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Libero Rassegna Stampa
07.01.2009 Il cinismo di Hamas, l'ostacolo terrorista alla pace, la cattiva "teologia" di Eugenio Scalfari
le analisi di Giancarlo Lehner , Oscar Giannino e Andrea Della Rovere

Testata: Libero
Data: 07 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Giancarlo Lehner - Oscar Giannino - Andrea Dalla Rovere
Titolo: «Israele distrugga i terroristi e crei la Palestina - Il Dio degli ebrei che Scalfari nomina invano»

Nonostante le mie origini ebraiche, non m’imbarcherò nell’analisi di chi ha ragione e chi torto tra israeliani e palestinesi, anche perché, volendo, si possono trovare, senza far torto alla verità, mille motivazioni a favore degli uni o degli altri. La vera questione, infatti, è che da sessant’anni procede lo stillicidio degli attentati, dei raid, dell’intifada, del lancio di missili, dei kamikaze, (...)

(...) dei bombardamenti, della guerra guerreggiata e degli scontri circoscritti nel tempo e nello spazio.

In sessant’anni, gli uni e gli altri non sono riusciti a trovare una soluzione stabile ed equa, la qualcosa fa sospettare che lo stop and go all’infinito delle operazioni belliche sia, in realtà, utile, funzionale, profittevole, come un seriale terno al lotto che arricchisce cani e porci delle classi dirigenti, mentre sottopone ad un’eterna tragedia i palestinesi e la gente di Mosè. Il popolo d’Israele ha scommesso su Sion, offrendo impegno, coraggio, stoicismo, financo la propria vita. Sono persone che ben potevano rimanere al calduccio sicuro nei mille luoghi della diaspora e che, invece, hanno preferito sacrificarsi ed esporsi ogni giorno, per dare forza, credibilità, futuro al primo vero Stato ebraico. Altri israeliti, ricchi e famosi, cazzeggiano in Europa e pontificano sui giornali; negli States, magari truffano, come Madoff, in quel di Wall Street, alimentando con la riproposizione di Shylock l’antisemitismo più feroce. Negli Studios di Hollywood, ogni tanto si ricordano di essere ebrei, prima che comunisti, stanziando elemosine per i fratelli straccioni venuti dalla Russia, dall’Ukraina, dalla Polonia, per montare la guardia in prima linea, morendo in trincea con l’imperativo di far sopravvivere l’utopia sionista incarnatasi in Israele. Dall’altra parte, ci sono le classi dirigenti, che sulle guerre e sulle tregue per dodici lunghi lustri hanno continuato a lucrare.

Tutti gli organismi internazionali dilapidano aiuti e denari, a cominciare da noi euroimbecilli, che vorremmo dar sollievo ai poveri palestinesi, fingendo di non sapere che i nostri denari finiscono, da sempre, altrove, a tutti fuorché ai palestinesi. Basti rammentare i conti esteri miliardari di Arafat o i molti, i troppi leader israeliani beccati con le mani nella marmellata. Sessant’anni di guerra a un tanto a morto, ecco l’altra verità sottaciuta. Esiste una via d’uscita?

Contro tutti i treguafondai, i primi complici della guerra affaristica dei sessant’anni a crescere, è necessario che Israele abbia il coraggio e il pudore di portare sino alle estreme conseguenze la guerra, vincendola e stravincendola, rinunciando ai profitti della tregua, al business dello stop and go, all’affare delle paci transitorie.

Bisogna, una buona volta, che Hamas sia vinta, annichilita, distrutta. Dopo di che, via libera alla fondazione dello Stato di Palestina.

Vade retro treguafondai, veri nemici di Israele, della Palestina, della pace.

Sempre dalla prima pagina di LIBERO, l'articolo di Oscar Giannino:  "Il Dio degli ebrei che Scalfari nomina invano ":

Viva Stefano Romano Di Segni. Ieri ha scritto a Repubblica la sua condanna per quanto scritto da Eugenio Scalfari. Domenica, il fondatore di Repubblica ha parlato dell’azione israeliana contro i terroristi di Hamas. Ma era solo un incipit. Parava altrove, nella consueta censura verso la Chiesa e la sua dottrina in materia di bioetica. La condanna per la «sproporzione evidente» di Israele era comunque ferma. Ma visto che si parlava di un tema non proprio secondario per la nozione stessa (...)

(...) di Israele - Dio - Scalfari lo liquidava sbrigativamente. In Israele, per lui, lo si adora alla stessa stregua dell’interpretazione jihadista del Corano.

A quel punto, a molti lettori di Repubblica, e innanzitutto a molti lettori ebrei, le scatole sono girate a mille. E parecchi di loro hanno preso carta e penna, mandando missive di protesta. Tanto che lo stesso giornale ha dovuto pubblicarne una per tutte. Perché la voce della protesta era girata, nella comunità romana come altrove, e non sarebbe stato corretto né elegante fare orecchie da mercante.

La prescelta è stata appunto quella di Stefano Romano Di Segni. Il quale ha respinto le pretese di Scalfari «teologo», per il quale gli ebrei d’Israele hanno dimenticato il Dio d’amore di Abramo e quello della sapienza di Salomone, per adorare solo Yhwé Sabaoth, l’aspro “Dio degli eserciti”. E ha concluso amaramente di non stupirsi, visto che Scalfari scriveva sulle riviste più razziste del fascismo ancora nel tardo 1942.

La scelta di Repubblica è stata quello dello scorpione, che serba in coda il veleno. La lettera di Di Segni è stata bollata in corsivo come insultante, priva di argomentazioni tali da confutare Scalfari. Una scelta che mi ha fatto riflettere. Mi ha prima fatto sorridere. Poi, mi è sembrata un po’ meschinella. Se alla direzione e all’ufficio centrale di Repubblica pensano si debba difendere il fondatore sostenendo che chi lo critica è un empio insultatore, allora alla battaglia delle idee si è sostituita l’idolatria. Bell’essere laici, criticare il Papa cattolico in nome dell’Antipapa proprio. Complimenti.

Ma, al di là delle facili battute che vengono spontanee, di fronte a tanto discettare di filosofia negli ultimi anni di prosa scalfariana, se stiamo al punto in realtà viene da dire che da stupirci c’è assai poco. Sono passati quarantuno anni ormai, dalla guerra dei Sei Giorni che vide Israele difendersi con un brillante blitz preventivo dall’ennesimo attacco che i Paesi arabi confinanti gli stavano riservando. Molti forse non lo ricordano, ma la rottura storica tra il grande Arrigo Benedetti fondatore dell’Espresso, ed Eugenio Scalfari che ne prese da allora il timone grazie al sostegno del principe Caracciolo, avvenne proprio perché Scalfari assunse una posizione nettamente filo-araba, condannando l’azione di Israele.

Da allora, Scalfari non ha mai cambiato idea. È Israele, in quanto Paese democratico e libero, che da sola dovrebbe capire quanto sia infondata e ingiusta, la pretesa di eliminare dal ring chi la colpisce e distrugge col terrorismo. Ricordo ancora le parole di Scalfari nel 2002. Erano passati nove anni, da quando Ytzak Rabin avevo stretto la mano di Araft a Camp David, pagandone poi due anni dopo il prezzo con la propria vita. Ancora nel 2000, vanamente Clinton aveva richiamato Arafat a Camp David con Barak, per onorare i patti sottoscritti con Israele. Ma le stragi kamikaze contro civili israeliani inermi continuavano. E Israele a quel punto mise sotto assedio gli uffici di Arafat a Ramallah. Scalfari scrisse allora che nulla si poteva chiedere ad Arafat, tanto meno evitare i kamikaze. mentre tutto si doveva chiedere solo a Israele. Ma Sharon avrebbe detto di no, sempre e solo di no, continuava Scalfari. Mi sono sempre chiesto se quei giudizi duri come pietre gli siano tornati alla mente, quando tre anni dopo Sharon si ritirava da Gaza senza nulla pretendere. Per ritrovarsi poi Hamas che continua a tirare razzi sulle città israeliane.

È da 41 anni, che Scalfari pensa che Israele sia giustamente punita e unica responsabile dei guai dell’intero Medio Oriente. Di fronte a questo passano persino in secondo piano la superficialità e la disinvoltura con cui egli liquida Elohim agli occhi di chi è ebreo, e il valore dell’Alleanza con Dio a cui per sempre i discendenti delle dodici tribù d’Israele si sentiranno legati. In fondo, sono difetti assai prossimi a quell’istintiva e paludata apparenza di ragione che appagava il giovane Scalfari, inducendolo a scrivere in gioventù per le riviste del fascismo.

L'analisi di Andrea Dalla Rovere "L'unica consolazione dei terroristi piccoli cadaveri da far vedere in tv", da pagina 9:


Nonostante i suoi miliziani vengano pesantemente sconfitti sul campo di battaglia dall’offensiva terrestre israeliana, Hamas potrebbe aver colto ieri un successo da spendere sul fronte politico-mediatico non meno importante di quello strettamente bellico.

La morte di trenta civili uccisi dalle cannonate israeliane nella scuola del campo profughi di Jabailya (gestita dalle Nazioni Unite ma trasformata in un rifugio) rappresenta per tutti i media la notizia più importante dal fronte di Gaza. Sull’avvenimento deve ancora essere fatta piena luce ma era prevedibile che lo sviluppo terrestre del conflitto, specie in ambiente urbano, si prestasse ancor più dei raids aerei al coinvolgimento accidentale dei civili. Fonti militari israeliane avrebbero fatto sapere che dal cortile della scuola i miliziani di Hamas colpivano col fuoco di mortai le truppe israeliane che hanno risposto. Le stesse fonti hanno confermato che sempre più spesso i miliziani di Hamas attaccano forze israeliane dall’interno di scuole, ospedali, moschee e da zone residenziali con l’evidente obiettivo di scatenare reazioni che provochino vittime civili.

Una tattica certo non nuova utilizzata recentemente dai miliziani di al-Qaeda in Iraq, dai talebani in Afghanistan e nell’estate 2006 da Hezbollah, in Libano, proprio contro Israele.

Da quando le tre direttrici dell’offensiva terrestre israeliana hanno dimostrato che Gerusalemme intende annientare le forze jihadiste a Gaza, ai miliziani di Hamas sono rimaste solo due opzioni: arrendersi oppure trasformare la battaglia in una carneficina che ingigantisca le critiche della comunità internazionale nei confronti di Gerusalemme. Le perdite insignificanti subite finora da Tsahal (appena sei i soldati morti, quattro dei quali uccisi per errore dagli stessi israeliani) sembrano indicare l’incapacità di Hamas di contrastare la superiorità tattica e tecnologica dell’avversario. Un gap che favorisce il coinvolgimento nella battaglia della popolazione, il cui sacrificio catalizza le pressioni dell’opinione pubblica internazionale su Israele affinché vengano sospese le ostilità.

Finora il governo israeliano ha saputo mantenere un atteggiamento fermo nei confronti delle pretese europee di stabilire improbabili tregue ma la morte di molti civili potrebbe creare fratture nell’ampio consenso popolare raccolto dall’operazione “Piombo Fuso”, già in parte emerse su alcuni quotidiani israeliani quali Haaretz e Maariv. Quest’ultimo ha citato uno studio secondo il quale Hamas sarà comunque in grado di colpire il territorio israeliano con i razzi Grad e Qassam ancora per molte settimane.

La campagna israeliana sembra destinata ad assumere crescenti sfumature politiche con l’avvicinarsi delle elezioni del 10 febbraio anche se entro quella data Tsahal, se continuerà ad avere mano libera, potrebbe aver già cancellato a Gaza le milizie jihadiste. Hamas ha avuto circa 600 caduti e quasi 3.000 feriti, quindi sulla carta dispone di almeno altri 12.000 combattenti ancora operativi. Molti di questi sono miliziani fanatici ma inesperti e male armati ma è comunque probabile che il grosso delle forze di Hamas, incluse le brigate Ezzedin al-Kassam e gli uomini della Jihad Islamica Palestinese, siano concentrate a Gaza City e nelle altre roccaforti urbane pronte a combattere casa per casa utilizzando anche kamikaze e trappole esplosive. Dal confronto tra il tentativo di Hamas di trasformare Gaza in un’altra Stalingrado e i piani israeliani per la demolizione progressiva dello strumento militare del gruppo islamico emergerà il vincitore di questa battaglia che potrebbe risultare decisiva nella lunga guerra a distanza tra Israele e l’Iran.

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