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La Repubblica Rassegna Stampa
08.01.2009 Israele non si fermerà finché non cesseranno i lanci di razzi
intervista al presidente Shimon Peres

Testata: La Repubblica
Data: 08 gennaio 2009
Pagina: 2
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Il presidente Peres "Non ci fermiamo se non finisce il terrore"»
Da La REPUBBLICA del 9 gennaio 2009, l'intervista di Francesca Caferri al presidente israeliano Shimon Peres, " 

GERUSALEMME - Gli scaffali della libreria di Shimon Peres, nel palazzo presidenziale di Gerusalemme, sono pieni di premi: targhe, colombe, pergamene, coppe. E il diploma del premio Nobel, ottenuto nel 1994 con Yitzhak Rabin e Yasser Arafat per i loro sforzi per la pace in Medio Oriente. Il capo di Stato israeliano, nonostante i suoi 85 anni, è in prima fila nella campagna di pubbliche relazioni che corre parallela all´offensiva su Gaza. Ci riceve di prima mattina: dopo lo aspettano le visite alle famiglie dei soldati morti e ai feriti. E naturalmente molte telecamere.
Presidente Peres, buona parte dell´opinione pubblica europea è sconcertata davanti al numero di vittime civili a Gaza. Molti accusano Israele di aver reagito in modo sproporzionato ai lanci dei Qassam: cosa risponde?
«Quale sarebbe un modo di agire proporzionato? Se lanciassero la metà dei missili che lanciano ora, dovremmo fermarci? Se contro l´Italia lanciassero 50 missili e vi dicessero che se ne arrivassero 25 dovreste essere contenti, sareste d´accordo? Noi vogliamo che questi lanci finiscano. Questa è una situazione senza precedenti: siamo di fronte a un gruppo terroristico che controlla un territorio di cui si è appropriato illegalmente, non si cura di salvare le vite dei suoi bambini e delle sue donne e tira bombe sulle nostre scuole. Tutti sono pronti a darci consigli su come dovremmo comportarci ma nessuno ha vissuto quello che viviamo noi. Come dovremmo combatterli? Come dovremmo tradurre la "proporzione" di cui lei mi chiede in termini pratici?».
L´iniziativa franco-egiziana può contribuire a mettere fine all´offensiva?
«Questo piano è un´idea generale: dobbiamo discutere i dettagli. Può richiedere giorni. Ma voglio chiarirvi il nostro punto di vista: non vogliamo prolungare la guerra e non abbiamo ambizioni territoriali su Gaza. Vogliamo che finisca non solo questa operazione, ma tutto il terrore. I nostri obiettivi sono chiari: prima cosa, non vogliamo fare di Gaza un satellite dell´Iran. Secondo punto: non vogliamo un cessate il fuoco ma la fine del terrore. Hamas deve smettere di sparare».
Il segretario generale delle Nazioni Unite ha definito «inaccettabile» il fatto che Israele spari su edifici Onu come la scuola di Jabaliya. Perché quella scuola è stata colpita?
«Israele ha detto al segretario generale che alcuni edifici delle Nazioni Unite sono usati come protezione per attività terroristiche e gli ha chiesto di mettere fine a questo problema. Non è stato fatto. Hamas usa i bambini come scudi, nasconde i terroristi negli ospedali e le armi nelle moschee. Da quella scuola ci hanno sparato: è Hamas che non conosce le proporzioni. Nulla li ferma».
Lei ha lavorato per anni a favore della pace fra Israele e palestinesi: crede che sia ancora possibile?
«Con questa operazione c´è una possibilità per la pace. Senza, non ci sarebbe stata nessuna possibilità».
Anche se i palestinesi accusano Israele di uccidere in modo indiscriminato i civili di Gaza?
«I palestinesi sono divisi. Ci sono due gruppi: uno che vuole i negoziati e un piccolo gruppo di terroristi che stanno provando a fermare la pace. Abu Mazen non vuole che questo accada, e neanche gli egiziani».
Per Onu e Croce rossa a Gaza c´è una grave emergenza umanitaria. Il governo israeliano nega. Può spiegarci il vostro punto di vista?
«Le strade per gli aiuti umanitari sono aperte. Il flusso non è mai stato fermato. L´embargo è contro le armi iraniane, non contro i medicinali. Mandiamo tutte le medicine e il cibo di cui hanno bisogno. Non fermiamo nulla. Noi non vogliamo una crisi umanitaria».
Dunque Onu e Croce Rossa sbagliano?
«Le rispondo che non credo possa esserci "felicità umanitaria" durante una guerra. La guerra non è una situazione felice».

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