio è più potente di Israele.
«Allah vendicherà la nostra moschea», dice lo sceicco Mansur abu Humaid, imam della moschea al-Abraar, nel centro di Rafah, distrutta l´altra notte da una bomba israeliana. Lo sceicco è un leader ideologico di Hamas. Israele gli ha distrutto la casa e ucciso un figlio. «Allah vendicherà i nostri bambini e le nostre donne». La moschea, racconta, era stata costruita con le offerte dei fedeli, settimana dopo settimana. La bomba l´ha colpita esattamente al centro, con una violenza tale da sbriciolare tutte le botteghe limitrofe e deformare un lampione a 50 metri, piegandolo in una specie di sinuoso inchino. Ieri una via-vai di carretti portava in salvo la merce delle botteghe distrutte; sulle rovine sventolavano le bandiere di Hamas e della Jihad e dal rudere si ergevano, intatte, le sagome impolverate di due grandi antenne paraboliche. Difficile intendere se le parabole siano il motivo per il quale Israele abbia colpito la moschea, e se un motivo "militare" vi sia. Impensabile, infatti, che i capi di Hamas si nascondessero in un tempio notoriamente collegato al loro partito.
Le bombe che cadono sul quartiere di Ibna parrebbero obbedire ad una razionalità meno dubbia. Ibna corre in parallelo alla linea di confine, e dalle cantine delle case partono decine di gallerie che sbucano o sbucavano in Egitto. L´aviazione israeliana ha ridotto in macerie decine di case e ammazzato una trentina di palestinesi.
Ibna adesso è vuota. Gli abitanti sono tutti in casa di amici o di parenti, finché anche quella zona non diventasse insicura. E l´Egitto, la salvezza, la via di fuga, è appena oltre il muro, a 300 metri dalle ultime case.

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