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La Stampa Rassegna Stampa
11.01.2009 Barbara Spinelli, con falsi,distorsioni, manipolazioni all'attacco di Israele
ci ricorda il non dimenticato discolpati ebreo.

Testata: La Stampa
Data: 11 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Barbara Spinelli
Titolo: «Il fardello dell'uomo israeliano»

L'editoriale di Barbara Spinelli, sulla STAMPA di oggi, 11/01/2008, a pag.1-27, ci ricorda il suo non dimenticato " Discolpati ebreo ", Per contestare l'immondezzaio contenuto in questo articolo dovremmo scriverne un altro. Certo, Spinelli, è come sempre abile nel riprendere la citazione di qualche israeliano, molti lettori ci cascheranno, soprattutto quelli che hanno la disgrazia di leggere solo la STAMPA, e che quindi non sanno che Israele è una democrazia, dove chiunque può esprimerer la propria opinione. Ignobile anche l'uso che BS fa di Olmert, estrapolando alcune frasi di un suo lungo intervento politico, dando alle parole riportate un significato stravolto. Tentiamo di risponderle intervenendo in grassetto nel suo testo:

Non molto tempo prima dell’offensiva contro Gaza, il premier israeliano Ehud Olmert pose a se stesso e al proprio popolo una domanda gelida, senza precedenti. Una domanda non concernente i valori e la morale, ma la pura utilità.
Era il 29 settembre, e in un’intervista a Yedioth Ahronoth denunciò quarant’anni di cecità: quella d’Israele e la propria. Disse che era arrivato il momento, non rinviabile, in cui lo Stato doveva mutare natura e scegliere come vivere e sopravvivere: se guerreggiando in permanenza, o cercando ( perchè "cercando" ? in 60 anni Israele ha solo e sempre dovuto difendersi dalle guerre scatenate dagli arabi )  la pace coi vicini.
Non negò le colpe di Hamas e di molti Stati arabi, ma invitò i connazionali a concentrarsi sul «proprio fardello di colpa». Il fardello consisteva negli automatismi del pensiero militarizzato: «Gli sforzi di un primo ministro devono puntare alla pace o costantemente aspirare a rendere il paese più forte, più forte, più forte, con l’obiettivo di vincere una guerra?».

Aggiunse che personalmente non ne poteva più di leggere i rapporti dei propri generali: «Possibile che non abbiano imparato assolutamente nulla? Per loro esistono solo i carri armati e la terra, il controllo dei territori e i territori controllati, la conquista di questa e quella collina. Tutte cose senza valore». L’unico valore da ritrovare era la pace, perseguibile a un’unica condizione: liquidando le colonie, restituendo «quasi tutti se non tutti i territori», dando ai palestinesi «l’equivalente di quel che Israele terrà per sé». Alla Siria andava reso il Golan, ai palestinesi parte di Gerusalemme. Così parlò il primo ministro d’Israele, non un preconcetto nemico dello Stato ebraico e del suo popolo.
Da queste parole sembra passato un tempo enorme e oggi non sono che fumo e fame di vento, come nel Qohèlet. Allora l’opportunità era imperativa, vicina. Nemmeno tre mesi dopo, la guerra è decretata «senza alternative». Allora Olmert pareva ascoltare gli intellettuali contrari alle soluzioni belliche: da Tom Segev a Gideon Levy a Abraham Yehoshua che tra i primi, su La Stampa, ha invocato negli ultimi giorni la tregua. ( Qui BS ciurla nel manico, perchè evita di dirci che Yehoshua è stato totalmente d'accordo con la risposta di Israele contro Gaza, e l'ha scritto prìoprio sulla Stampa. Solo dopo una settimana ha aderito alla proposta di una tregua, ma condizionata alla accettazione da parte di Hamas di chiudere definitivamente con il lancio dei missili e la firma di una tregua con l'impegno di rispettarla. BS ha falsato il pensiero di Yehoshua e ingannato il lettori)Tre mesi dopo il pensiero militarizzato si riaccende e il dissenso si dirada. Non restano che Segev, Gideon Levy, Yossi Sarid. Perfino Yehoshua considera vana una reazione proporzionata ai missili di Hamas «perché la capacità di sopportazione e resistenza dei palestinesi è infinitamente superiore a quella degli israeliani». La domanda gelida di Olmert, a settembre, era la seguente e resta valida: «Che faremo, dopo aver vinto una guerra? Pagheremo prezzi pesanti e dopo averli pagati dovremo dire all’avversario: cominciamo un negoziato». Secondo Olmert, Israele era a un bivio: «Per quarant’anni abbiamo rifiutato di guardare la realtà con occhi aperti (...). Abbiamo perso il senso delle proporzioni».
Non poche cose s’intuiscono, anche se ai giornalisti è vietato il teatro di guerra. Quel paesaggio che da giorni vediamo sugli schermi, alle spalle dei reporter, è praticamente tutta Gaza: non più di 40 chilometri di lunghezza, 9,7 chilometri di profondità. Con 360 chilometri quadrati, Gaza è più piccola di Roma e abitata da 1,5 milioni di palestinesi. Inevitabile che in un lembo sì minuscolo i civili abbattuti( da notare la scelta del verbo, abbattuti come animali da macello) siano tanti (metà degli uccisi, secondo alcuni)( Non scrive  BS che i civili sono usati da Hamas quali scudi umani, più civili muoiono più la propaganda visiva funziona ). Inevitabile chiedersi se i governanti israeliani non persistano nella cecità, quando negano che la loro guerra sia contro i civili e un disastro umanitario.
Israele ha serie ragioni da accampare: i missili di Hamas sulle città del Sud, da anni e malgrado il ritiro unilaterale voluto da Sharon nel 2005, generano angoscia e collera indicibile, anche se i morti non sono molti. Ma ci sono cose non dette, in chi giustamente s’indigna: cose che questi ultimi nascondono a se stessi, dure da ammettere, non vere.
Non è vero, innanzitutto, che lo Stato israeliano reagisca senza voler penalizzare i civili. Bersagliando i luoghi da cui partono i missili di Hamas, esso sa che subito Hamas e i missili si sposteranno altrove, e che in quei luoghi non resteranno che i civili: vecchi, donne, bambini.( Se questa è la tattica di Hamas, chi è il vero responsabile ?) Lo dicono essi stessi, ai giornalisti: «Quando parte un missile vicino alle nostre case, scuole, moschee, sappiamo che non Hamas sarà colpito, ma noi». La domanda è tremenda: come spiegare agli abitanti di Gaza la differenza con rappresaglie che, come a Marzabotto, sacrificarono centinaia di civili al posto di introvabili partigiani? ( il richiamo alla guerra partigiana è tecniva abituale di BS, così induce subito mil lettore nell'ignobile paragone Israele=nazisti)
Secondo: non è vero che non esistessero alternative all’attacco aereo e terrestre. Se la tregua con Hamas non ha funzionato, è perché mai iniziò veramente.( infatti Hamas aveva in continuazione lanciato missili su Israel, senza alcuna reazione da parte dell' Stato ebraico. Cosa avrebbe dovuto fare Israele ? Non reagire ? Secondo BS evidentemente si)  Perché i coloni avevano evacuato la Striscia ma Israele manteneva il controllo dei cieli, del mare, dei confini.( per forza, visto che Hamas non ha fatto altro, da quando ha il potere sulla Striscia, che importare armi per distruggere Israele. Doveva permetterlo ? Certo, a BS avrebbe fatto piacere questa scelta così "pacifica", agli Israeliani meno) Il cessate il fuoco negoziato a giugno prevedeva la fine del lancio di missili palestinesi ma anche la rimozione del blocco di Gaza, imputabile a Israele. (Questa è una balla enorme, il cessate il fuorco era una premessa alla tregua, ma una tregua vera, con garanzie serie)I missili son diminuiti, (Come BS riduce le conseguenze sulla popolazione civile israeliana dopo anni che vive nel terrore per l'arrivo dei missili )anche se non scomparsi: ne cadevano a centinaia tra maggio e giugno, ne son caduti meno di 20 nei quattro mesi successivi. Nulla invece è accaduto per il blocco.
Questo è il «fardello di colpe» israeliane, non piccolo, e ancora una volta la geografia aiuta a capire. Dice il governo d’Israele che dal 2005 Gaza appartiene ai palestinesi, ma che non è servito a nulla. È falso anche questo, perché Gaza essendo priva di autonomia non è messa alla prova.( Falso, se Hamas, invece di investire miliardi in armi per attaccare Israele, si fosse occupata delle condizioni nelle quali vivono i cittadini di Gaza, mne vrebbe avuto tutte le possibilità, essendoci stata pure una eleziione che ne legittimava il potere)  Non le manca solo il controllo dell’aria, del mare. Ci sono sei punti di passaggio che dovrebbero consentire il transito di cibo, acqua, elettricità, uomini (lungo la frontiera con Israele il valico Erez a Nord, i valichi Nahal Oz, Karni, Kissufim, Sufa a Est; ai confini con l’Egitto il valico Rafah) e tutti sono chiusi. ( Qui BS ignora che i valichi, con relativi passaggi di persone, servivano per portare a termine attentati in Israele, un argomento che BS ignora in tutto l'articolo)Per una briciola come Gaza è impossibile vivere senza rapporti coll’esterno, ed essi sono bloccati da quando Hamas ha vinto le elezioni e rotto con Fatah. (uccidendone i rappresentanti a Gaza, altra dimenticanza)Anche in tal caso un’intera popolazione paga per i politici,(dimentica dire politici di Hamas) e quando il cardinale Martino parla di campo di concentramento (altri parlano di prigione a cielo aperto) non s’allontana dai fatti. ( non stupisce l'elogio al cardinale, le fa gioco)I tunnel servono a contrabbandare armi, è vero. Ma anche a trasportare cibo, medicine, pezzi industriali di ricambio. ( Balle, i tunnel servono a intrurre armi, che non possono entrae via mare grazie al controllo dalla marina costiera israeliana. per il resto servono ad introdurre beni di consumo di contrabbando, non cibo. quello arriva già grazie agli aiuti interazionali) Il disastro umanitario a Gaza non comincia oggi. E quel milione e mezzo è lì perché cacciatovi dall’esercito israeliano nel ’48.( BS non scrive che Israele si trovo tra i piedi Gaza solo nel '67, e che tentò invano già allora di affidarne l'amministrazione all'Egitto, ma ottendendone un rifiuo)
La punizione è parola chiave, in numerose guerre israeliane. Ma la punizione en masse dei civili non punisce in realtà nessuno, e accresce ire omicide nei contemporanei e nei discendenti. È una sorta di vendetta esibita. È guerra terapeutica che libera da inibizioni morali, guerra fatta per roteare gli occhi, scrive Yossi Sarid (Haaretz, 9 gennaio). È non solo feroce, ma vana. I missili di Hamas continuano a colpire e hanno addirittura allungato la gittata: ormai colpiscono Beer Sheva (36 chilometri dalla centrale atomica di Dimona) e la base di Tel Nof (27 chilometri da Tel Aviv).
Gaza e Cisgiordania sono più che mai interdipendenti. Quel che accade in Cisgiordania ha pesato amaramente su Gaza, e pesa ancora. ( La verità è l'opposto, è quel che accade a Gaza che pesa sul futuro della Cisgiordania, non a caso Hamas sta cercando in tutti i modi di eliminare Abu Mazen e cancellare l'Anp)In questo caso sì: non c’è alternativa alla decolonizzazione e al ritiro. Anche Israele, come tanti imperi,( definire un "impero" Israele !) deve passare di qui. Deve smettere di separare i teatri d’azione: di edificare nuove colonie ogni volta che negozia o ogni volta che guerreggia su altri fronti, in Libano o a Gaza. È quello che teme anche oggi Dror Etkes, coordinatore dell’associazione israeliana Yesh Din (volontari per i diritti umani): «Posso certificare che proprio in queste ore stanno spianando terre in Cisgiordania per una nuova colonia presso Etz Efraim, e per un avamposto presso Kedumim». In un libro di Idith Zertal e Akiva Eldar (Lords of the Land, New York 2007) è scritto che la pace è irraggiungibile se non si riconosce che ogni singola colonia, e non solo i cosiddetti avamposti illegali, viola la legge internazionale; se non ci si spoglia dell’ossessione delle armi e delle terre idolatrate, che Olmert stesso ha denunciato poche settimane fa.

Ci auguriamo che questa lettura-commento incrociata possa essere utile ai nostri lettori, che invitiamo a scrivere alla STAMPA per dire tutto lo sdegno possibile per l'editoriale di Barbara Spinelli.

Segue la e-mail per scrivere alla Stampa.


lettere@lastampa.it

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