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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Eli Amir - Jasmine 05/01/2009

Jasmine                      Eli Amir

 

Traduzione di Alessandra Shomroni

 

Einaudi                        Euro 21,00

 

 

 

“Sono partito da Bagdad all’età di 12 anni lasciando una casa nella quale c’erano sempre giornali egiziani. Da allora sono sempre stato legato alla cultura araba. Sento le mie storie in arabo e poi le traduco”.

 

Così Eli Amir, nel corso di una serata organizzata dall’Ambasciata israeliana al Cairo per la presentazione del suo ultimo romanzo, ha espresso e testimoniato la sua appartenenza alla cultura araba.

 

Dopo Sami Michael nato a Bagdad nel 1926 e giunto in Israele nel ’48 per sfuggire all’oppressivo regime iracheno, del quale la casa editrice Giuntina ha già pubblicato i romanzi “Victoria”, “Una tromba nello uadi” e “Rifugio”, la letteratura israeliana sefardita, ancora poco conosciuta dal pubblico italiano, si arricchisce di un nuovo splendido romanzo, “Jasmine”, in parte autobiografico edito da Einaudi.

 

Eli Amir nato a Bagdad nel 1937 è costretto a lasciare l’Iraq e arriva in Israele con la sua famiglia nel 1951; il medesimo percorso compiuto da Sami Michael e da molti altri ebrei cacciati sia dall’Iraq dove vivevano da “settanta generazioni” che da tutti i paesi arabi dopo la nascita dello Stato d’Israele.

 

La sua esperienza di nuovo immigrato nel Kibbutz Mishmar HaEmek, il suo ruolo come consigliere del primo Ministro d’Israele per gli affari arabi trovano ampia eco nella figura di Nuri Elias Nasseh protagonista e voce narrante del romanzo.

 

Nuri arriva a Gerusalemme dopo essere fuggito da Bagdad con la famiglia e dopo aver attraversato le peripezie di tutti i nuovi immigrati.

 

Il padre, Salman Moshi Amari, è una figura complessa nella quale si mescola l’orgoglio dell’ebreo sionista e “l’onore e la vergogna” dell’uomo di cultura araba per non essere riuscito a realizzare i suoi sogni nella Terra promessa; la madre è una donna affaticata dai dolori e dalle difficoltà di una vita alla quale si adatta gradualmente e nella quale porta, con disappunto dei figli, le sue antiche superstizioni e credenze contro il malocchio. Indistruttibile, nonostante le traversie quotidiane, è l’amore e l’orgoglio per i suoi ragazzi: Kabi, il primogenito che lavora per il Mossad, dove può sfruttare al meglio la conoscenza del mondo arabo dal quale proviene, Efraim che vive in kibbutz, Moshi che coltiva un pezzo di terra nel moshav e Nuri che all’indomani della guerra dei Sei giorni, in una Gerusalemme riunificata ma ancora disorientata di fronte al nuovo status politico e territoriale, viene nominato direttore dell’ufficio governativo per gli affari arabi oltre che consulente del ministro.

 

E’ un mondo variegato e spesso contraddittorio quello che si dispiega dinanzi agli occhi del lettore che insieme al protagonista si addentra nelle viuzze e nei quartieri degradati di Gerusalemme Est, quella parte della città rimasta sconosciuta e ignota fino alla Guerra dei Sei Giorni.

 

L’amarezza e il senso di frustrazione di chi ha perso la guerra convive con l’euforia e l’incredulità di chi invece l’ha vinta ma non ha ancora preso coscienza della complessa realtà che lo attende.

 

Sia all’interno del mondo arabo che in quello israeliano esplodono conflitti e tensioni fra chi vorrebbe rimanere ancorato alle proprie posizioni, senza nulla concedere, e chi vorrebbe aprirsi all’”Altro” con la consapevolezza che è l’unica strada per conoscersi e per vivere in pace gli uni accanto agli altri.

 

E così Abu George proprietario del quotidiano Al Watan e del ristorante al-Hurriyeh accetta, dietro suggerimento di Nuri, di riprendere le sue attività, mentre Abu Nabil, suo socio e giornalista di talento preferisce assecondare la propaganda araba infarcendo i suoi articoli di falsità e menzogne.

 

Se Haramati, il funzionario israeliano che si occupa delle pratiche di ricongiungimento familiare è un uomo arrogante e subdolo che si fa un punto d’onore nel porre ostacoli anziché risolvere le questioni ingarbugliate, Nuri si prodiga con abnegazione per aiutare i palestinesi in difficoltà alleviando quei disagi che il nuovo assetto politico ha, inevitabilmente, creato.

 

Come Nuri ascolta la dolce e ingenua pastorella Ghadir, conosciuta in gioventù sul Monte Scopus quando prestava servizio militare, che vuole ricongiungersi al marito rimasto ad Amman, così Kabi, grazie al suo lavoro nel Mossad riesce ad ottenere la liberazione dalle carceri irachene dello zio Khezkel, una figura struggente e dolcissima che reca nell’animo e nel fisico i segni delle torture subite per lunghi anni; Khezkel che a Bagdad era un giornalista prestigioso impiegherà parecchio tempo prima di trovare un posto di lavoro in una società nuova nella quale i sefarditi si sentono ancora ai margini.

 

Sullo sfondo spicca la figura più affascinante del romanzo: Jasmine.

 

Figlia del giornalista arabo cristiano Abu George, la giovane donna tornata da Parigi dopo un dottorato di ricerca in psicopedagogia, trova un lavoro con l’aiuto di Nuri in un istituto israeliano che si occupa di bambini handicappati.

 

Giovane araba moderna che ha acquisito la cultura occidentale grazie agli studi in una città europea, Jasmine si pone in contrasto con il mondo israeliano che percepisce come “usurpatore” e nasconde la sua fragilità sotto un velo di arroganza e presunzione.

 

Fra Nuri e Jasmine inizia un percorso di amicizia che evolve in un intreccio amoroso costellato di rifiuti, fughe, litigi e malintesi ma anche tenerezze.

 

Li unisce una reciproca curiosità e una profonda affinità umana e culturale: saranno presupposti sufficienti per superare le inevitabili difficoltà che sorgeranno nel legame fra una palestinese cristiana e un ebreo appartenente ad una famiglia ebraica ortodossa?

 

Oltre alla trama avvincente che tiene inchiodato il lettore fino all’ultima pagina, grazie anche ad una prosa dinamica ed efficace, il romanzo di Eli Amir è di forte attualità. Il conflitto fra il mondo arabo e quello ebraico, le differenze culturali fra ebrei ashkenaziti e sefarditi, il senso di onnipotenza degli israeliani dopo la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni, sono alcuni fra i temi affrontati e sui quali Eli Amir si concentra con l’equilibrio e la saggezza che gli derivano dalla profonda conoscenza della cultura e del mondo arabo, oltre che dalla consapevolezza che la pace fra questi due popoli non può prescindere dall’accettazione dell’”Altro” e dalla condivisione delle reciproche aspirazioni.

 

 

 

Giorgia Greco

 


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