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La Repubblica Rassegna Stampa
13.01.2009 Quella di Israele è una guerra inutile, lo dice Selim
Guido Rampoldi, analista per sentito dire

Testata: La Repubblica
Data: 13 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Guido Rampoldi
Titolo: «Selim il re beduino dei tunnel Pronti a salvare i fratelli palestinesi»

Basandosi sulle affrmazioni non verificate del contrbbandiere beduino "Selim" Guido Rampoldi, su La REPUBBLICA del 13 gennaio 2009, sostiene l'inutilità della risposta israeliana all'aggressione di Hamas.
Sarebbero bastate un po' di pressioni sull'Egitto per chiudere i tunnel, giunge a sostenere, come se Israele non ci avesse mai pensato.
Le armi iraniane, d'altro canto non potrebbero arrivare a Gaza. Da raccontare agli abitanti di Ashkelon, Be'er Shevae Ashdod.

Ecco il testo
 "Selim il re beduino dei tunnel Pronti a salvare i fratelli palestinesi":

In principio un ragazzo intrepido si innamorò di una ragazza molto bella. Non si può dire che quel che avvenne due secoli fa nella penisola arabica sia all´origine della battaglia in corso a Gaza, ma certamente è parte di quella storia. La ragazza disse al ragazzo che l´avrebbe sposato soltanto se avesse superato tre prove di astuzia. Il ragazzo le superò e prese la ragazza in moglie malgrado appartenessero a tribù diverse, una condizione che avrebbe dovuto impedire il matrimonio
Per lavare l´affronto la tribù della sposa attaccò la tribù dello sposo, i Sawarka, e ne massacrò duecento. I sopravvissuti fuggirono verso nord, traversarono deserti, e infine si stabilirono in questo pezzo di Sinai oggi al confine con Gaza. Erano allevatori di cammelli e mercanti. Ma a partire dagli anni Settanta divennero centrali al traffico di armi e di droga che tuttora coinvolge la gran parte delle 13 tribù beduine padrone del Sinai. Superare il confine con la Striscia di Gaza, all´epoca controllato dagli israeliani, pareva impossibile. Ma i palestinesi pagavano bene e i beduini sono ingegnosi. Insieme, costruirono la rete sotterranea che in seguito permise ad Hamas di armarsi. Stamane l´aviazione israeliana è tornata a martellarla, e deve aver colpito anche il deposito di carburante all´estremità del tubo che passa sotto il confine, perché una colonna di fumo nero ora sale dalla parte palestinese di Rafah. Pochi minuti dopo la scia bianca di un razzo schizzato verso Israele confermerà che Hamas non intende capitolare.
Assisto a questa guerra aerea dalla sommità della duna più alta della Rafah egiziana, insieme ai giovani beduini che sono arrivati fin qui in sella alle loro moto e ora osservano lo spettacolo con un certo distacco, come se lo scontro tra israeliani e palestinesi non li riguardasse più di tanto. I missili israeliani arrivano con fischi acutissimi e si infilano nella terra di nessuno, duecento metri di sabbia tra i due muraglioni che corrono in parallelo lungo i 13 chilometri della frontiera. Esplodono non in superficie, ma sotto, e le onde d´urto sono abbastanza forti da destabilizzare non solo le gallerie sotterranee, ma anche le mura delle case affacciate sul confine. Sembrano molto precisi. Però l´altra notte avrebbero ferito due militari egiziani, secondo quanto mi dice il dottor Ahmed Abdul Wahab, responsabile delle ambulanze sulla frontiera di Rafah. Altri raccontano che gli egiziani feriti (in modo lieve) sarebbero cinque. Due o cinque, non se ne trova traccia nei notiziari ufficiali, e di conseguenze il governo egiziano non è costretto a reagire alle rudezze dell´ingombrante vicino.
Quanto rimanga delle gallerie dopo numerosi bombardamenti non è chiaro, e forse non è rilevante come in genere si crede. A quel che infatti mi racconta Selim, un co-proprietario di tunnel, le gallerie sono completamente inutilizzate, sia perché Israele le colpisce, sia perché la polizia egiziana ha ordinato ai beduini di sospendere ogni commercio sotterraneo. In altre parole, forse adeguate pressioni sul Cairo sarebbero state sufficienti per risolvere il problema. Peraltro dal racconto di Selim risulta evidente che neppure la distruzione dell´intera rete sotterranea aumenterebbe di molto la sicurezza di Israele. I piccoli missili Qassam che Hamas tira sulle città israeliane non sono importati, ma fabbricati a Gaza. Tutto ciò di cui la missilistica palestinese necessita è qualche chilo di tritolo. E non vi è frontiera al mondo che sia impermeabile all´ingresso di quantità così modeste.
Per importare a Gaza missili iraniani, in grado di colpire con precisione qualsiasi città israeliana, occorrerebbe una galleria di dimensioni ben maggiori delle gallerie esistenti, la più grande delle quali ha una sezione con base di due metri e altezza di un metro e mezzo. Va da sé, aggiunge Selim, che se vi fosse domanda adeguata e le condizioni risultassero allettanti, l´offerta non mancherebbe. «Se serve una galleria più grande, costruiremo una galleria più grande. Siamo beduini».
Selim è diventato ricco ma continua ad abitare nel deserto, e ben lontano dal Mediterraneo, insomma a distanza dagli ambienti di cui un beduino più diffida, il mare e la città. E´ un uomo imponente, con baffi neri, la kefiah, il telefonino e un giaccone di pelle indossato sulla veste lunga. Piuttosto vanitoso, a giudicare dal compiacimento col quale si offre alla telecamera di Stefano Savona, il documentarista che insieme al produttore Roberto Ruini alimenta il sito dagaza. org (con il proposito, spiegano i due italiani, di «offrire un punto di vista sugli eventi di Gaza diverso da quanto confeziona la nostra informazione»).
Selim ci accoglie nella capanna di canne che è il suo salotto.
Un´unica lampadina, un braciere con il tè, la sabbia come pavimento. Fuori, il plenilunio sagoma con contorni netti ogni cespuglio che galleggia sulle onde morbide del deserto.
Selim è quello che qui si chiama "il manager", e cioè una sorta di amministratore delegato della società, in genere formata da quattro membri, che finanzia la costruzione della galleria. Il costo medio si aggira sugli 80 dollari al metro lineare. Nelle versioni meno spartane, i tunnel dispongono di luce elettrica, una scala in legno invece della corda per calarsi dentro, e pareti foderate con assi di legno. I più grandi possono smaltire fino a diecimila chili di alimentari in 12 ore, ed essere utilizzati per contrabbandare merci delle dimensioni massime di un frigorifero o di una lavatrice.
Poiché si tratta di scavare la roccia, le squadre delle imprese specializzate nel settore (dieci-quindici operai, i migliori sono i palestinesi) avanzano ad una velocità di cento metri al mese. La galleria di Selim, lunga 300 metri, è costata 24mila dollari.
Scavata nel 2001 e deve aver cambiato la vita ai proprietari, giacché, spiega il "manager", nei momenti di boom rendeva intorno ai 10mila dollari al giorno, cioè 2500 dollari lordi per ciascun socio. I pedaggi variano a seconda del peso, del periodo e della merce. A rendere il massimo, 30 dollari al chilo, sono «pistole, kalashnikov, Tnt (tritolo) e Rpg (lanciarazzi anti-tank)». Le spese includono la paga per i trasportatori, la mazzetta per la polizia e per la polizia segreta, la pensione per le vedove di chi rimane sepolto là sotto. Ogni anno perdono la vita sette-otto spalloni, un incidente mortale è occorso anche nella galleria di Selim.
Il boom del settore ha condotto ad un´inflazione di gallerie, secondo Selim oggi intorno a 900, per il 70%, ipotizza, ancora intatte. Altri sostengono che dopo i bombardamenti le gallerie sarebbero in gran parte inagibili. In ogni caso la gente di Gaza non può utilizzarle perché Hamas l´ha severamente proibito (forse per un doppio calcolo: evitare che Israele scarichi palestinesi in Egitto e perdere la possibilità di nascondersi tra la popolazione). Non possono utilizzarle neanche i contrabbandieri beduini, perché così hanno disposto gli apparati di sicurezza egiziani. Selim ha obbedito, e come tutti, adesso non trasporta armi a Gaza. Ma questo rende meno credibile le sue professioni di simpatia per Hamas. Del resto i beduini del Sinai sono fedeli solo alla propria tribù. Sospettati di aver spalleggiato prima gli israeliani (nella guerra del 1967), poi gli egiziani (nel 1973), oggi si scambiano fucilate con la sbrigativa polizia egiziana.
QuanPer lavare l´affronto la tribù della sposa attaccò la tribù dello sposo, i Sawarka, e ne massacrò duecento. I sopravvissuti fuggirono verso nord, traversarono deserti, e infine si stabilirono in questo pezzo di Sinai oggi al confine con Gaza. Erano allevatori di cammelli e mercanti. Ma a partire dagli anni Settanta divennero centrali al traffico di armi e di droga che tuttora coinvolge la gran parte delle 13 tribù beduine padrone del Sinai. Superare il confine con la Striscia di Gaza, all´epoca controllato dagli israeliani, pareva impossibile. Ma i palestinesi pagavano bene e i beduini sono ingegnosi. Insieme, costruirono la rete sotterranea che in seguito permise ad Hamas di armarsi. Stamane l´aviazione israeliana è tornata a martellarla, e deve aver colpito anche il deposito di carburante all´estremità del tubo che passa sotto il confine, perché una colonna di fumo nero ora sale dalla parte palestinese di Rafah. Pochi minuti dopo la scia bianca di un razzo schizzato verso Israele confermerà che Hamas non intende capitolare.
Assisto a questa guerra aerea dalla sommità della duna più alta della Rafah egiziana, insieme ai giovani beduini che sono arrivati fin qui in sella alle loro moto e ora osservano lo spettacolo con un certo distacco, come se lo scontro tra israeliani e palestinesi non li riguardasse più di tanto. I missili israeliani arrivano con fischi acutissimi e si infilano nella terra di nessuno, duecento metri di sabbia tra i due muraglioni che corrono in parallelo lungo i 13 chilometri della frontiera. Esplodono non in superficie, ma sotto, e le onde d´urto sono abbastanza forti da destabilizzare non solo le gallerie sotterranee, ma anche le mura delle case affacciate sul confine. Sembrano molto precisi. Però l´altra notte avrebbero ferito due militari egiziani, secondo quanto mi dice il dottor Ahmed Abdul Wahab, responsabile delle ambulanze sulla frontiera di Rafah. Altri raccontano che gli egiziani feriti (in modo lieve) sarebbero cinque. Due o cinque, non se ne trova traccia nei notiziari ufficiali, e di conseguenze il governo egiziano non è costretto a reagire alle rudezze dell´ingombrante vicino.
Quanto rimanga delle gallerie dopo numerosi bombardamenti non è chiaro, e forse non è rilevante come in genere si crede. A quel che infatti mi racconta Selim, un co-proprietario di tunnel, le gallerie sono completamente inutilizzate, sia perché Israele le colpisce, sia perché la polizia egiziana ha ordinato ai beduini di sospendere ogni commercio sotterraneo. In altre parole, forse adeguate pressioni sul Cairo sarebbero state sufficienti per risolvere il problema. Peraltro dal racconto di Selim risulta evidente che neppure la distruzione dell´intera rete sotterranea aumenterebbe di molto la sicurezza di Israele. I piccoli missili Qassam che Hamas tira sulle città israeliane non sono importati, ma fabbricati a Gaza. Tutto ciò di cui la missilistica palestinese necessita è qualche chilo di tritolo. E non vi è frontiera al mondo che sia impermeabile all´ingresso di quantità così modeste.
Per importare a Gaza missili iraniani, in grado di colpire con precisione qualsiasi città israeliana, occorrerebbe una galleria di dimensioni ben maggiori delle gallerie esistenti, la più grande delle quali ha una sezione con base di due metri e altezza di un metro e mezzo. Va da sé, aggiunge Selim, che se vi fosse domanda adeguata e le condizioni risultassero allettanti, l´offerta non mancherebbe. «Se serve una galleria più grande, costruiremo una galleria più grande. Siamo beduini».
Selim è diventato ricco ma continua ad abitare nel deserto, e ben lontano dal Mediterraneo, insomma a distanza dagli ambienti di cui un beduino più diffida, il mare e la città. E´ un uomo imponente, con baffi neri, la kefiah, il telefonino e un giaccone di pelle indossato sulla veste lunga. Piuttosto vanitoso, a giudicare dal compiacimento col quale si offre alla telecamera di Stefano Savona, il documentarista che insieme al produttore Roberto Ruini alimenta il sito dagaza. org (con il proposito, spiegano i due italiani, di «offrire un punto di vista sugli eventi di Gaza diverso da quanto confeziona la nostra informazione»).
Selim ci accoglie nella capanna di canne che è il suo salotto.
Un´unica lampadina, un braciere con il tè, la sabbia come pavimento. Fuori, il plenilunio sagoma con contorni netti ogni cespuglio che galleggia sulle onde morbide del deserto.
Selim è quello che qui si chiama "il manager", e cioè una sorta di amministratore delegato della società, in genere formata da quattro membri, che finanzia la costruzione della galleria. Il costo medio si aggira sugli 80 dollari al metro lineare. Nelle versioni meno spartane, i tunnel dispongono di luce elettrica, una scala in legno invece della corda per calarsi dentro, e pareti foderate con assi di legno. I più grandi possono smaltire fino a diecimila chili di alimentari in 12 ore, ed essere utilizzati per contrabbandare merci delle dimensioni massime di un frigorifero o di una lavatrice.
Poiché si tratta di scavare la roccia, le squadre delle imprese specializzate nel settore (dieci-quindici operai, i migliori sono i palestinesi) avanzano ad una velocità di cento metri al mese. La galleria di Selim, lunga 300 metri, è costata 24mila dollari.
Scavata nel 2001 e deve aver cambiato la vita ai proprietari, giacché, spiega il "manager", nei momenti di boom rendeva intorno ai 10mila dollari al giorno, cioè 2500 dollari lordi per ciascun socio. I pedaggi variano a seconda del peso, del periodo e della merce. A rendere il massimo, 30 dollari al chilo, sono «pistole, kalashnikov, Tnt (tritolo) e Rpg (lanciarazzi anti-tank)». Le spese includono la paga per i trasportatori, la mazzetta per la polizia e per la polizia segreta, la pensione per le vedove di chi rimane sepolto là sotto. Ogni anno perdono la vita sette-otto spalloni, un incidente mortale è occorso anche nella galleria di Selim.
Il boom del settore ha condotto ad un´inflazione di gallerie, secondo Selim oggi intorno a 900, per il 70%, ipotizza, ancora intatte. Altri sostengono che dopo i bombardamenti le gallerie sarebbero in gran parte inagibili. In ogni caso la gente di Gaza non può utilizzarle perché Hamas l´ha severamente proibito (forse per un doppio calcolo: evitare che Israele scarichi palestinesi in Egitto e perdere la possibilità di nascondersi tra la popolazione). Non possono utilizzarle neanche i contrabbandieri beduini, perché così hanno disposto gli apparati di sicurezza egiziani. Selim ha obbedito, e come tutti, adesso non trasporta armi a Gaza. Ma questo rende meno credibile le sue professioni di simpatia per Hamas. Del resto i beduini del Sinai sono fedeli solo alla propria tribù. Sospettati di aver spalleggiato prima gli israeliani (nella guerra del 1967), poi gli egiziani (nel 1973), oggi si scambiano fucilate con la sbrigativa polizia egiziana.
Quando rischiano rappresaglie si attestano a ridosso del confine con Israele, minacciando di ammazzare chiunque si avvicini e di passare in massa dall´altra parte.
Del contrabbando sotterraneo vivrebbero, valuta Selim, diecimila persone, cioè diecimila famiglie. Senza contare i proventi dei settori collegati. I poliziotti egiziani, che fino a ieri vendevano bene la loro inazione e perciò si limitavano ad arresti sporadici. E le tribù beduine che attraversano in carovane il Sinai fino alle coste mediterranee, trasportando le armi e la droga ricevute in genere dall´Eritrea. Il futuro non preoccupa Selim. Se diventerà impossibile lavorare con le gallerie, dice, «troveremo un´altra idea». Più tardi preciserà, per tutelare l´onore dei Sawarka: «Comunque non abbandoneremo i nostri fratelli palestinesi. Se le bombe israeliane distruggessero le gallerie fino a 20 metri dalla superficie, scenderemo fino a 200». Ma se qualcuno paga bene, si potrebbe aggiungere, i Sawarka potrebbero ripensarci. do rischiano rappresaglie si attestano a ridosso del confine con Israele, minacciando di ammazzare chiunque si avvicini e di passare in massa dall´altra parte.
Del contrabbando sotterraneo vivrebbero, valuta Selim, diecimila persone, cioè diecimila famiglie. Senza contare i proventi dei settori collegati. I poliziotti egiziani, che fino a ieri vendevano bene la loro inazione e perciò si limitavano ad arresti sporadici. E le tribù beduine che attraversano in carovane il Sinai fino alle coste mediterranee, trasportando le armi e la droga ricevute in genere dall´Eritrea. Il futuro non preoccupa Selim. Se diventerà impossibile lavorare con le gallerie, dice, «troveremo un´altra idea». Più tardi preciserà, per tutelare l´onore dei Sawarka: «Comunque non abbandoneremo i nostri fratelli palestinesi. Se le bombe israeliane distruggessero le gallerie fino a 20 metri dalla superficie, scenderemo fino a 200». Ma se qualcuno paga bene, si potrebbe aggiungere, i Sawarka potrebbero ripensarci.


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