All’inizio dell’offensiva israeliana contro Hamas, Teheran (come ci riferisce Debkafile) ha lanciato un appello per volontari pronti ad andare a combattere (e morire da shahid) a Gaza. Come già riferito, diecimila “studenti” menteccatti – forse il numero è salito – hanno aderito quali “martiri” volontari per Gaza. Il leader supremo (par di seguire un film di fantascienza) Ayatollah Khamenei ha ringraziato questi volontari riuniti all’aeroporto iraniano il 9 gennaio scorso, pronti a recarsi nella Striscia di Gaza, ma ha dovuto dire loro …che era necessario considerare che in questa vicenda le “nostre mani sono legate”. I volontari della morte sono tornati mestamente a casa. Ma come sarebbero arrivati a Gaza vien da chiedersi? L’ostilità egiziana contro l’Iran è già manifesta con il consenso sostanziale all’operazione israeliana contro Hamas, una guerra trasversale all’Iran. Mubarak, inoltre, aveva tutto interesse ad evitare confini con uno staterello teocratico che avrebbe aumentato il consenso degli egiziani ai Fratelli Musulmani che, con elezioni realmente democratiche, sarebbero il primo partito in Egitto. Nessun accesso verso la Striscia è fattibile né da parte egiziana, tanto meno da parte israeliana. L’appello ai volontari somiglia solo alla sistematica propaganda iraniana e forse a verificare sul terreno il lealismo della popolazione agli ayatollah. In questo caso, ben misero. Il messaggio propagandistico rappresentato dai volontari iraniani si è in realtà rivelato inutile perché non è stato raccolto dalla Siria e da Hitzballah; ed inattendibile per i gazani, alla luce del diktat di Teheran a Mesha’al come vedremo. E’ importante conoscere la situazione sul campo di ieri, sabato 10 gennaio, e le mosse politiche contemporanee.
Situazione sul terreno (fonte Debkafile)
Le diserzioni stanno aumentando nelle file di Hamas. Sia tra gli armati che tra gli ufficiali di polizia che sono stati lasciati in campo aperto a lanciare missili e razzi contro il sud di Israele, a combattere e subire gli attacchi israeliani, mentre i leaders e i comandanti di Hamas stavano al riparo nei bunkers. Solo quando la resistenza è sembrata perdere colpi, il massimo specialista dei razzi Grad e comandante, Ami Mansi, è emerso dal suo nascondiglio. Ha iniziato a sparare contro le truppe israeliane con un mortaio. Subito localizzato, è stato ucciso insieme a due suoi aiutanti dal missile di un elicottero israeliano. Nella stessa notte, il comandante di al-Qaeda a Gaza, Ghassen Maqdad, è stato ucciso a Khan Yunis nel sud della Striscia. Nel contempo, l’aviazione israeliana lanciava volantini per avvertire che l’esercito era pronto per la fase 3 e i gazani dovevano cercare rifugi lontano da postazioni armate e lanciamissili.
L’élite combattente di Hamas, stimata in 3500 uomini prima della guerra, ha sofferto pesanti perdite. Almeno 350 uomini, compresi i loro capi, sono stati uccisi. Nel frattempo, le forze israeliane continuavano ad aumentare la pressione, smantellando bunkers, tunnels minati e passaggi sotterranei usati per la fuga e per il rapimento di soldati israeliani. I laboratori di produzione dei missili sono stati distrutti. La tattica obbligata di Hamas si è dovuta limitare a diluire il lancio dei missili e dei razzi in suo possesso, contro il sud di Israele: giovedì ne sono stati lanciati 40, venerdì 30, sabato 20.
Il comandante dell’ala militare di Hamas, Muhammad Jabry, ha perso la sua credibilità dopo il fallimento della sua promessa “le truppe israeliane non metteranno piede a Gaza City”. Sabato, la capitale gazana era virtualmente senza difesa dopo la diserzione dai bunkers di Hamas, e l’assenza difensiva di tunnels e postazioni anti-carri armati. La città meridionale di Rafah – valico dall’Egitto – è nella stessa condizione di Gaza City.
Infine, e non meno importante, la popolazione di Gaza sta aumentando la sua estraneità dagli invisibili governanti di Hamas, accusandoli di combattere “all’ultimo civile”. Hamas ha minato e posizionato armamenti e lanciamissili nelle case private così da esporre i civili agli inevitabili attacchi israeliani e alle esplosioni dei contrattacchi.
La mossa politica dei leaders di Hamas a Gaza e la bomba Mesha’al.
Jemal Abu Hashem (raramente compare in pubblico) Salah Bardaweel (leader della fazione parlamentare di Hamas) e Heiman Ta’a (membro del commando militare di Hamas), sono i top leaders palestinesi che si sono recati al Cairo per colloqui sul cessate-il fuoco con i funzionari egiziani. Hanno ricevuto il permesso di lasciare la Striscia dal valico di Rafah e da El-Arish hanno preso un aereo egiziano per il Cairo. Sono stati raggiunti da due “colleghi” provenienti da Damasco (il capo operativo più anziano di Hamas Imad al-Alami, e il membro del politburo Muhammad Nasser). Separatamente, si è recato al Cairo anche il presidente dell’AP e capo della fazione rivale Fatah, Mahmoud Abbas.
Mentre i delegati di Hamas si stavano preparando per i colloqui di domenica 11, sulla proposta egiziana per un cessate-il fuoco, con il potente ministro dell’intelligence e dell’Interno Gen. Omar Suleiman, il leader Khaled Mesha’al da Damasco ha lanciato la sua bomba. Parlando emotivamente alla televisione di Damasco, ha dichiarato che Hamas deve combattere fino a che Israele interrompa la sua offensiva militare, si ritiri dalla Striscia di Gaza ed apra i valichi dell’enclave. L’Egitto deve aprire il valico di Rafah. Hamas non accetterà mai qualsiasi restrizione ai suoi armamenti – una sfida al piano israelo-egiziano che intende bloccare la via Philadelphi – e considererà una forza “occupante” lo spiegamento di osservatori internazionali. Mesha’al ha preteso un vertice arabo immediato, vertice che l’Egitto e l’Arabia Saudita hanno fermamente rifiutato. Mesha’al ha aggiunto che le perdite israeliane sarebbero più alte di quelle ammesse, aggiungendo che nella stessa giornata di sabato Hamas ha colpito con i suoi razzi la base israeliana missilistica e satellitaria di Palmachim a più di 50 miglia. Le dichiarazioni di Mesha’al hanno di fatto attivato la fase 3 dell’operazione israeliana contro Hamas.
Difficile non pensare che la tirata emotiva di Mesha’al non sia stata ordinata da Teheran e da Hitzballah per una resistenza all’ultimo respiro affinché Hamas non collassi. Difficile, non temere addirittura che la strategia di Teheran e di Hitzballah non si fermino ad una resistenza – ormai impossibile – ma alla strage nella Striscia di Gaza. Qualcuno ha ricordato nelle sue analisi il comportamento di Hamas secondo il biblico “muoiano Sansone e i Filistei”. Così come la propaganda di Sabra e Chatila furono determinanti alla condanna di Israele durante la guerra del Libano nell’82, per il solo fatto che Israele era presente a Beirut, cosa accadrebbe se Hamas lanciasse i suoi razzi e missili residui nella Striscia facendo strage della popolazione? Di sicuro questa è la strategia voluta da Teheran e da Hitzballah (i cui leaders si nascondo nei bunker e fanno altresì uso di scudi umani). Ma ad Israele è bastata la lezione di Beirut 82 e quella dell’ultima guerra in Libano contro Hitzballah.
Non solo la guerra di Israele contro Hamas è sostenuta da alcuni paesi arabi, da alcuni governi occidentali – in blocco Stati Uniti e Paesi dell’Est Europa – ma la Striscia di Gaza, grazie alla strategia del ritiro unilaterale voluto da Sharon, non è il Libano. Israele non si scontra con il consenso ai terroristi di Hitzballah e alla menzogna dell’occupazione libanese (sono siriane) delle Fattorie di Sheba’a sostenuti dal Primo Ministro libanese Fouad Seniora con la complicità del Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan e dei governi occidentali di allora. Questa volta il consenso ad Israele è ampio. E non è da sottovalutare il materiale documentato dalla guerra in Libano. Né Hamas ha un territorio sovrano in ostaggio dove rifugiarsi e da cui essere tutelato come Hitzballah. La situazione sul campo, inoltre, aumenta la divisione tra la lontana e protetta leadership di Damasco (fino a quando? Lo scacco di Hamas a Gaza dovrebbe tradursi per lo meno con la testa di Mesha’al) e quella della Striscia. E’ quest’ultima a trovarsi sul campo di battaglia e a pagare caro la “resistenza” palestinese. Per questo stava accettando alcune misure del piano egiziano, dopo aver rigettato la risoluzione 1806 delle Nazioni Unite. I leaders e uomini più pragmatici di Hamas dovranno tornare sotto Fatah. E dopo tre anni di vessazione alla popolazione, dopo il golpe cruento contro Fatah e il comportamento in questa guerra, è indubbio che avranno perso la maggior parte dei consensi ottenuti alle elezioni fantocce del 2006.
Domenica 11, 16mo giorno dell’offensiva israeliana contro Hamas, quest’ultimo ha tentato vanamente (e per fortuna!) di abbattere un caccia israeliano con un missile anti-aereo. Da segnalare, in questa tensione e tragedia, il comico arrivo della delegazione UE guidata dalla Morgantini, bloccata al valico di Rafah dall’esercito israeliano. Morgantini e delegati UE hanno deciso di fermarsi nella città di Rafah. Forse a curare le lacrime dei leaders gazani? (come prima quelle di Arafat) se questi ultimi non sono ancora rientrati nella Striscia. Forse la delegazione si è mossa solo per attingere ulteriori elementi di propaganda per infiammare le piazze estremiste europee, italiane in particolare. Forse però, questi leaders ne hanno abbastanza di questi inutili delegati che, per i loro interessi personali, si sono prestati a legittimare ed incitare il terrorismo palestinese contro Israele e contro gli stessi palestinesi. Non consiglierei soprattutto alla Morgantini di andare tra la popolazione della Striscia di Gaza. I falsi amici, alla fine, si riconoscono. Ma secondo me lei e gli altri delegati lo sanno bene, e non avevano alcuna intenzione reale di recarsi a Gaza. E’ risaputo che i valichi sono chiusi ermeticamente e non sono un transeat turistico/politico.
Danielle Sussmann