domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
11.01.2009 Ma che giornalismo è mai questo ?
Gaza nell'interpretazione di Guido Rampoldi

Testata: La Repubblica
Data: 11 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Guido Rampoldi
Titolo: «Alla frontiera di Rafah tra i palestinesi disperati»

Leggete che cosa scrive l'inviato di REPUBBLICA Guido Rampoldi oggi, 11/01/2009, alle pagine 1-9, nell'articolo dal titolo " Alla frontiera di Rafah tra i palestinesi disperati". Non era male l'idea di verificare che cosa succedeva al confine di Gaza con l'Egitto, un luogo in genere dimenticato da chi crede che Gaza confini solo con Israele. Ma Rampoldi, anche questa volta, è riuscito a scrivere delle cose incredibili. I palestinesi, per lui, stanno per essere trasferiti, come un gregge, in Egitto da Israele, che così rifilerebbe all'Egitto la responsabilità di Gaza. A parte il richiamo al gregge, fuori luogo visto che Gaza è guidata da un movimento terrorista, paragonabile più ai lupi che alle pecore, non vediamo perchè l'Egitto non debba prendere in considerazione questa ipotesi. E' indubbio che si tratta di una patata bollente, me nemmeno si capisce perchè debba toccare a Israele. Se Gaza è incapace a governarsi, qualcuno dovrà farlo al suo posto, e Israele ci pare il meno adatto. Ma Rampoldi non ferma qui, sostiene, udite ! che i palestinesi sono un popolo senza terra. Ma allora Gaza che cos'è, secondo l'inviato di REPUBBLICA ? e Gaza che vi comanda, che cos'è ? In quanto ai tunnel, che importavano armi e contrabbando, di che è la responsabilità ? Ma di Israele, naturalmente. Rampoldi li descrive, quasi rattristato che Israele abbia cercato di distruggerli. Leggete, cari lettori, la prosa di Rampoldi, e poi valutate che razza di giornalismo è mai questo.

Non è chiaro come siano entrati, ma dal varco della frontiera di Gaza, lì dove adesso bighellonano due barbuti di Hamas, sono arrivati una palestinese e i suoi due bambini. La ragazza è coperta dal niqab, la veste islamica che lascia scoperti solo gli occhi, ma anche così bardata riesce ugualmente a occuparsi dei figli. Tiene in braccio il neonato e dà l´altra mano al fratello, che avrà tre anni e trascina una busta di plastica: in apparenza, tutto quel che la famiglia possiede.
Hanno superato il primo posto di guardia egiziano ma non il secondo, e ora sono intrappolati nei quattrocento metri dove avviene il trasbordo dei feriti (dalle ambulanze di Gaza alle ambulanze egiziane) e dei carichi umanitari inviati da vari Paesi arabi. Secondo un funzionario egiziano la ragazza sostiene che deve essere operata d´urgenza, ma il suo racconto non ha convinto la polizia di frontiera. Probabilmente stanotte la lasceranno entrare in Egitto. Però cosa accadrebbe se non una, ma migliaia di madri, di bambini, di famiglie incalzate dalla guerra si accalcassero su questa frontiera, e supplicassero gli egiziani di aprire i cancelli, di dare riparo, acqua, salvezza?
Tra i tanti incubi che affollano i sonni di Hosni Mubarak, questo probabilmente è uno tra i peggiori. Con il proseguire della guerra, diventa meno inverosimile che Israele decida di abbattere non solo Hamas, ma soprattutto questa frontiera. La sua offensiva le permetterebbe di ammassare i palestinesi come un gregge, di spingerli verso il confine e di coronare un vecchio progetto: trasferire sull´Egitto la responsabilità legale della popolazione, che tuttora le spetta in quanto potenza occupante. Il sospetto egiziano è così acuto che il Cairo, per non offrire pretesti, ha stabilito che entrino a Gaza soltanto medicinali e coperte, non viveri: almeno a quelli provveda Israele. Ma poiché Israele non provvede, in una città egiziana a ridosso del confine trovo palestinesi di Hamas intenti a confezionare scatoloni di medicinali in realtà pieni di formaggio. Sono allegri ed eccitati. E non ritengono un´ipotesi praticabile che l´Egitto accetti di prendersi Gaza e il milione e mezzo di abitanti. Però l´idea circola - l´ha suggerita la settimana scorsa un amico della destra israeliana, l´ex ambasciatore americano all´Onu, Bolton. Se non dovesse estinguersi rapidamente, potrebbe saldarsi ad un progetto ancor più esuberante: mettere insieme un popolo senza terra, i palestinesi, e una terra senza popolo, il deserto del Sinai. Si tratterebbe di scaricare sull´Egitto il problema dei problemi, come trovare una terra alla diaspora palestinese, oltre dieci milioni. Israele non vuole che tornino nel West Bank, e sono abbastanza per popolare il Sinai.
Vista da questo valico, insomma, la guerra è una faccenda strana. Molto sporca e molto strana. Non è chiaro dove vada a parare. E le sue relazioni di causa subiscono uno strano rallentamento. Per esempio, questa successione. Un aereo israeliano, immobile come se uno spillo lo avesse fissato nel cielo. Poi i rumori delle bombe, tre, quattro, non lontane. E il silenzio. E´ ammutolito l´imam che sta predicando dall´altoparlante di una moschea di Gaza; qualche minuto più tardi riprenderà il suo sermone con una voce più stridula. A tre o quattro chilometri, nel piazzale di questa frontiera, nessuno fa più caso a queste sonorità misteriose. Ma all´una del pomeriggio, quando comincia la tregua di tre ore, arrivano i risultati. Le ambulanze di Gaza portano i feriti gravi, quasi tutti per effetto dei bombardamenti. In genere sono in coma.
Così il bambino di 11 anni, colpito alla testa dalle schegge che hanno ucciso suo fratello dodicenne. Poi un ventenne, una donna di 42 anni, un adolescente. Pochi. Secondo il dottor Ahmed Abdul Wahab, il numero dei feriti in arrivo è decresciuto drasticamente (venerdì erano soltanto tre) da quando gli israeliani hanno diviso Gaza in tre segmenti e sparano su tutto quello che si muove sulle intersezioni, incluse le ambulanze; dunque qui verrebbero portati soltanto i feriti del sud, i più gravi. Non so se la verità sia questa. In ogni caso qui l´arrivo di un´ambulanza è diventato una specie di evento. Richiama sempre una piccola folla. Alcuni fotografi. Le due file di barellieri tra l´ambulanza che scarica il ferito e l´ambulanza che dovrà trasportarlo in un ospedale egiziano. Gli arabi che accompagnano i carichi umanitari. Arrivano da ogni parte del Medio Oriente. Le scritte sui camion dicono: Emirati arabi, Croce rossa egiziana, Giordania, "Arabia saudita, regno dell´umanità", la libica Fondazione Gheddafi, il Qatar, la "World assembly of the Muslim Youth". La solidarietà araba, ma soprattutto integralista. Per la gran parte gli accompagnatori provengono dalla grande confraternita internazionale, i Fratelli musulmani, che figliò Hamas (in Giordania) e poi ne perse il controllo. Appartengono ai Fratelli anche i 27 medici egiziani cui venerdì i servizi segreti, padroni di casa in questo posto di frontiera, hanno permesso di entrare a Gaza. Poco prima una di loro mi aveva detto, risentita: «Siamo qui da tre giorni e non ci fanno entrare: a che gioco sta giocando Mubarak?».
Mubarak cerca di districarsi in una mischia che gli prospetta solo pericoli gravi. Persegue senza successo un cessate-il-fuoco di cui sarebbe parte essenziale una riconfigurazione di questo confine, considerato da Israele la via di ingresso di armi e finanziamenti iraniani per Hamas. L´Egitto ribatte che quei rifornimenti arrivano via mare. In ogni caso, questi 15 km di dune sono una frontiera tra le più porose. Lì sotto correva il reticolo di tunnel ormai distrutto dall´aviazione israeliana. Duecento come minimo. La maggiore attività di Rafah da quando Israele aveva inflitto una sorta di embargo a Gaza. Poiché l´Egitto lo assecondava, sia per nuocere ad Hamas sia per evitare di sollevare Israele dalle sue responsabilità legali verso i palestinesi, il risultato è stato un boom del contrabbando sotterraneo. Un affare straordinario. Ogni chilo di merce che transitava sottoterra rendeva ai proprietari delle gallerie una tassa in rupie egiziane pari a circa 3 euro. La benzina pagava un dazio a parte, ma il ricarico era tale che nel percorso tra l´Egitto e Gaza city un litro triplicava il suo prezzo. Mesi fa, quando la questione non era così scottante, la tv al-Jazeera girò a Rafah un documentario su una banda di ragazzini che dopo la scuola correva a scavare, per entrare nel business. I piccoli minatori finirono la galleria nel periodo sbagliato, i giorni di febbraio in cui la popolazione della Striscia sfondò la frontiera e si riversò nelle prime due città egiziane oltre il confine e svuotò gli scaffali di ogni negozio.
Le gallerie spesso partivano o finivano da una cantina. A costruirle erano state imprese specializzate, in genere su commissione di gruppi riuniti in una sorta di società per azioni. Le imprese restano in attività; in capo a tre settimane, sento dire, potrebbero ripristinare almeno alcuni tra quei tunnel. Alla loro distruzione avrebbero partecipato anche militari egiziani: secondo un contrabbandiere avrebbero segnalato agli aerei israeliani, con bandiere di diverso colore, i punti da risparmiare e i punti da colpire.
Malgrado sia perlomeno dubbio che ne restino attivi alcuni, i tunnel sono tra i bersagli citati ieri nei volantini lanciati dall´aviazione israeliana, per annunciare che «intensificherà le operazioni». L´unica cosa chiara è che presto, molto presto, passare da questa parte della frontiera sarà l´unico modo che avrà la popolazione per sottrarsi a pericoli che Israele vuole sempre più incombenti e imponderabili.

Per inviare a Repubblica la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT