Sergio Romano messo alle strette Dalle lettere al Corriere di oggi, la risposta a Emanuel Segre Amar
Testata: Corriere della Sera Data: 13 gennaio 2009 Pagina: 39 Autore: Sergio Romano Titolo: «Ebraismo polacco e russo dal confino all'emigrazione»
Sul CORRIERE della SERA di oggi, 13/01/2009, Sergio Romano si difende dai rilievi sulle imprecisioni contenute in una precedente risposta ad un lettore , già criticata anche da INFORMAZIONE CORRETTA, . Emanuel Segre Amar nella sua lettera fa notare l'uso scorretto che del termine "coloni"riferito a cittadini ebrei dell'Europa centro-orientale, le imprecisioni sul funzionamento dell'economia, le critiche infondate a Stanley Fischer e che "il divario fra gli emolumenti di un dirigente industriale e il salario degli operai" non è una fenomeno tipicamente israeliano, ma un fenomeno presente in tutti gli stati del mondo. In risposta Romano cita Paul Johnson e fornisce svariate percentuali, evade, si arrampica sui vetri...accusa il suo interlocutore di essere prevenuto nei suoi riguardi
Ecco il testo:
Mi riferisco alla risposta che lei ha dato a un lettore e la prego di osservare quanto segue. Lei descrive gli ebrei arrivati in Israele dall'Europa centro-orientale come «i coloni giunti dagli insediamenti ebraici dell'Europa centro-orientale». È evidente che la scelta delle parole «coloni» e «insediamenti» è stata fatta da lei apposta per utilizzare proprio i termini coi quali si definiscono i coloni che in Israele vivono nei territori occupati durante la guerra del '67. E allora le chiedo: che ragione ha per usare proprio quei termini per parlare invece di tranquille popolazioni che vissero per secoli tra periodi di tranquillità e pogrom, cercando di tirare avanti alla meno peggio? Ma quelle popolazioni yiddish non erano forse cittadini a tutti gli effetti dell'Europa centro-orientale? Perché non li ha descritti più semplicemente come «ebrei giunti dall'Europa centro-orientale»? Sarebbe stato più corretto. Quanto al resto della sua risposta, mi chiedo come lei possa conoscere quello che sarebbe oggi il pensiero di Montanelli, come faccia a criticare l'ebreo americano Stanley Fischer senza spiegare le ragioni della sua critica, che cosa conosca del bilancio dello Stato israeliano se scrive che «l'agricoltura rimane una partita importante del bilancio dello Stato» (il che è assolutamente falso). Infine, per non dilungarmi troppo, le chiedo se esiste uno Stato al mondo dove non siano presenti «corruzione, criminalità, un enorme divario fra gli emolumenti di un dirigente industriale e il salario degli operai». Pochi giorni fa leggevo, proprio su questo argomento, un articolo che parlava anche degli emolumenti di tanti italiani. C'era anche il suo, e certo la cifra riportata era ben diversa da quella di un operaio. Emanuel Segre Amar segreamar@fastwebnet.it Caro Segre Amar, E' curioso come il sospetto e una certa prevenzione possano attribuire alle parole un significato diverso da quello con cui erano state originariamente utilizzate. Ho scritto «coloni» perché gli ebrei russi, cacciati da Ivan il Terribile nella prima metà del Cinquecento, si erano installati in Polonia dove avevano avuto un ruolo importante nella colonizzazione delle sue zone rurali quando l'esplosione demografica dell'Europa occidentale provocò un forte aumento della domanda di grano. Nella sua «Storia degli Ebrei», pubblicata in italiano da Longanesi nel 1991, Paul Johnson scrive che «ambiziosi proprietari terrieri polacchi, ansiosi di venire incontro a queste necessità, si misero in società con imprenditori ebrei per creare nuove aree di coltivazione del grano per rifornire il mercato, portare il grano per via fluviale fino ai porti baltici e di là imbarcarlo per l'occidente». In quella «rivoluzione agraria» gli ebrei furono finanziatori, amministratori di proprietà, fittavoli, proprietari di barche fluviali, fabbricanti di sapone, conciatori, pellicciai. Sempre secondo Johnson, crearono interi villaggi e cittadine (shtetl) dove vivevano nel centro, mentre i contadini (cattolici in Polonia e Lituania, ortodossi in Ucraina) erano insediati in periferia. Questi shtetl (una parola yiddish di origine tedesca) sono per l'appunto gli «insediamenti » a cui ho fatto riferimento nelle mia risposta. Divennero maggiormente tali dopo l'ultima spartizione della Polonia nel 1795, quando i territori polacchi abitati dagli ebrei furono annessi alla Russia. Per evitare i movimenti della popolazione ebraica attraverso l'impero, il governo zarista istituì una «zona di residenza » da cui gli ebrei potevano uscire soltanto con un permesso speciale. Ci furono brevi sprazzi di maggiore libertà, soprattutto durante il regno di Alessandro II e, più tardi, dopo il 1870. Ma gran parte della popolazione ebraica (il 95%) continuò a essere confinata nella zona e il trattamento degli ebrei divenne col tempo sempre più poliziesco e burocraticamente arbitrario. Fu questo, soprattutto dopo i pogrom della fine del secolo, il motivo della grande emigrazione ebraica verso occidente e, su scala molto più modesta, verso la Palestina. Rispondo più rapidamente alle altre osservazioni della sua lettera. Non posso sapere, naturalmente, quale sarebbe oggi il giudizio di Montanelli sul modello economico israeliano. Mi sono limitato a presumere che sarebbe diverso. L'agricoltura rappresenta oggi il 2,7% del prodotto interno lordo israeliano contro il 2,2% in Francia, il 2% in Italia, l'1,2% negli Stati Uniti, lo 0,97% in Germania, lo 0,91% nel Regno Unito. Non ho criticato Stanley Fischer che mi sembra essere, per quanto ne so, un eccellente banchiere centrale. Ho accennato alla corruzione soltanto per ricordare che può essere in certi momenti l'inevitabile carburante dello sviluppo. Quanto al suo commento sul mio reddito posso dirle soltanto che è noto all'esattore delle imposte e che questi non cessa di darmene la dimostrazione ogni anno con implacabile regolarità. Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante: