Sui nostri schermi è arrivato il film “Valzer con Bashir”, del regista israeliano Ari Folman. Ne ha scritto su Repubblica Natalia Aspesi, dopo aver visto il film in una anteprima per i critici. Il film io l’ho visto la scorsa estate in Israele. E’ la storia di un reduce dalla guerra in Libano del 1982, ossessionato da incubi terribili dei quali non riesce a comprendere il significato. Finché, dopo essere stato anche in analisi, si mette alla ricerca dei suoi ex compagni, per confrontarsi con i loro ricordi. Il giudizio della Aspesi è non solo favorevole, lo giudica un capolavoro, ed è la stessa valutazione che il film ha avuto a Cannes, a Berlino, ovunque è stato proiettato. Ed è, in effetti, un prodotto cinematografico a suo modo perfetto, nel senso etimologico della parola. Questo film è piaciuto molto a un pubblico di addetti ai lavori, così come piacerà anche a quello spettatore comune che non si perde un’occasione per partecipare a un processo che abbia sul banco degli accusati Israele. Il film piacerà perché Ari Folman ha girato una storia che reinterpreta gli avvenimenti della prima guerra in Libano in chiave antisraeliana, e lo fa con abilità, intelligenza, ma la storia che lui racconta non è quella che è avvenuta. Certo era una guerra, ma non si può mettere il nome di Bashir Gemayel persino nel titolo e poi non raccontarla giusta sulla sua morte. Se il Libano è finito sotto il dominio islamico, l’eliminazione di Gemayel è stato il primo passo. La presenza in Libano di Arafat e dei suoi Fedayn è totalmente ignorata. La dirigenza israeliana, da Sharon all’ultimo dei soldati, è ritratta come una cricca di malfattori. Tutti i personaggi del film sono dei colpevoli alla ricerca di come questa mutazione sia potuta accadere. Sullo sfondo la guerra, ma senza che ci sia mai un tentativo di spiegare perché sia stata combattuta. Qualcuno si chiederà, ma il regista è israeliano, come può aver fatto un film che distorce la storia del suo paese? Può, può, è sufficiente ricordare come Israele sia un paese dove non esiste nessuna forma di censura: libri, giornali, e quindi anche il cinema, operano in regime di totale libertà. I giornali non entrano in merito al contenuto: è un film israeliano applaudito ovunque e questo è importante per una cinematografia, sovente di alto profilo, che per motivi legati più alla politica che all’arte ha sempre trovato porte chiuse nella distribuzione internazionale. Un film come “Valzer con Bashir” avrebbe potuto essere realizzato in Iran o in Siria, magari a Gaza. Invece l’ha diretto un israeliano. Perché farci fare del male dagli altri, quando possiamo riuscirci molto meglio noi, con il vantaggio di essere applauditi e farci su anche un bel po’ di soldi presi dalle tasche di chi ci odia?