Il premio Ignobel a Dario Fo, il fascino del marchio palestinese l'Andrea's Version e un editoriale
Testata: Il Foglio Data: 15 gennaio 2009 Pagina: 1 Autore: Andrea Marcenaro - la redazione Titolo: «Andrea's Version - Il fascino del marchio palestinese»
Dalla prima pagina del FOGLIO del 15 gennaio 2009, l' Andrea's Version:
Dario Fo dice di voler tornare alla linea di Moro e di Craxi, nella politica estera che si esprime in medio oriente. E lo fa così. Spiegando che in Israele siamo in presenza di un regime che pratica l’apartheid; che Israele ha scatenato una guerra soltanto perché si trova in campagna elettorale, dal momento che in campagna elettorale tutto è lecito, basti infatti pensare a Berlusconi in Italia; loda i giovani simpatizzanti di Hamas che hanno manifestato l’altro giorno a Milano; denuncia il clima ricattatorio per cui si spara a zero contro chiunque osi avanzare un dubbio sul comportamento morale di Gerusalemme; e aggiunge infine la seguente osservazione: certo, il risentimento palestinese si esprime con un terrorismo, ma in misura blanda. Questa della modica quantità riguardo alle cinture esplosive, è un’idea particolarmente brillante. Tipica della mente di un Nobel. O meglio, mezzo nobel e mezzo ignobel.
Da pagina 3, l'editoriale "Il fascino del marchio palestinese":
Il marchio palestinese si porta ancora molto, l’usura del tempo e la sua metamorfosi fondamentalista non hanno attenuato la generale simpatia riscossa dalla promozione pubblicitaria dei successori di Arafat. Nella destra estrema, nella sinistra arrabbiata e nel comune giudizio di superficie indotto dall’utilizzo mediatico di numerose e seducenti foto di giovani donne e bambini palestinesi, pare sopravvivere quel tratto leggendario di lotta per l’emancipazione che ha sempre caratterizzato i socialismi nazionali o panarabi. Con o senza kefiah, quello palestinese rimane un dagherrotipo classico cui attinge con facilità la retorica terzomondista e liberatrice dalle ingiustizie che cadono sugli “ultimi della terra”. La radicalizzazione islamista impressa da Hamas, il fatto che il tradizionale patriottismo mediorientale sia diventato un progetto di guerra all’occidente in nome del califfato globale, viene tutt’al più ascritto alle colpe delle democrazie colonialiste. Ovvero accade qualcosa di più estremo. Come un tempo per la rivoluzione khomeinista – incubo oppressivo confuso con un’alba di liberazione anche da tanti attuali segugi del nazislamismo – il sottofondo irrazionale dell’occidente stordito si lascia intrigare dall’estetica guerriera dei talebani, dal fascino primitivo del pastore indoeuropeo islamizzato che vive di nomadismo indomito e implacabile sharia. Dietro queste infatuazioni, c’è un rapporto d’attrazione sottaciuta paragonabile a quello che può intercorrere tra un corpo anemico e una riserva impetuosa di sangue.
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