Da L'OPINIONE del 15 gennaio 2009, una lettera aperta di Deborah Fait, "Israele ha fatto un sogno":
Shalom mondo! Non è possibile scrivere perché la mente è dovunque, è là con i nostri soldati, è con gli israeliani del Neghev ancora sotto i razzi, è con il rumore dei “bum” che sento fin qua a casa mia mentre giuro a me stessa che mai andrò in rifugio, la mente è con i nostri bambini rinchiusi nei rifugi in preda al terrore che porta qualcuno ad avere vere e proprie crisi epilettiche. La mente è là, al di là del mare, in Europa in America dove molte decine di migliaia di fanatici antisemiti manifestano contro Israele.
Roma, Londra, Parigi, Madrid, Milano, città dopo città, tutti in piazza con le bandiere palestinesi sventolanti e le bandiere israeliane carbonizzate. I cartelli ondeggiano con la marea di gente che urla, che sbava, che brucia. Io resto paralizzata di fronte a quello che vedo in Tv o che leggo in Internet contro Israele. Giorni fa una gentile fanciulla, durante una manifestazione a Londra, si è scagliata contro un gruppo che portava la bandiera di Israele, urlando “dovete tornare nei forni”. Ho avuto modo di leggere su un forum che “Il nazismo è tornato in Europa, con la kippa”. Personalmente non riesco più a sopportare tutto questo. Dove eravate voi giusti del mondo quando a Osher Tuito, di Sderot, veniva amputata una gamba perché, andando a comprare un regalo per il compleanno del papà, fu ferito da un razzo? Aveva 8 anni e per otto anni non aveva sentito altro che il “bum” dei razzi. Dove eravate mentre i nostri bambini, per otto anni, soffrivano e soffrono di attacchi epilettici da paura per questa roulette russa? Il razzo cade dove cade, quando non si sa, ogni 5 minuti, ogni mezz’ora, ogni ora ma soprattutto non si sa perché.
Dove eravate mentre per otto lunghi anni la gente correva come impazzita avendo 15 secondi di tempo per salvarsi mentre, inesorabile, la voce metallica dell’altoparlante, scandiva “zeva adom… zeva adom”. 15 secondi, provate a contare fino a 15, voi là nel mondo, e correte pensando che un razzo può cadere sulla vostra testa o quella di vostro figlio, correte su, contate da bravi, uno…due…tre…quindici …Bum! Siete rimasti vivi? Bene, vedremo la prossima volta! Dove eravate quando vi chiedevamo di capire che i palestinesi non volevano la pace ma la fine di Israele? Per otto anni da Gaza hanno bombardato il Sud di Israele e voi i Qassam li chiamavate “sigaretti” e ridevate della paura dei nostri bambini e dei loro genitori. Dicevate “tanto non ammazzano nessuno”, invece qualcuno è stato ammazzato e anche molti bambini ma voi non ne avete idea perché Israele non dà i suoi morti in pasto ai media. Ridevate di noi e della nostra paura, ci dicevate “Uscite da Gaza, quella è terra loro”. Bene, nel 2005 siamo usciti da Gaza, abbiamo portato via 10.000 persone che avevano creato in 40 anni, un impero di esportazione di prodotti biologici. Abbiamo deportato questi israeliani dalle loro case in alberghi e case temporanee per lasciare la Striscia ai palestinesi che tanto la anelavano, secondo voi! E poi, cosa è successo? Anelavano tanto di prendere possesso di Gaza che , fuori gli ebrei, hanno bruciato tutte le serre lasciate intatte perché potessero continuare il lavoro. Bruciato, distrutto e ballato intorno agli enormi falò che segnavano la fine della speranza israeliana di vedere gettare la basi di un inizio di Stato palestinese e di una possibile pace. Parlo di speranza israeliana perché ai palestinesi non interessa uno Stato palestinese ma la conquista e distruzione dello Stato ebraico per aprire la strada al famoso califfato, sogno di ogni fondamentalista islamico. Perché ignorate le sofferenze degli israeliani? Perché siete rimasti in silenzio quando 10.000 razzi su cittadini inermi violavano ogni diritto umano? Nessuna nazione al mondo avrebbe avuto tanta pazienza e il risultato è il vostro odio e manifestazioni di odio.
Israele boia perché muoiono civili a Gaza? Bene allora incominciate pure a gridare Hamas boia perché tutti i civili morti sono imputabili a chi non li ha lasciati scappare dopo che Israele aveva lanciato milioni di volantini scritti in arabo, dopo che Israele aveva fatto centinaia di telefonate. La gente voleva scappare, Israele preparava i corridoi umanitari e vi si introducevano i miliziani di Hamas che sparavano. E’ questa genia che voi state difendendo, questa genia che si fa scudo dei bambini, li acchiappano al volo correndo tra la gente , li acchiappano e se li tengono stretti. Non le sapete queste cose laggiù nel Mondo? Hamas lascia i suoi civili sotto le bombe e dentro ai rifugi vanno i capi, Haniye è sotto terra, nel suo bunker personale, dal primo giorno di guerra. Da là ogni tanto manda messaggi ai suoi miliziani “stiamo vincendo” e poi prega in diretta Tv. State tranquilli che nessuno degli uomini di Hamas inorridisce per i morti palestinesi, per loro sono materiale di propaganda. Noi dobbiamo proteggerci, Israele non permetterà al terrorismo di vincere e questo salverà anche voi, laggiù in Europa. Desidero concludere con una nota positiva, citando una poesia letta durante una delle poche manifestazioni di solidarietà a Israele tenutasi a Roma. Si intitola: “Su populu ebreu at fattu unu sonnu” (Israele ha fatto un sogno ) di Alessandro Matta:
Israele ha fatto un sogno di quelli strani.
Ha sognato un mondo che non lo odiava
che contro l’antisemitismo unito lottava
che Hamas e tutto il terrorismo più non plaudiva...
Da L'OPINIONE del 14 gennaio, il reportage di Michael Sfaradi "La vita in sospeso, sotto la minaccia dei Qassam":
E' mattina presto, anche se la luce del sole illumina come in Italia mezzogiorno. So perfettamente che sarà una lunga giornata. Dopo aver attaccato sulla macchina il cartellino con su scritto Press, vado all’ufficio che distribuisce i “Passi” per avvicinarsi alle zone di confine. L’impiegato mi guarda come fossi un marziano, uno sguardo che nasconde 1000 perché. Sono sicuro che si sta chiedendo chi me lo fa fare ad avvicinarmi in una zona che nasconde pericoli reali ma non ho tempo né voglia di stargli a spiegare i suoi pensieri sono fuori luogo. Che nel mondo non si capiscono le ragioni di Israele e il perché delle sue dolorose decisioni, e perché c’è bisogno di andare a cercare la verità, guardarla in faccia e spiegarla al mondo gridando con tutta la forza che abbiamo. Monto in macchina, convinto più che mai che quella che sta facendo la cosa giusta e punto dritto verso Sud. Non è la prima volta nella mia vita che mi trovo in zone di guerra, sono sempre uguali, hanno tutte gli stessi segni di riconoscimento e mettono apprensione. Quando le hai viste una volta non le dimentichi più. I cartelli verdi e marroni con le indicazioni di traffico per i mezzi dell’esercito poggiati a terra accanto ai cartelli della comune segnaletica stradale sono il primo segno di riconoscimento, poi, con il passare dei chilometri, i segnali che ci si sta avvicinando ad una zona calda diventano sempre più numerosi. Ai bordi della strada le macchine della polizia civile o le camionette di quella militare, non tantissime ma più del solito. L’autoradio è sintonizzata su una stazione di Tel Aviv che continua a trasmettere musica e messaggi, a volte sono di ragazze che salutano i loro fidanzati che stanno combattendo nella Striscia di Gaza, altre volte sono mamme che raccomandano ai loro figli la massima attenzione... mai raccomandazione è stata più inutile.
Avevo promesso a me stesso che non avrei cambiato stazione radio fino al limite dei 40 km dal confine con la striscia di Gaza, riesco a stento a mantenere la promessa ma quando mi rendo conto di aver superato il limite le mie dita quasi automaticamente spostano le frequenze su quelle della radio militare. Da quel momento in poi l’etere può portarmi il segnale che un missile o un razzo sta per colpire la zona in cui mi trovo. Quando leggo “Sderot” capisco che sono quasi arrivato all’attuale ombelico del mondo, ma anche se non fermerò in città decido che un giro vale la pena di farlo. Supero un paio di semafori e mi ritrovo in un centro quasi completamente disabitato. I negozi, fatta eccezione per un vecchio chiosco ed un fornaio sono tutti chiusi, Ismail Haniye, il primo ministro del governo di Hamas a Gaza, aveva detto che avrebbe trasformato Sderot in una città fantasma, se Israele non lo avesse fermato forse ci sarebbe riuscito. Mi siedo a prendere un caffè, e scatta l’allarme, le poche persone che sono sul marciapiede corrono tutti verso il rifugio. Il proprietario del chiosco che ha capito che non ero di Sderot mi fa il segno di seguirlo, neanche il tempo di entrare nel rifugio e la forte detonazione seguita dal suono delle sirene della polizia e delle ambulanze. Per questa volta, per fortuna, non ci sono feriti. Passata l’emergenza ognuno ritorna a ciò che stava facendo in attesa del prossimo allarme, li guardo e penso che questa gente vive così da ben otto anni. Monto in macchina e mi rimetto in viaggio, il mio obiettivo è più all’interno, è il kibbutz Nahal Oz, dove vive il mio amico Dani. Si trova fra Gaza e Sderot e i suoi terreni agricoli arrivano fino al confine con la Striscia. In questi giorni di guerra si è deciso di ridurre al minimo il periodo di lavoro all’aperto. Gli allarmi “Zeva Adom”, cioè “Colore Rosso” scattano con un preavviso di pochi secondi prima che i Qassam arrivino con il loro carico distruttivo e non è piacevole farsi trovare all’aperto in quei momenti.
Il panorama pastorale stride con le colonne di fumo, che si alzano sul cielo di Gaza. Con il tempo scandito dalle detonazioni Dani mi racconta che quando Ariel Sharon decise di smantellare le colonie della striscia di Gaza era stata forte la speranza che si stesse aprendo una fase di calma, se non sulla carta almeno di fatto, ma così non è stato. La politica di Hamas e il rapimento di Gilad Shalit hanno finito di sconvolgere quel poco di equilibrio che ancora era rimasto dopo le due Intifadah. In questi giorni di guerra si riesce a sopravvivere a malapena, gli orari di lavoro sono ridotti e tutti i bambini sono stati trasferiti al Nord, per la precisione nel kibbutz Azorea. Solo due anni fa, durante la guerra del Libano, Nahal Oz aveva ospitato i bambini di Azorea. Un altro segnale che rende sempre più forte il senso di accerchiamento. Si vive male con la spada di Damocle dei Qassam palestinesi sulla testa, mi spiega Dani, ed anche se ora non si riesce a dormire una notte intera senza essere svegliati più volte dai tuoni dell’artiglieria o dagli allarmi. “Neanche noi che siamo fondamentalmente di sinistra e che come tutti i sani di mente odiamo la guerra, non siamo più disposti a vivere vicino ad Hamas. Anche se non sarà possibile distruggerla completamente bisogna metterla in condizione di non nuocere, ha già fatto troppi danni sia noi che, soprattutto, alla popolazione palestinese di Gaza”. Tutto questo detto da una persona che ha fatto del socialismo reale il proprio modo di vita dovrebbe far pensare.
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