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La Stampa Rassegna Stampa
08.01.2009 Dietro Hamas, l'Iran
mentre non c'è la "Legione araba" a sostegno dei terroristi palestinesi: l'analisi di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 08 gennaio 2009
Pagina: 6
Autore: Francesca Paci
Titolo: «“Arrivano i nostri?” La Palestina sogna “una legione araba”»
Da La STAMPA dell'8 gennaio 2008, l'articolo di Francesca Paci " “Arrivano i nostri?” La Palestina sogna “una legione araba”":

Nella trincea di Gaza mancavano solo i mujaheddin con il turbante nero. Mentre l’Egitto, sostenuto dai Paesi arabi cosiddetti moderati, si affanna a mediare la tregua tra Israele e Hamas, l’altra metà del mondo musulmano mobilita le forze a sostegno della Striscia assediata. Dopo il leader di Hezbollah Nashrallah, che da Beirut ha rilanciato la guerra a tutto campo contro il nemico sionista, e gli imam algerini, intenzionati a dedicare ai palestinesi l’Ashura, la festa in memoria dell’imam sciita Hussein, è il turno di Gulbuddin Hekmatyar, temibile signore della guerra afghano e comandante di Hezb-i-Islami, la milizia che affianca i Talebani nello scontro aperto contro le truppe Nato. «Se la situazione lo consentirà invieremo i nostri mujaheddin a difendere Hamas»; ha detto ieri il portavoce di Hekmatyar, Harron Zarghon. Il numero uno di Hezb-i-Islami, ricercato negli Stati Uniti, avrebbe «migliaia di volontari pronti ad andare a Gaza per combattere Israele». Tutto sta a trovare la via d’accesso.
Il professor Yacov Bar Siman Tov, docente di relazioni internazionali all’università di Gerusalemme, non ci crede. Il grande esercito islamico, giura, è lungi dall’organizzarsi: «Si tratta di propaganda, il conflitto non si amplierà in modo catastrofico perché Hamas, nonostante partecipi a un disegno trasversale, persegue i suoi interessi». Eppure, dietro il fumo delle cannonate che soffoca Jabalya, Beit Hanun, Khan Younis, molti analisti intravedono, sempre più nitido, un secondo fronte, una sfida più importante per Israele di quella lanciata il 27 dicembre scorso al partito islamico guidato da Ismail Haniyeh.
«L’avversario vero è l’Iran, alle spalle di Hamas ci sono gli ayatollah post-khomeinisti», nota il generale Yaakov Amidror, ex responsabile del National Defence College dell’esercito israeliano, il centro studi dell’intelligence. «L’Iran gioca pesante», scrive Jihad El Kazen, editorialista del quotidiano Dar al Hayat. Soldi in cambio d’interessi strategici: «Inviando a Gaza dai 25 ai 40 milioni di dollari al mese, gli ayatollah non intendono aiutare i palestinesi ma usarli». Lo scopo, secondo Michael Young, direttore del quotidiano libanese Daily Star, è ridiscutere l’equilibrio dei poteri in Medio Oriente. E nei giorni passati il segretario del Supremo consiglio iraniano per la sicurezza nazionale, Saeed Jalili, ha pendolato tra Damasco e Beirut per incontrare il leader di Hamas Khaled Mashaal e quello di Hezbollah Nasrallah.
I palestinesi non amano la lettura del conflitto che mette in secondo piano la loro lotta nazionale. Ma Bassam Eid, direttore del Centro per il Monitoraggio dei Diritti Umani di Ramallah, è convinto che al momento sia l’unica possibile: «L’Iran è purtroppo la forza con la massima influenza su questa guerra, più si prolungano i combattimenti e cresce il numero delle vittime civili, maggiore è il successo di Teheran». Altro che patriottismo: «Non capisco la stupidità di Hamas, se davvero fosse il partito nazionalista che sostiene d’essere non sacrificherebbe la vita della sua gente sull’altare dell’Iran».
Se oggi l’offensiva israeliana travalica strategicamente i confini geografici di Gaza, domani arriverà a incrociare davvero le armi con pasdaran e mujaheddin? Secondo Dore Gold, presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, tutto dipende dal fattore tempo: «Israele non può fermarsi adesso, un prematuro cessate-il-fuoco rafforzerebbe Hamas e l’islam radicale in tutto il mondo». Dal fronte, i generali israeliani annunciano l’inizio della fase tre, la penetrazione dei tank nei vicoli insidiosi dei campi profughi di Gaza dove i miliziani palestinesi sono pronti al corpo a corpo aspettando senza grande convinzione l’eterna promessa arabo-musulmana dell’«arrivano i nostri».

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