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Il Giornale-Libero Rassegna Stampa
10.01.2009 Sconfiggere Hamas, Israele non deve fermarsi
Lo spiegano Paolo Guzzanti, Luciano Gulli, Gian Micalessin, Oscar Giannino, Alessandro Gnocchi

Testata:Il Giornale-Libero
Autore: Luciano Gulli-Gian Micalessin-Paolo Guzzanti-Oscar Giannino-Alessandro Gnocchi
Titolo: «Vari»

Una ottima copertura sul conflitto sul GIORNALE di oggi, con i servizi di Luciano Gulli da Israele, di Gian Micalessin sull'uso degli scudi umani, e l'analisi sulla strumentalizzazione che Hamas fa a Gaza dei  bambini di Paolo Guzzanti. Da LIBERO il commento di Oscar Giannino sulla reale funzione dell'Onu quando interviene sul conflitto. E di Alessandro Gnocchi il commento su Gianni Vattimo. Ecco gli articoli:

Il Giornale - Luciano Gulli - " La dei palestinesi "

Questi "venerdì della collera" palestinese (il mercoledì, piuttosto che il lunedì o il sabato ci si arrabbia un po' meno, si direbbe) cominciano a diventare un po' stucchevoli. In genere funzionano così. Alla fine della preghiera i simpatizzanti di Al Fatah e quelli di Hamas si dividono in due cortei, alzano cartelli di protesta contro la tragedia che si sta consumando a Gaza e, invece di partire per il fronte o bucare le gomme a una jeep israeliana, per dire, fanno a chi grida più forte per catturare l'attenzione dei portatori di telecamere e di taccuini.
Quelli di Al Fatah, stamani a Ramallah, sono più numerosi. Verso le 11.30, dopo aver fatto gruppone nella spianata della Mukhata, di fronte all'immenso mausoleo di Yasser Arafat (costato certamente quanto sarebbe costato un ospedale mica tanto piccolo) marciano verso piazza Manara. Un migliaio di ragazzotti, diciamo, che innalzano cartelli con la faccia del presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen. Puntano su piazza Manara, cuore di Ramallah. All'intorno, un deserto animato solo dal palpitare di quella spazzatura leggera che incipria la Cisgiordania (fogli di giornale, pacchetti di sigarette, figurine, e poi sacchetti di plastica del super, bottiglie vuote, ciarpame vario, sempre in plastica...) trascinata dalle folate di vento gelido che arrivano da nord-ovest. Da una laterale di piazza Manara spuntano quattro, cinquecento supporter di Hamas. Volano parole grosse, partono le prime manganellate delle forze dell'ordine, vola per l'aria qualche candelotto lacrimogeno. Alla fine si contano i feriti: 13, imbarcati dalle ambulanze.
Per far paura ai contendenti rimasti a guardarsi in cagnesco, dal fondo della via avanza a passo di marcia (ciascuno con un suo proprio senso del ritmo, tuttavia) un plotoncino di militari che stringe il cuore solo a vederlo. Alti, bassi, grassi, magri, sgraziati, ineleganti, smandrappati, uniti solo dal bisogno di uno stipendio. Imbarazzanti e patetici come le comparse di un film degli anni Sessanta in cui avrebbero ben figurato un Paolo Panelli, l'Ugo Tognazzi del “Federale” e l'Alberto Sordi e il Vittorio Gassman de “La grande guerra”.
Queste sono le cosiddette forze di sicurezza, questo lo spettacolo perdutamente meridionale, fatto di sciatteria, menefreghismo, luridume, che gli anni di Intifada e di disordine permanente hanno acuito, incistandolo per sempre su una società in cui ciascuno bada solo a se stesso, alla famiglia, al clan di appartenenza.
Per sentirsi popolo, nazione (avendo oltretutto a che fare con un “nemico” come quello israeliano cui mancheranno magari molte cose, ma non un sentimento di identità e di appartenenza) si potrebbe partire in questo “venerdì della collera” da una cosa semplice semplice, come decidere tutti insieme se è vero o non è vero che il mandato del presidente Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen, è scaduto proprio ieri, 9 gennaio. Ma anche su questo c'è baruffa. Stando ai sostenitori del presidente, egli ha diritto di restare in carica ancora per un anno, nonostante il termine di quattro di cui si parla nei documenti ufficiali che nel gennaio 2005 lo incardinarono alla presidenza. Il primo ministro dell'Ap Salaam Fayad ripete che secondo la legge le elezioni legislative e le presidenziali devono tenersi lo stesso giorno; e poiché le legislative sono in programma per il gennaio del 2010... Ma è evidente che Fayad ciurla nel manico, come gli ha risposto a muso duro Osama Hamdan, rappresentante di Hamas in Libano. «Questo non è tempo di parlare di simili sciocchezze - dice Jihad Abu Zneid, parlamentare di Fatah -. Il presidente Abbas è stato eletto dalla maggioranza del popolo. E come tale egli rappresenta tutta la popolazione palestinese, non solo quella residente nei Territori Occupati. Che poi si parli di questa bazzecola mentre è in corso l'offensiva israeliana a Gaza è una sventura per la nostra gente». Rissa continua, dunque. Ma anche questa, a dar retta alla vulcanica Jihad Abu Zneid, è colpa di Israele, «che ha sempre favorito le spaccature all'interno della nostra gente».

Il Giornale - Gian Micalessin - " Così la popolazioone diventa scuddo umano "

È la prima straniera uccisa dopo tredici giorni di guerra. Ma Albina, la donna ucraina spezzata in due da una cannonata israeliana a Gaza, è morta - racconta il marito, Awni al Juri, rimasto vedovo e senza il figlio di un anno, sbalzato via dalle braccia della madre - perché uomini di Hamas lanciavano granate di mortaio e razzi nascondendosi dietro la sua casa. Un carro armato israeliano a 150 metri di distanza ha individuato il bersaglio e risposto al fuoco. La cannonata ha portato via una parte dell’appartamento. L’unico rifugio di Albina e della sua famiglia. La storia è stata raccontata dal New York Times, che descrive il dramma della popolazione a Gaza, spesso fra due fuochi.
I miliziani di Hamas, però, sono abilissimi a utilizzare i civili come scudi umani. Oltre a sfruttare moschee, ospedali e università per nascondere gli arsenali, installare comandi o scatenare attacchi. Le squadre di Hamas, della Jihad islamica e dei Comitati della resistenza popolare, che lanciano i razzi da Gaza, lo fanno dalle zone più abitate. Quando gli israeliani rispondono al fuoco rischiano ogni volta di colpire dei civili. Un dossier preparato dal Centro di informazione sul terrorismo, composto da ex agenti dell’intelligence israeliana, denuncia l’utilizzo di Hamas degli scudi umani e altre tattiche che sembrano fatte apposte per attrarre il fuoco su obiettivi civili. Nizar Rayyan, uno dei leader di Hamas ucciso all’inizio dell’operazione Piombo fuso a Gaza, teorizzava apertamente l’utilizzo di scudi umani contro i raid aerei israeliani. Nonostante la famiglia sia stata avvisata che la sua casa sarebbe stata bombardata non ha fatto uscire nessuno.
Diverse fotografie mostrano giovani palestinesi utilizzati come “cuscinetto” dai miliziani impegnati in battaglia con i soldati israeliani. «Talvolta i bambini sono volontari, ma in altri casi vengono incoraggiati dai terroristi», si legge nel rapporto israeliano. Nel marzo 2008, durante l’operazione Inverno caldo, un soldato dello stato ebraico ha visto un bambino che andava a raccogliere le armi di un miliziano di Hamas appena eliminato. Gli israeliani non hanno sparato nella convinzione che il ragazzino fosse stato obbligato. Nel marzo del 2007 la televisione di Hamas, Al Aqsa, ha mobilitato i civili per raggiungere la casa di Abu al Hatal, un noto comandante, con l’obiettivo di evitare un attacco dal cielo. Delle catene umane hanno protetto la palazzina. Un anno prima 200 donne disarmate sono intervenute per fermare il fuoco israeliano e far scappare i miliziani asserragliati nella moschea di Al Nasser a Beit Hanoun. Nella riunione del gabinetto israeliano del 31 dicembre, Yuval Diskin, capo dello Shin Bet, l’intelligence interna, ha rivelato che gli operativi di Hamas trovano rifugio negli ospedali della Striscia. All’ospedale Shifa di Gaza utilizzano i camici per camuffarsi.
Il 2 gennaio l’aviazione israeliana ha bombardato la moschea di Khulafa a Jabaliya utilizzata sia come arsenale che come comando operativo. La catena di esplosioni seguite all’attacco ha dimostrato che c’era una santabarbara. La sala operativa della polizia di Hamas, nel nord della Striscia di Gaza, si sarebbe spostata all’ospedale Kamal Adwan, secondo l’intelligence israeliana. Diverse case di operativi di Hamas, in zone altamente abitate, sono state trasformate in laboratori per armi ed esplosivi. Talvolta capita qualche incidente e le case-laboratorio saltano in aria da sole. I lanciatori palestinesi di razzi o colpi di mortaio si piazzano spesso vicino alle scuole. Quattro membri della Jihad islamica sono stati uccisi il 6 marzo 2008 mentre si stavano preparando a lanciare razzi su Israele presso la scuola Al Maari nel sud della Striscia. I cecchini preferiscono i tetti dei palazzi più alti, anche se sono pieni di civili, come dimostrano le fotografie scattate dagli israeliani.

Paolo Guzzanti - " Quei bimbi di Gaza usati come scusi umani dfa Hamas "

Ormai si chiamano video-choc: tu sei davanti al computer, ricevi un’e-mail, navighi da un sito all'altro, setacci YouTube e il video choc ti aspetta. La guerra di Gaza è una guerra di video, di foto, di link che rinviano ad altre foto, a documenti definiti come sicuri, contraddetti da chi li dimostra falsi. E così mi imbatto nel video in cui si vede un terrorista di Hamas che acciuffa un ragazzino palestinese che sua madre cercava di mettere al riparo dagli attacchi aerei, e lo trascina come un animale morto per il collo, i tacchi delle scarpe che solcano la polvere. Il coraggioso combattente è un omone armatissimo, imbottito di munizioni e il bambino viene scaraventato in mezzo a un gruppo di giovani palestinesi destinati a fare carne da fotografia e macello elettronico, droga per telegiornali.
La tattica di Hamas è la stessa usata in Libano da Hezbollah. Ricordo che durante quella breve e disgraziata guerra di quasi tre anni fa, gli israeliani colpirono un palazzo abitato in cui, ad un piano alto, era stata sistemata una rampa di missili. La rampa era stata sistemata deliberatamente in un palazzo affollato i cui abitanti erano stati tutti presi come ostaggio, con l'obbligo di non muoversi per poter morire nel prevedibile attacco aereo che infatti arrivò. In quel caso l'aviazione israeliana fece un lavoro, nei limiti del possibile, preciso e colpì chirurgicamente soltanto il bersaglio, ma ci furono egualmente molti morti e quel colpo da militare diventò mediatico: la prova provata che quelle belve assetate di sangue degli israeliani, che Allah li maledica, altro non cercano che il sangue degli innocenti.
E il sangue degli innocenti viene venduto a peso d'oro dalle agenzie di stampa ai media, specialmente ai telegiornali di tutto il mondo, e pochi si curano di certificare di che si tratti e che cosa e quando sia stato ripreso e da chi. Così ecco che una carneficina mostruosa provocata da un camion di munizioni di Hamas esploso incidentalmente in un campo pieno di palestinesi, diventi la prova di un eccidio israeliano.
Gli israeliani, quando hanno iniziato l'operazione «piombo fuso», sapevano benissimo che cosa sarebbe successo e avevano studiato le contromisure. Ma hanno messo in preventivo il fatto che, oltre a un doloroso e non desiderato bilancio di vittime civili, avrebbero dovuto sostenere anche l'impatto dei falsi. La vecchia Golda Meir scrisse: «Noi possiamo perdonare agli arabi il fatto che uccidono i nostri figli, ma non perdoneremo mai il fatto che ci costringano a uccidere i loro figli. La pace fra noi e loro avverrà il giorno in cui gli arabi ameranno i propri figli più di quanto odino noi ebrei».
Hamas, come Hezbollah, e prima ancora Forza 17 e l'Olp sanno benissimo che quello è il tallone d'Achille d’Israele: l'opinione pubblica occidentale che giudica dalle immagini. E i giornalisti occidentali, molti di loro almeno, pur di restare nelle grazie di queste entità, hanno volentieri chiuso tutti e due gli occhi sulle efferatezze palestinesi per enfatizzare quelle di parte opposta, vere o false che fossero. Così il famoso video trasmesso da Rete 4 in cui si assisteva al linciaggio di due prigionieri israeliani picchiati a morte e fatti precipitare poi dalle finestre, diventò un motivo di imbarazzo per la stampa «liberal» assetata soltanto di immagini in cui i palestinesi sono vittime. Fu così avviata una vera produzione di funerali di bambini mai morti, o con bare vuote e le telecamere impietose colsero il momento in cui il morto, esaurito il suo compito, scendeva dalla bara per tornarsene a casa.
Quando seguivo la guerra del Libano negli anni Ottanta, con altri colleghi italiani andavamo ogni sera a contare i morti palestinesi civili dell'Olp assassinati dai cecchini palestinesi del leader Abu Mussa, che era sotto protezione siriana e sparava sugli arafattiani. Erano sacchi di plastica pieni di sangue e resti di bambini, madri, vecchi, teste, piedi, budella. Non interessavano a nessuno: palestinesi ammazzati da palestinesi non fanno notizia. Il bambino morto, si presume, in seguito al crollo di una casa, si presume, dopo un bombardamento dei «sionisti», fa il giro del mondo.
Guardate che cosa fanno i sionisti. Le immagini frugano Israele dove non si registrano carneficine, e questo per la semplice ragione che in Israele la sirena dell'allarme suona ogni volta che viene avvistato un razzo, un Grad o un Qassam, sicché la gente corre con l'angoscia nel cuore nel rifugio antiaereo e il missile esplode per strada, contro una casa, ma in genere non uccide perché in Israele esiste soltanto la cultura della sopravvivenza e non del martirio. La religione ebraica considera il suicidio o l'esposizione inutile della propria vita come un grave peccato e comunque una vergogna di cui non andare orgogliosi e le madri israeliane mettono i bambini al sicuro, e certamente non succede che arrivi lo zio, o il cognato, o uno sconosciuto che acciuffi un bambino e lo trascini recalcitrante e urlante fino alla postazione dove si spera che possa morire, diventando un martire da fotografare.
Tutta questa guerra delle immagini in cui (a prescindere dall'effettivo e dolore carico di morte di cui Hamas e soltanto Hamas porta la responsabilità e la colpa) Israele è sempre sul banco degli accusati, non trova spazio la notizia, certificata, reale e incredibile delle telefonate che la forza aerea israeliana fa agli abitanti delle case da colpire, invitandoli ad andarsene. E gli uomini di Hamas, che hanno tutto l'interesse a moltiplicare i morti per trasformarli in forza politica da spendere sulle televisioni e i governi occidentali, impediscono con le armi l'esodo dalle case e anzi trascinano tutti gli abitanti sul terrazzo.
Gli israeliani, come mostrano le fotografie e i filmati, rispondono a questa mossa lanciando missili che sono in realtà dei fragorosi terrorizzanti petardi, che esplodono in maniera violenta ma non possono uccidere: il botto in genere mette in fuga tutti, sicché poi il missile successivo, meno fragoroso, è quello che colpisce la casa che conteneva nel cortile il camion con la rampa di lancio.
Così la guerra delle fotografie, dei filmati, delle dichiarazioni furibonde, delle povere madri che piangono figli che prima di morire sono stati strappati loro dai terroristi, continua. E gli spettatori ignari giudicano soltanto dalla reazione del loro sistema nervoso assistendo a spettacoli raccapriccianti, alcuni dei quali autentici, molti falsi, e dalle reazioni del loro stomaco traggono un giudizio morale che, sfumatura più, sfumatura meno, è sempre lo stesso: ma questi israeliani ora veramente esagerano! Con tutta la simpatia per gli ebrei (ho un amico carissimo ebreo anch'io), costoro non possono massacrare e uccidere coloro che sono nati sulla propria terra. Come se gli israeliani, invece, fossero nati ad Oslo o a Singapore e non fossero su quelle terre da cinquemila anni, secolo più, secolo meno, e in maniera continua, malgrado la diaspora e anche nei secoli bui del dominio turco (e non arabo) quando la cosiddetta Palestina era quella descritta dai due viaggiatori dell'Ottocento Mark Twain e Francesco de Sanctis, e cioè una sassaia deserta con qualche pastore di capre e una comunità ebraica stabile a Gerusalemme. Ma oggi la storia non fa parte della scuola dell'obbligo televisivo, essendo le televisioni avide soltanto di bocconi forti, piccanti, avvelenati e raramente di verità, cosa che poi porta prima o poi all'antisemitismo vero, autentico, quello che invita a scrivere «negozio ebreo» sulle botteghe del ghetto di Roma.

Libero - Oscar Giannino - Dalle Nazioni Unite una scia di soprusi contro Gerusalemme "

È una brutta storia, quella delle nazioni unite contro l’Onu. Lo Stato d’Israele nacque infatti per la risoluzione 181 dell’assemblea generale del’Onu nel 1947. Ma dal 18 maggio 1951 - la prima risoluzione “contro” lo Stato d’Israele, la numero 93 di quell’anno - l’organo supremo delle Nazioni Unite ne ha accumulate la bellezza di 82, contro Israele per via dei palestinesi o dei conflitti scatenati contro Israele da paesi arabi, o da fazioni come Al Fatah in tutti i decenni nei quali è stata un’organizzazione terroristica, poi dagli Hezbollah e da Hamas.  Tutto ciò solo per fermarsi alle risoluzioni dell’assemblea generale, perché se si fa l’elenco delle decisioni e risoluzioni approvate a maggioranza dai diversi corpi dell’Onu contro Israele si riempiono addirittura volumi. Fino alle più recenti dichiarazioni del rapporteur Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi, Richard Falk, che a novembre scorso al Consiglio per i diritti umani ha definito la politica israeliana verso la popolazione araba molto simile a un «crimine contro l’umanità», aggiungendo che «sarebbe obbligatorio per una Corte criminale internazionale investigare sulla situazione e determinare se i leader politici israeliani e i comandanti militari responsabili dell’assedio di Gaza non andrebbero processati per violazioni contro le leggi criminali internazionali». Falk, per la cronaca, è un ebreo americano, professore di diritto internazionale, espulso lo scorso 10 dicembre da Israele in quanto «persona non gradita», dopo anni e anni di contumelie riservate in sede Onu ai diversi governi d’Israele.  In realtà, il no di ieri opposto da Israele all’ennesima tregua richiesta dall’Onu a Gaza non solo non deve stupire, alla luce di precedenti storici tanto unilateralmente anti israeliani. È proprio il fondamento del diritto internazionale come codificato in sede Onu, a non potersi applicare a Israele. Non è una sparata filoisraeliana. È un fatto oggettivo, che dipende dalla labilità dei presupposti storicamente posti dall’Onu per le proprie delibere. Vediamo perché.  Lo jus ad bellum internazionale - cioè la codificazione dei presupposti in base ai quali uno Stato membro dell’Onu può dichiarare e porre in essere una “guerra giusta” - è in teoria normato dall’articolo 2 paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite, che dichiara le condizioni sotto le quali qualunque Stato membro può legittimamente essere considerato «aggredito» da un altro Stato. È utile rammentare che una sola volta nell’intera storia dell’Onu il Consiglio di sicurezza è riuscito a dichiarare la sussistenza di tale circostanza. Nel 1950, quando la Corea del Nord attaccò la Corea del Sud. Da allora, mai più una sola volta. Esiste poi una copiosa messe di risoluzioni approvate negli anni dall’Assemblea generale, per definire l’eventualità dell’aggressione a uno Stato membro anche da parte di entità non statuali, come nel caso di Hamas che da Gaza bersaglia Israele di razzi. Ne ricordiamo una su tutte, la 3.314 del 1974, che all’articolo 3 paragrafo g richiama esplicitamente la fattispecie di aggressioni dirette o indirette a Stati membri da parte di fazioni armate sostenute da altri Stati, caso in cui specificamente ricade appunto Hamas.  Una sola volta anche in questo caso, con la risoluzione 405 del 1977 adottata dal Consiglio di sicurezza, l’Onu ha riconosciuto l’aggressione a uno Stato membro da parte di fazioni armate esterne: si trattava allora del Benin, ma la risoluzione si guardò bene anche allora dal dichiarare chi fosse lo Stato straniero sponsor dell’attacco, che in quel caso era di mercenari. Checché si dica, l’armamentario Onu risulta teoricamente valido ma storicamente privo di applicabilità, ai casi di fazioni come Hamas, Hezbollah o all’esercito del Mahdi sponsorizzati dall’Iran a Gaza, nel Libano, in Iraq. Ed è anche per questo, con tutto il rispetto verso coloro che invocano nell’Onu un fantomatico “governo del mondo”, che Israele ieri ha fatto benissimo a dire no. La tregua, quando e se verrà, sarà frutto di accordi interstatali, con l’Egitto protagonista e in nome del no ai missili di Hamas, non certo delle Nazioni Unite in cui Teheran e le sue azioni di destabilizzazione terroristica non si condannano mai.  

Libero - Alessandrfo Gnocchi - " Razzi più grossi su Israele, Non è un terrorista. E' Vattimo "

Il filosofo Gianni Vattimo, teorico del pensiero debole, ha alcune proposte forti per contrastare l’odiato sionismo. Ad esempio, come chiede qualcuno, si potrebbe aderire al boicottaggio di aziende e supermercati che importano merci da Israele. Si potrebbe ma non si può, c’è un impedimento ostico al pari di certe pagine di Heidegger: «Non sono io a fare la spesa», ha dichiarato ieri il pensatore desolato al Corriere. Ecco quindi l’idea numero due: «Bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù ma mi pare più complesso». I missili Qassam, per la cronaca, sono quelli, all’origine dell’attuale scontro, sparati dai palestinesi sulle teste dei vicini israeliani. L’anno scorso, quando Vattimo si è schierato contro la presenza di Israele come ospite d’onore della Fiera del libro di Torino, giravano volantini dei boicottatori in cui si leggeva che i «razzi Qassam fanno solo rumore». Ciò spiega il motivo per cui Vattimo intende sostituire gli inutili petardi con armi più pericolose. Già, la Fiera 2008. Momento di gloria per il filosofo, incoronato leader della protesta filo-palestinese. Vattimo non si è fatto pregare. Infatti il filosofo in materia non ha dubbi e sa gestire i media da showman consumato. Eccolo lodare la «resistenza palestinese, praticamente la sola rimasta contro il pensiero unico, imperialista e dominante». Poi approfondisce il discorso: «Oggi la regola pare sia che non si può dare del fascista a un ebreo». Quindi, offeso per le critiche ricevute, rivaluta un classico dell’antisemitismo, I Protocolli dei savi di Sion, libro amato da Hitler e meditato da Ahmadinejad: «Non ho mai creduto alla menzogna dei “Protocolli”. Ora inizio a ricredermi, visto il servilismo dei media».

A parte Israele, il professore sembra aver dichiarato guerra al buon senso in generale. Il catalogo delle sue bizzarrie è lungo come la sua opera omnia, di recente pubblicata in 12 agili volumi suddivisi in 43 tomi. (Per Platone ne sono bastati 9).

L’anno scorso tutte le televisioni del mondo hanno trasmesso le immagini della repressione cinese a danno dei tibetani. Di fronte all’esercito di Pechino per le vie di Lhasa intento a manganellare i monaci buddisti, Vattimo ha avuto una illuminazione delle sue: lo spettacolo propinato dai media imperialisti è falso. La verità è un’altra: il Tibet ha invaso la Cina. Subito è scattato l’appello in difesa dei diritti dei governanti comunisti «sotto attacco dell’Occidente», Vattimo è stato il primo e forse l’ultimo a firmare. Gli «europei» hanno orchestrato una «campagna anti cinese dai connotati razzisti». Esatto, c’è un «piano imperialista contro Pechino», è un nuovo capitolo della «guerra dell’Oppio». Vattimo rivela: in Tibet c’è «una caccia ai cinesi ... finita con donne, vecchi e bambini dati alle fiamme».

Ex europarlamentare ds, poi depennato e migrato verso lidi più radicali, se l’Italia fosse una repubblica guidata da lui avremmo risolto ogni guaio. Anche in politica interna Vattimo ha opinioni ponderate. Prendiamo il PdL: «A parte le bombe, contro Berlusconi tutto è lecito». Con i suoi vecchi compagni di strada è altrettanto gentile: «Veltroni è un lettore di Topolino». Vattimo comunque ha trovato un punto di riferimento e qualche tempo fa dichiarava: «Io sono per la rinascita del Pci, ma non vedo grandi speranze. C'è rimasto solo Marco Rizzo, uno che ci crede...». Subito dopo Marco Rizzo e sodali sono stati cancellati dal Parlamento grazie al voto degli elettori.

Vattimo offre filosofiche considerazioni su tutto e tutti. Osama Bin Laden: «Visto che non c’è un governo legittimo con cui trattare», ha scritto sul Manifesto, «perché continuiamo a rifiutare ogni trattativa con la falsa idea che il nemico sia solo un vile e abominevole bandito?». La strage di Nassiriya in cui morirono 19 soldati italiani: «Un effetto collaterale di un atto di resistenza». Potremmo proseguire ma concludiamo con un aneddoto raccontato da Pierluigi Battista in un articolo sul Corriere della Sera. Nel 2007, l’allora segretario dei Ds Piero Fassino, in vena di auto-flagellazione, si sottopose a una sorta di processo pubblico. Il tribunale, riunito nella Sala dello Stenditoio del San Michele di Roma, era composto dalla cosiddetta intellighenzia: Furio Colombo, Moni Ovadia, Asor Rosa, etc. Scrive Battista: «Si raggiungono le vette dell’avanspettacolo quando Gianni Vattimo chiede a Fassino : “A Torino io vado in tram, Fassino ci vai mai in tram?”. Viene inurbanamente interrotto dallo scrittore Antonio Pennacchi con un ruspante: “A’ Vattimo, e tu vattene affanculo”».

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