Da SHALOM, gennaio 2009, riprendiamo l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Dimenticato e abbandonato da 1000 giorni":
Sono quasi mille i giorni che Gilad Shalit è prigioniero a Gaza, a nulla è servito il rilascio di centinaia di detenuti palestinesi , molti dei quali con le mani lorde del sangue di civili israeliani. Hamas si sente padrone della situazione, e non a torto. Può permettersi di rompere la tregua continuando il lancio dei missili sulle città israeliane di frontiera, Sderot in primo luogo, ma anche sui Kibbutzim vicini al confine, senza che gli stati democratici se ne preoccupino più di tanto. Può eliminare fisicamente le forze fedeli ad Abu Mazen con delle vere e proprie esecuzioni pubbliche, senza che nessuna organizzazione occidentale , tra quelle sempre in prima fila a difendere i diritti dei detenuti di Guantanamo, senta il dovere morale di alzare la voce per condannare la barbarie del comportamento di Hamas. I suoi dirigenti sanno di avere le mani libere. Ciò che una democrazia, giustamente, non potrebbe mai permettersi di fare, ai governi dittatoriali viene graziosamente concesso qualsiasi abuso di potere. Il ragionamento di chi sceglie il silenzio è semplice: non possiamo mica pretendere che una democrazia si comporti come una dittatura, no ? L’esempio più macroscopico è la Croce Rossa Internazionale. Un tempo avremmo usato lo slogan “ rossa sì, ma di vergogna “. Una istituzione che fa la voce grossa solo quando si tratta di intervenire nei paesi democratici, ma che si guarda bene dal mettere in cantiere qualsivoglia iniziativa quando l’impegno deve essere fatto valere in paesi come l’Iran o nella striscia di Gaza, dove Hamas impedisce a chiunque di avere anche la minima informazione su Gilad Shalit, persino conoscere quali siano le sue condizioni di salute. Che le guerre siano portatrici di lutti è un dato di fatto, sarebbe da ipocriti stupirsi delle dinamiche che regolano i conflitti. Ma il caso di Gilad Shalit ha portato alla luce una particolare crudeltà che supera la violenza della guerra, è infliggere una tortura, fisica e psicologica, ad un ragazzo, alla sua famiglia, ad una intera comunità che assiste impotente pur avendo i mezzi materiali per sconfiggere i suoi carcerieri. Ma che, a differenza dei governi criminali, che hanno le mani libere e i cui comportamenti non vengono sanzionati, le mani le ha legate, perché Israele è una democrazia, il codice morale che ne regola i comportamenti va rispettato. Noam Shalit, il padre di Gilad, ha dichiarato a Michael Sfaradi in una intervista su l’Opinione “ Le Nazioni Unite in questi giorni festeggiano i sessant’anni della dichiarazione dei diritti dell’uomo, mentre a mio figlio sono due anni e mezzo che, contro tutte le convenzioni di Ginevra, viene negata la visita della Croce Rossa Internazionale. Non c’è stato un dottore che lo abbia visitato, non sappiamo se sia ancora vivo e nel caso non abbiamo alcuna notizia sul suo attuale stato di salute. Il mondo parla dei diritti dell’uomo, mentre a mio figlio, attualmente, davanti al silenzio generale, questi stessi diritti, i più elementari, vengono negati”. Un dolore che viene accresciuto quotidianamente, perché non vi sono solo diritti negati, ma anche spettacolarizzazione di rapimento e detenzione, come è avvenuto il mese scorso attraverso una sorta di rappresentazione teatrale nelle vie di Gaza, dove la folla urlante imprecava contro un finto Gilad vestito da militare israeliano, mentre , trascinato in strada è costretto a inginocchiarsi e, con le mani sul viso, supplicare “ Shalom papà, shalom mamma, vi prego, dite al premier Olmert di fare qualcosa per me…”. Di fronte ad una crudeltà, che è ancora poco definire oscena, brilla l’assenza della CRI, prona e ubbidiente alle regole dei capi di Hamas, al punto che è lecito chiedersi se valga la pena sostenerne l’alto costo del mantenimento. La CRI non è però sola, ma in buona compagnia con le istituzioni politiche, che hanno adottato anche loro il silenzio quale risposta. E dire che basterebbero alcune delegazioni di deputati, nazionali ed europei, disposti a recarsi a Gaza, per uscirne solo dopo aver incontrato il prigioniero Gilad Shalit. Un’azione che non comporta rischi, nessuna autorità statuale, nemmeno la più estremista, torcerebbe un capello a un gruppo di rappresentanti del popolo europeo in visita a Gaza. Non dimentichiamo che Hamas viene finanziato e sopravvive economicamente grazie alle enormi somme di denaro che riceve proprio dalle istituzioni internazionali. All’ultimo congresso del Partito Radicale c’è stata una mozione in tal senso, presentata da Alessandro Litta Modignani, che è stata accolta quale “ raccomandazione”, il che vuol dire che non è vincolante. Noi ci auguriamo che lo diventi se ci sarà la volontà politica di renderla operativa. E che diventi contagiosa anche verso le altre forze politiche. La battaglia per liberare Gilad Shalit deve essere l’obiettivo di tutti, non sono in gioco gli schieramenti politici. Vedremo se alle parole seguiranno i fatti.
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