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La Repubblica Rassegna Stampa
06.01.2009 Leggere Benny Morris per difendersi da Sandro Viola
l'intervista di Susanna Nirenstein, il testo di Viola, la comunità ebraica chiude le porte a D'Alema

Testata: La Repubblica
Data: 06 gennaio 2009
Pagina: 32
Autore: Susanna Nirenstein-Sandro Viola-Giovanna Vitale
Titolo: «L'odio secolare contro Israele-Gaza- Hamas ha diviso i palestinesi»

Da REPUBBLICA di oggi, 06/01/2009, riprendiamo , l'intervista a Benny Morris di Susanna Nirenstein, da titolo " L' odio secolare contro Israele ". Segue il pezzo di Sandro Viola, seguito dalla cronaca di Giovanna Vitale sulle dichiarazioni del Presidente Napolitano ed il giudizio su D'Alema della Comunità ebraica di Roma.

Lo scopo di Israele è di fermare il lancio di razzi sulle sue città. Sono contrario alla tregua finché Hamas si sente fiducioso. La tregua potrà venire solo se si fermeranno i loro missili e il loro rifornimento di armi

 Susanna Nirenstein-  " L'odio secolare contro Israele "
L´analisi dello storico Benny Morris

Se c´è qualcuno che non è stato compiacente con la leadership dello Stato ebraico sul conflitto tra Israele e palestinesi è Benny Morris, lo storico di Gerusalemme che ha accusato Ben Gurion e il suo governo di aver pianificato l´espulsione degli arabi nel 1947-48. Dopo il processo di Oslo e l´Intifada degli attacchi suicidi però si è convinto che la controparte non ha mai voluto la pace, né allora, né oggi. Gli chiediamo se non giudica sproporzionata la risposta data dall´esercito ai razzi di Hamas.
«È senz´altro vero che la potenza di fuoco degli israeliani è maggiore, che i cittadini e i combattenti di Gaza sono più vulnerabili. Ma la campagna militare è una risposta non a uno o due missili dei giorni precedenti, ma a dieci anni di proiettili contro le città israeliane del sud. Azioni intensificate per di più dopo che Israele ha sradicato nel 2005 la sua popolazione dalla Striscia convinto di trovare così la pace. Se Hamas si fosse fermata, l´operazione non ci sarebbe mai stata. È semplice».
Come si iscrive questa guerra nella storia del conflitto israelo-palestinese al centro dei suoi studi?
«Fa parte del conflitto ormai secolare intrapreso dagli arabi che non accettano l´esistenza di Israele. È così che va guardato. Il movimento nazionale palestinese fin dalla sua nascita, all´inizio del XX secolo, voleva controllare l´intera Palestina. Oggi quella volontà è rappresentata da Hamas che proclama di voler distruggere Israele e instaurare un governo islamico sul tutto il territorio. Questa guerra è parte di un più largo conflitto con il mondo musulmano caratterizzato ora dal fanatismo religioso, da una visione messianica che non sopporta la presenza di infedeli su un territorio che considerano islamico».
Alcuni Stati arabi moderati questa volta hanno espresso un inedito disaccordo con Hamas.
«Anche nel 2006 i paesi arabi moderati silenziosamente appoggiarono la guerra contro Hezbollah. Sono spaventati essi stessi dall´estremismo islamico terrorista e dall´Iran. Soprattutto l´Egitto, perché Hamas è un´estensione dei Fratelli musulmani che minacciano il governo del Cairo. Ma non si tratta solo di affari interni. L´Egitto nel 1979 e la Giordania nel 1994 hanno davvero firmato la pace con Israele. Non perché amassero gli ebrei e il sionismo, ma perché non vogliono guerre che non pensano di poter vincere. Qualsiasi sia il motivo, hanno scelto di coesistere in pace».
Quali sono gli obiettivi dell´offensiva israeliana a Gaza, quando si fermerà?
«Penso che lo scopo di Israele sia fermare il lancio dei razzi sulle sue città. I bombardamenti dell´ultima settimana non ci sono riusciti. Il governo crede che più danni farà ad Hamas più possibilità ci saranno che questa cessi gli attacchi».
C´è il rischio che questa guerra diventi come quella in Libano del 2006, un pantano?
«Forse. Ma il bilancio per ora è migliore. I morti israeliani allora furono 160, Hezbollah lanciava negli ultimi giorni del conflitto 200 razzi al giorno. Molto dipende anche dalle pressioni internazionali».
Lei è favorevole al cessate il fuoco che chiedono l´Europa e anche Grossman, Oz, Yehoshua?
«Contrario finché Hamas si sente fiducioso e in grado di sparare razzi. Una tregua ora potrebbe durare pochi giorni, darebbe soltanto il tempo ad Hamas di riorganizzarsi. La tregua potrà venire solo se si fermeranno realmente i missili di Hamas e i loro rifornimenti di armi. L´Europa la chiede adesso perché è più aperta alle richieste degli arabi, ha bisogno del loro mercato, ha i sensi di colpa per il suo passato colonialista, e ha una componente antisemita. Peccato che l´Europa non faccia altrettante pressioni su Hamas».
Havel e Desmond Tutu parlano di una questione etica.
«È vero, c´è una questione etica quando si colpiscono i civili. Ma se il nemico si nasconde nelle loro case, nelle loro moschee, è lui a deciderne la morte».
Cosa pensa del problema umanitario che Gaza denuncia?
«Gaza piange, ma nessuno è morto di fame, né di mancanza di medicinali. Ogni giorno Israele manda e fa passare camion di cibo e farmaci. Muoiono in una guerra che Hamas ha cercato: questo deve essere chiaro».
La campagna è stata decisa dal governo a scopi elettorali?
«No. L´obiettivo era la sicurezza. Però è vero che la guerra condizionerà le elezioni. Se andrà bene, Barack avrà maggiori consensi, altrimenti guadagnerà voti Netanyahu».
È ottimista o pessimista?
«Non ottimista. Se finirà prematuramente, i lanci riprenderanno. E per di più finché il background con l´Iran che supporta Hamas e si arma del nucleare rimarrà uguale, le cose nel Medio Oriente continueranno ad andare male».

A pag. 32, accanto all'intervista a Benny Morris, l'articolo di Sandro Viola dal titolo " Gaza, nella striscia infernale la catastrofe del Medio Oriente ", nel quale Viola si riconferma uno dei peggiori diffusori di pregiudizi contro Israele. Già nelle prime righe, il paragone con il bombardamento nazista su Londra, e di conseguenza l'eguaglianza Israele-Terzo Reich, qualifica chi lo scrive. Che nota come a Gaza non vi sia una ferrovia sotterranea (come a Londra) dimenticando che invece di costruire i tunnel con l'Egitto, dai quali introdurre armi, avrebbero potuto benissimo costruire le infrastrutture che mancano. Viola, poi, da raffinato frequentatore di Hotel internzionali, ricorda il mpuzzo per le strada dovuto alla mancanza di fogne, ma non si chiede perchè mai non le abbiano costruite, pur con l'enorme flusso di denaro che dal '67 ad offi è arrivato dagli organismi internazionali nella Striscia. Erano troppo preoccupati ad acquistare missili e armi varie per attaccare Israele, come potevano avere il tempo di pensare alle fogne ! E' stato più facile addossarne la mancanza a Israele, tnato poi ci pensano i giornalisti come Sandro Viola a farlo credere. L'uscita da Gaza nel 2005 è poi colpa di Sharon, che non nl'ha concordata con Abu Maze, scrive Viola, mistificando il fatto che l'Anp a Gaza non ha mai avuto nessun potere. Non a caso, quando hanno potuto votare, i palestinesi dela Striscia hanno eletto Hamas. Tutto l'articolo, ripugnante, spiega bene il titolo della pagina accanto, quello dell'intervista con Benny Morris " L'odio secolare contro Israele". Eccolo:

 Guardavo alla televisione, sere fa, un documentario sulla "battaglia d´Inghilterra", come furono chiamati i bombardamenti aerei tedeschi su Londra durante la Seconda guerra mondiale. Erano immagini non tanto diverse da quelle dei bombardamenti israeliani su Gaza, che avevo visto poco prima nel telegiornale. Edifici sventrati, strade sconvolte, gente in lacrime. Ma conoscendo tanto Londra quanto Gaza city, una differenza, una differenza sostanziale e decisiva tra le due situazioni, mi appariva chiarissima. A Londra, una buona parte dei londinesi poté sfuggire ai bombardamenti. I bambini venivano evacuati in luoghi sicuri dell´Oxfordshire e del Sussex, gli adulti potevano, alla chiusura degli uffici, andare a dormire in case amiche sparse nella campagna attorno alla capitale, e quelli che invece restavano a Londra trascorrevano la notte - quando si susseguivano regolari le ondate degli Stukas tedeschi - al riparo nei sotterranei della metropolitana. Una coperta, un thermos col tè, il pacchetto di sigarette. E il coraggio inglese.
Ma i palestinesi di Gaza non possono mettersi in salvo, perché dalla Striscia di Gaza non è possibile uscire. I due confini, a nord con Israele e a sud con l´Egitto, sono sbarrati. L´unica strada che corre da un capo all´altro della Striscia è ovunque crivellata dalle enormi buche delle esplosioni, ormai impraticabile. I bambini non possono quindi essere trasferiti in luoghi sicuri (per esempio a ridosso della frontiera egiziana, dove gli aerei evitano di bombardare), mentre gli adulti non hanno una ferrovia sotterranea o cantine con mura robuste dove rifugiarsi. Questo sinché si trattava soltanto d´attacchi aerei: ma dal pomeriggio di sabato scorso, con i carri armati che avanzano sulle strade di Gaza city, sui fianchi dei campi profughi, lungo la riva del mare, le possibilità di sottrarsi alle bombe, alle cannonate e alla fucileria si sono ancora ridotte.
In senso letterale, non figurato, Gaza è dunque una trappola. E se uno si trova dentro la trappola mentre dal cielo piovono i missili dell´aviazione d´Israele e da terra sparano i mitra dei "commandos", quel tale non ha vie d´uscita. Né lui, né la moglie, né i figli. Devono restare, tremanti, raccomandandosi al loro dio che il prossimo missile non esploda troppo vicino. E non basta. La notte, con temperature che s´avvicinano allo zero, devono dormire con le finestre aperte perché lo spostamento d´aria delle esplosioni provocherebbe a finestre chiuse una micidiale mitraglia di vetri infranti: ferite, emorragie che nessun medico, negli ospedali dove arrivano di continuo corpi ben più straziati, si attarderebbe a curare.
Era molto meglio, la vita a Gaza, prima che nella mattina di sabato 27 dicembre cominciassero i raid dell´aviazione israeliana? Meglio sì, in quanto i suoi abitanti non rischiavano ogni giorno di morire durante una qualsiasi delle novecento azioni di bombardamento aereo che si sono susseguite in questi giorni. Ma per il resto no, non era tanto meglio. Adesso in inverno il puzzo delle fogne a cielo aperto non è terribile come col gran caldo dell´estate, ma dai canali di scolo lungo le strade di Gaza city, di Khan Yunis, di Rafah, sale anche in inverno un tanfo asfissiante. Fogne a cielo aperto, rottami, roghi di immondizie, macerie (macerie di bombardamenti non solo israeliani ma anche della guerra tra palestinesi, Hamas contro Fatah, dell´estate 2007), caterve d´altre immondizie ancora da bruciare.
E come mangiavano, prima dei bombardamenti, gli abitanti di Gaza? Novecentomila almeno del milione e quattrocentomila abitanti della Striscia, si nutrivano essenzialmente con la farina e il riso distribuiti dall´Unwra, la branca dell´Onu che assiste i rifugiati. L´Unwra è perciò molto attiva a Gaza, essendo Gaza un universo di rifugiati. Vale a dire i palestinesi fuggiti nel �48 dalle terre man mano occupate da Israele nella sua guerra d´indipendenza, e restati sino ad oggi per la massima parte - con i loro altissimi tassi di natalità - nei campi profughi della Striscia. Nel campo di Jabalya, per esempio, uno dei più grandi, con una storia importante nel conflitto israelo-palestinese perché fu qui che s´avviò nel 1987 la prima Intifada, le sassate dei ragazzi palestinesi contro i carri armati d´Israele.
Quattro o cinque anni fa, l´ultima volta che misi piede a Jabalya, tutto era restato come nelle mie prime visite al campo. 75 mila persone ammassate in uno spazio che nel mondo civile ne conterrebbe a malapena 6-7 mila, i viottoli di terra battuta disseminati di rifiuti, immondi fogli di plastica che volteggiavano ad ogni soffio di vento, il puzzo delle immondizie, nugoli di mosche sul carretto del venditore di panini al sesamo. E in mezzo gli uffici dell´Unwra, i sacchi di farina e di riso, gli scatoloni dei medicinali.
Soprattutto di questo vivevano sino all´estate del 2005, quando gli israeliani ancora occupavano Gaza, gli abitanti di Jabalya. Di aiuti umanitari. Solo che allora i camion dell´Unwra entravano regolarmente dai valichi tra Israele e la Striscia, mentre dal gennaio 2006, quando Hamas vinse le elezioni, camion con farina e riso ne sono arrivati sempre meno, e negli ultimi mesi (nonostante durasse una fragile tregua tra Hamas e Israele) a Gaza ne sono entrati pochissimi. E con una disoccupazione che sfiora il 40 per cento, il che significa una miseria diffusa, si può immaginare come abbia pesato sugli abitanti il diradarsi degli aiuti Onu.
Questa storia dei valichi chiusi ai camion con le derrate alimentari e i medicinali, ha poi un altro risvolto. Gli ottomila coloni ebrei che s´erano installati nella Striscia dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967, avevano messo su una prospera industria agricola: serre per le primizie, frutteti, coltivazione di ortaggi. Ma da quando Ariel Sharon decise d´evacuare Gaza nel 2005, ed estirparne le colonie ebraiche, quell´industria è andata in malora. Colpa dei palestinesi all´inizio, che avevano distrutto molte serre in quanto simboli dell´occupazione. Ma poi, quando anche i palestinesi erano riusciti a riprendere le coltivazioni, i loro prodotti - destinati al mercato israeliano - restavano a marcire sotto il sole dinanzi ai valichi chiusi.
E visto che abbiamo parlato del 2005, qualche parola va detta sulla decisione di uscire da Gaza presa quell´anno da Sharon. La decisione fu unilaterale, non concordata con l´Autorità palestinese e col suo presidente Abu Mazen. Sharon non riconosceva infatti ad Abu Mazen alcun ruolo politico, e dunque non volle trattare la consegna di Gaza da parte del governo israeliano ai rappresentanti legittimamente eletti dai palestinesi. E quell´arroganza partorì i disastri che hanno portato alla guerra di questi giorni. Il moderato Abu Mazen venne indebolito, pressoché squalificato, dal rifiuto di Sharon di riconoscerlo come un interlocutore in un passaggio cruciale come l´uscita di Israele da Gaza. Hamas ne uscì rafforzata (infatti cinque mesi dopo vinse le elezioni parlamentari), e il blocco dei valichi, con le conseguenze che ebbe sulle condizioni di vita della popolazione, convinse i palestinesi di Gaza che la sola linea da tenere con Israele era l´oltranzismo dei fondamentalisti. Poi Hamas cacciò dalla striscia gli uomini di Abu Mazen, Gaza diventò l´Hamastan, un ridotto islamista alle frontiere d´Israele, e il lancio di razzi sul Negev s´intensificò. Le condizioni dell´attuale catastrofe erano ormai create.

Concludiamo con un articolo che riprende anche nel titolo le parole del Presidente Napolitano su Hamas, insieme al giudizio su Massimo D'Alema da parte della Comunità ebraica romana.

Giovanna Vitale - " Napolitano: Hamas ha diviso i palestinesi. E la Comunità ebraica attacca D'Alema "

ROMA - Prima ha auspicato «una tregua», Giorgio Napolitano, in visita privata a Napoli. Poi, però, è entrato nel merito del conflitto mediorientale e ha definito con nettezza le responsabilità: «La situazione di Gaza», ha scandito il capo dello Stato, «è caratterizzata da una presenza come quella di Hamas, che ha segnato la spaccatura del mondo palestinese. Io l´ho constatato quando sono andato lì poco più di un mese fa, è un elemento di complicazione di una crisi già pesante che si trascina». Parole subito interpretate dal capogruppo pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, come una conferma della linea adottata dal governo: «Il Presidente della Repubblica ha delineato il senso della posizione italiana su Gaza» ha commentato. «È evidente che la tregua è possibile solo se finisce la causa principale che ha determinato la situazione in atto, cioè i persistenti lanci di missili con i quali da molti mesi Hamas colpisce Israele».
Una sconfessione, secondo la maggioranza, delle dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dall´ex vicepremier Massimo D´Alema. E da lui ribadite ancora ieri, ai microfoni di Matrix: «Quelli di Hamas non sono marziani», ha spiegato l´ex ministro degli Esteri, «si tratta di un movimento politico che può contare su 25 mila militanti armati» e con il quale, pertanto, bisogna fare i conti. «Non ho alcuna simpatia per Hamas come per nessun altro fondamentalismo religioso, ho simpatia per i nazionalisti palestinesi, per i moderati» ha precisato D´Alema; tuttavia «non si può distruggere un partito con la guerra, a meno che non si sia messo in conto di uccidere decine di migliaia di persone». E pur riconoscendo che rompere la tregua e lanciare missili su Israele è stata «un´iniziativa criminale e folle», «un atto suicida, perché provocare Israele significa provocare una potenza cento volte più forte di te», adesso «serve capire le responsabilità e le ragioni degli uni e degli altri, se si vuol risolvere la crisi». Come sta cercando di fare Sarkozy, «che non è un pericoloso estremista: la Francia parla con Israele e con l´Egitto».
Precisazioni che hanno fatto precipitare al minimo storico i già tesi rapporti tra la più antica comunità ebraica d´Occidente, quella di Roma, e l´ex ministro degli Esteri. D´Alema è l´unico fra i politici del Pd a non essere invitato all´incontro bipartisan che si terrà sabato prossimo, in un grande albergo della capitale, sul tema "Sostenere Israele, sostenere la pace". «Che tradotto si legge: Sostenere Israele è come sostenere la pace», spiega il presidente degli ebrei romani Riccardo Pacifici. Oltre al Nobel Rita Levi Montalcini hanno già detto sì, per il Pd, Fassino, Ranieri, Vernetti, Colombo, Ricky Levi, Fiano, mentre Veltroni deve ancora rispondere; per il Pdl, Cicchitto, Gasparri, Capezzone, Ronchi, Alemanno. Ma perché D´Alema no? «Dopo quello che ha detto?» rigira la domanda Pacifici. «Lui sostiene che Hamas è stato votato dal popolo e dunque va riconosciuto come interlocutore. Ma anche Hitler fu votato e poi abbiamo visto quel che è accaduto: anche lui voleva lo sterminio degli ebrei, proprio come Hamas che l´ha addirittura inserito nello Statuto, insieme alla cancellazione dello Stato di Israele». È furibondo Pacifici, ma «grato alla sinistra democratica, nonostante le tante sfaccettature del Pd, per essersi sottratta a certe suggestioni falsamente romantiche. Come fa la sinistra estrema, che dovrebbe avere l´antifascismo e la lotta al razzismo nel dna, a sfilare per difendere un´ideologia antisemita come quella di Hamas? Si rendono conto che la Palestina è una nazione vittima di una dirigenza folle, fanatica e tiranna che prima che essere nemica di Israele lo è del suo stesso popolo, usato come scudo umano contro i bombardamenti?». Ecco perché il dialogo con D´Alema non sembra praticabile: «È un´autorità indiscussa in campo morale, il Nobel Simon Peres, a dire che Israele non si fermerà finché Hamas non verrà rovesciato», conclude Pacifici. «Noi siamo con lui».

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