Su LIBERO di oggi, 06/01/2009, l'editoriale di Vittorio Feltri dal titolo " Chi vuole la guerra " e l'analisi di Giorgio Israel dal titolo " I pacifisti di casa nostra, più strillano meno dicono ".
Conosciamo le notizie in ogni particolare. Le ultime riguardano l’annunciata battaglia di terra: i soldati israeliani agiscono nella striscia di Gaza e vanno di casa in casa per snidare i capi del terrorismo Hamas. Ne hanno già uccisi un numero elevato. E le operazioni di “pulizia” continuano nonostante mezzo mondo invochi la tregua. Un coro di implorazioni e di critiche. Pochi tengono conto che la tregua c’era ed è stata rotta dai palestinesi nel modo risaputo: missili su Israele destinati a colpire la popolazione. Il governo di Gerusalemme ha sopportato per un po’. Poi, vista l’insistenza delle aggressioni, ha reagito: prima con attacchi aerei mirati a distruggere le postazioni terroristiche di maggior rilevanza, quindi irrompendo con mezzi corazzati nella striscia. Cosa poteva fare di diverso, seguitare a farsi bombardare porgendo l’altra guancia e confidando in una trattativa diplomatica? Trattare con chi? Hamas voleva e vuole la guerra, altrimenti non avrebbe lanciato missili a ripetizione ma inviato un ambasciatore o almeno un postino. E allora guerra sia e vinca il più forte, come sempre accade quando si rinuncia a parlare e si mette mano alla fondina della pistola. Una terza via non era praticabile perché non esisteva. Non esiste una terza via per due litiganti: si va avanti con le armi finché uno, per non morire, sventola bandiera bianca. Questo non è cinismo bensì realismo. I discorsi retorici (e contraddittori) di vari Paesi europei e le accorate preghiere del Papa non servono a placare gli invasati che puntano su Israele né gli israeliani che, per istinto di sopravvivenza, si difendono e cercano di annientare il nemico.
In Italia (e non solo) chi biasima le provocazioni di Hamas quasi sempre tiene a precisare che la controffensiva di Gerusalemme è tuttavia sproporzionata per eccesso all’offesa ricevuta. Facile parlare così standosene seduti al calduccio di casa propria e dimenticando che i cittadini dello Stato ebraico, da quando è stato fondato (1948), sono periodicamente vittime di attentati e sono minacciati - come risulta scritto nello Statuto di Hamas - di sterminio. È pur vero che i palestinesi non hanno Patria. Ma se non ce l’hanno un perché c’è. La risoluzione dell’Onu che autorizzava la costituzione di Israele in Stato, imponeva in pari tempo la costituzione in Stato della Palestina. Peccato che tale risoluzione sia stata applicata soltanto nella prima parte. Lo Stato di Palestina non è mai nato e non per volontà ebraica; fu la Lega araba a impedirne la formazione. Si dirà, acqua passata. Sbagliato, perché la materia del contenzioso, almeno ufficialmente, è rimasta la stessa.
Immutata la cantilena antisemita: i profughi hanno diritto ad avere un Paese proprio. Giusto. Nessuno ne dubita. Ma ogni qualvolta si è tentato di completare, sia pure in ritardo, il piano disegnato dall’Onu, è stato un fallimento e non a causa di Israele. Questo sia chiaro.
L’ultimo atto dei laboriosi e inutili negoziati si svolse a Camp David nel 2000, presenti Clinton, Barak e Arafat. Giorni e giorni di discussioni. Poi fu annunciata la lieta novella: accordo raggiunto. Mancava soltanto la firma, una formalità. Esultanza internazionale. Titoloni che sprizzavano gioia sui giornali. Ma sul più bello, al momento di compiere il rito della sigla, Arafat - il più ignobile dei premi Nobel, ospite di capi di Stato e papi - si tirò indietro. La notte avanti ci aveva ripensato. Perché se fosse sorto lo Stato di Palestina sarebbe venuto meno il pretesto per combattere contro Israele.
Non è una interpretazione gratuita della cronaca (la storia è altra cosa) ma una semplice costatazione suffragata anche dagli eventi in corso. È arcinoto che sia l’Iran a finanziare Hamas, addirittura fornendo missili (e armamenti d’altro tipo) ai terroristi. Ed è arcinoto che l’Iran si faccia vanto di un progetto assai ambizioso: cancellare Israele dalla carta geografica. Per realizzare il quale d’altronde gli iraniani sono impegnati a produrre la bomba atomica.
Nonostante ciò, secondo le anime progressiste (e quelle fasciste) il governo di Gerusalemme dovrebbe stare fermo e guardare a bocca aperta gli sviluppi della situazione. Senza muovere un dito per salvare la propria gente.
Certe pretese hanno il marchio inconfondibile dell’antisemitismo, tant’è che vengono sottolineate da gesti simbolici in ogni manifestazione pubblica: bandiere israeliane date alle fiamme (è accaduto alcuni giorni fa in Italia) e accostamento della svastica alla stella di David. Gli ebrei devono morire in massa, preferibilmente in silenzio per non disturbare le conversazioni dei comunisti, dei rifondaroli, dei veltroniani e similari. La posizione politica della sinistra è questa. Con qualche lodevole e rara eccezione: per esempio Furio Colombo. Che però nel Pd viene ascoltato come se parlasse Pinco. Noi la pensiamo nella stessa maniera di Antonio Martino: ogni attacco a Israele è un attacco all’Occidente.
Chi non l’ha capito lo capirà quando gli arriverà in testa un missile.
Giorgio Israel - " I pacifisti di casa nostra, più strillano meno dicono "
Da quando è iniziato il conflitto militare a Gaza si leva da mezzo mondo la richiesta di un cessate il fuoco immediato e senza condizioni. Il risultato consisterebbe in qualche migliaio tra morti e feriti e grandi distruzioni in cambio della situazione precedente il conflitto. È comprensibile che un simile esito sia auspicato dai sostenitori di Hamas. Difatti, Israele non otterrebbe nulla salvo aver provocato inutili lutti e rovine e Hamas canterebbe vittoria facendo al contempo la parte della vittima, per prepararsi a riprendere la sua sagra missilistica. Ma che una simile uscita dal conflitto venga auspicata da chi non si dice sostenitore di Hamas e venga invocata in nome delle ragioni della pace e dell’umanità è una manifestazione di cinismo e di immoralità senza limiti. Un atteggiamento che prescinda da ogni valutazione circa i torti e le ragioni è immorale, e pertanto non merita rispetto.
I fatti sono noti ed è persino stucchevole ricordarli. È stucchevole ricordare che Israele si è ritirato totalmente da Gaza ed ha lasciato i palestinesi liberi di decidere il loro destino. La scelta era tra creare il primo nucleo di stato palestinese operando per costruire, o fare di Gaza una base militare per nuovi scontri con Israele in vista della “liberazione” di tutta la Palestina dall’“entità sionista”. Chiunque abbia occhi per leggere sa che lo Statuto di Hamas decreta l’obbiettivo di «innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina» (art. 6). Chiunque abbia seguito anche distrattamente gli eventi di questi anni sa che Hamas ha sempre ribadito l’intento di distruggere Israele e che le tregue sono pause nel processo che deve condurre all’obbiettivo finale. Il popolo palestinese ha votato massicciamente per Hamas il quale, non contento, ha imposto con la forza il suo potere assoluto su Gaza. Da quel momento il sud di Israele è stato sottoposto al martellamento di migliaia di missili. Figuratevi cosa sarebbe successo se l’area di Trieste fosse stata sottoposta a un simile trattamento… Eppure Israele doveva sopportarlo. Secondo quale logica? L’unica possibile: quella di chi ritiene – d’accordo con Hamas – che Israele non abbia diritto a esistere e pertanto non abbia diritto a esigere il rispetto di un suolo nazionale.
Le anime belle hanno taciuto di fronte ai missili, ma hanno condannato Israele ogni volta che ha risposto con qualche isolato intervento militare o con un temporaneo e parziale blocco, hanno dato credito allo slogan “Gaza ridotta a lager”, scambiando spudoratamente le cause con gli effetti. Non hanno apprezzato che Israele abbia accettato una tregua con una banda di criminali. E ora, dopo che Hamas ha rotto unilateralmente persino questa tregua, e Israele ha imboccato l’unica via rimasta per sopravvivere, le anime belle levano alti lai chiedendo a gran voce l’arresto immediato e senza condizioni dei combattimenti e la “ripresa del dialogo”.
Dialogo con chi? La risposta a questa domanda – “con nessuno” –misura l’immensa ipocrisia delle anime belle. Ora, l’unica speranza che l’interlocutore si affacci è che si riesca a ricondurlo alla ragione. Ma chi non ha usato la sua autorità per affermare ragione e giustizia con pressioni pacifiche quando era forse possibile, e si è invece comportato in modo moralmente ambiguo prendendosela soltanto con Israele, è meglio che taccia.
Questo vale anche nel contesto della politica italiana. Avevamo letto con interesse e stima le dichiarazioni di Piero Fassino che aveva sottolineato il vero nodo della questione: l’inesistenza di un interlocutore perché Hamas non vuole trattare bensì mira soltanto alla distruzione di Israele. Ma ora spunta fuori il suo ineffabile segretario che, rovesciando la verità, parla di fallimento della strategia della contrapposizione militare al terrorismo. Il fallimento è invece quello della politica parolaia di cui egli ha dato esempio, con una confusione non si sa se più verbale o concettuale. Difatti, secondo Veltroni, l’obbiettivo della lotta al terrorismo «passa attraverso il difficile ma necessario reciproco pieno riconoscimento». Bene, allora perché non ha spiegato in passato e non spiega ora come si fa a ottenere questo riconoscimento in modo decente? Difatti, l’unico modo decente di chiedere un cessate il fuoco è pretendere che Hamas dichiari formalmente di rinunciare ai suoi obbiettivi di distruzione, che accetti l’esistenza dello stato di Israele e prometta di non lanciare più missili. Ogni altro approccio alla questione è un modo di nuocere a Israele. Bisognerebbe piuttosto prendere esempio dal sindaco di New York Bloomberg che si è recato a Sderot a portare la sua solidarietà.
Vi sono certamente molte ragioni per tanta diffusa ipocrisia. Ma forse ce n’è una semplice che si riassume nelle immagini della manifestazione islamica che proclama la guerra santa contro Israele davanti al Duomo di Milano. Lascio al lettore darle il nome.
Per inviare a Libero la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.