L’ONU non ha potuto – data l’evidenza del giusto diritto di Israele alla sua autodifesa – opporre alcuna risoluzione contro Israele, deludendo i “campioni del diritto umano” arabi più radicali che speravano di influire anche sul Consiglio di Sicurezza per ottenere la condanna dello stato ebraico. Le Nazioni Unite sapevano inoltre che, aderendo alle pressioni dei radicali, avrebbero di fatto condannato a morte Mubarak, re Abdullah di Giordania e il presidente dell’AP. L’UE si sta ritrovando divisa. E’ interessante analizzare alcune posizioni e contesti.
La Francia e la sua tregua per la “crisi umanitaria alimentare”. Il ministro degli esteri Kouchner ha telefonato allarmato alla sua collega Tzipi Livni, nel primo giorno dell’attacco, chiedendo la tregua per “ragioni umanitarie”. La Livni – ed Olmert ribadirà – lo ha tranquillizzato affermando che non vi era alcuna crisi umanitaria. Ma non c’è più sordo di chi non vuol udire. Lo slogan “tregua per aiuti umanitari” permane nel governo francese. Nessun media occidentale ha menzionato il World Food Program che ha informato Israele sulla cessazione degli invii navali di alimenti a Gaza, perché i magazzini della Striscia sono colmi oltre misura e il cibo è sufficiente per due settimane. !!! Eppure continuano ad arrivare notizie sulla crisi alimentare di Gaza!!! Solo Hamas è il responsabile della mancata distribuzione. Nel contempo, Israele continua ad aprire il varco di Kerem Shalom alcune ore al giorno facendo passare quotidianamente circa cento camion di aiuti stranieri in medicinali e necessità primarie. Dove finiscono una volta nella Striscia? Si lamentano un parroco di Gaza e i responsabili dell’UNRWA che – con la loro propaganda allineata a quella di Hamas – non si schiodano dal valico di Erez chiuso da Israele perché immette nell’area gazana a più alto rischio terrorista. La Francia ha sempre fatto e deve fare i conti con la più numerosa comunità musulmana europea che risiede sul suo territorio. Non solo. Sarkozy ha investito di un ruolo primario il presidente egiziano Mubarak nel progetto euromediterraneo. Né va dimenticato che, appena eletto, ha iniziato, unico in Europa, un braccio di ferro con l’Iran a causa del suo programma nucleare. L’Iran, per ritorsione, ha aumentato i problemi e le “velate” minacce alla missione diplomatica francese a Teheran, benché non le abbia mai risparmiate a tutte le missioni diplomatiche europee. A tutt’oggi, la Francia continua a non dare il benestare all’Iran per il riconoscimento di luogo santo sci’ita all’abitazione di Khomeini, a Neauphle-le-Chateau. La Francia, che ha vissuto le esplosioni delle sue periferie musulmane, ha visto il suo capodanno “festeggiato” con l’incendio di 1400 automobili e l’esplosione dell’estremismo nelle manifestazioni filo-palestinesi. In questo contesto, ha finito con il cedere alle pressioni delle piazze franco-egiziane anche se inalberando una richiesta pretestuosa di tregua, non può negare il diritto di Israele a difendersi.
La Gran Bretagna è dibattuta al suo interno. Anch’essa ha una componente islamica non indifferente sul suo territorio – con noti incitatori al terrorismo e un forte movimento antisraeliano – ma è obbligata a seguire gli Stati Uniti perché totalmente dipendente dalla piazza finanziaria di Wall Street dopo la caduta della lira sterlina e l’affondo del resto del suo ex-impero. Ha sempre insultato Israele come sindaco, oggi ex-sindaco, il “rosso” Lvingstone che guida la piazza estremista britannica. Visceralmente antisraeliano, condivide la linea del “shitty tiny country” (piccolo paese di merda) frase di un diplomatico che così si espresse durante un convivio privato in pieno periodo stragista palestinese contro Israele.
La Germania di Angela Merkel ed indirettamente la Turchia. Angela Merkel si è – e continua a farlo – decisamente allineata al diritto di Israele per la sua difesa dagli attacchi contro il suo stato. Al di là delle coraggiose dichiarazioni della Cancelliera, è importante considerare che sul territorio tedesco risiede la più numerosa immigrazione turca. Spesso, grazie alla legge tedesca, in possesso della doppia cittadinanza. Le parole del governo turco sono state incendiarie contro Israele nel primo giorno dell’operazione Cast Deal. Erdogan si è immediatamente mosso nelle capitali arabe radicali per incontri al vertice. Tuttavia, gli interessi israelo-turchi sono talmente incrociati ed importanti, che la retorica antisraeliana nulla incide sulla sostanza delle relazioni tra i due paesi. E lo dimostra il fatto che in Germania, Cast Deal non abbia provocato reazioni estremiste islamiche di piazza. Indirittamente, aleggia la minaccia della Russia (con Schroeder, amministratore di Gazprom ed influente politico, ex ministro tedesco, che sostiene il partito di opposizione in Germania) che – con il solito pretesto conflittuale con l’Ucraina – minaccia di lasciare al freddo l’Europa. Traduzione: se l’intera Europa sosterrà Israele, se la vedrà con i rigori dell’inverno. La Russia non cede alla sua influenza ed egemonia in Medio Oriente (ed europea) in antitesi a quella USA.
La sorpresa è data dall’atteggiamento della Repubblica Ceca che dal 1° gennaio ha assunto la presidenza semestrale di turno, a cui succederà l’Irlanda pregiudizievolmente ostile ad Israele. Da Schwartzenberg a tutto il governo ceco, è stato ribadito il legittimo diritto all’autodifesa di Israele. Non solo: è la prima volta che viene denunciata ufficialmente a livello governativo, la deliberata strategia di Hamas che si fa scudo dei palestinesi. Inoltre, la Repubblica Ceca non ha problemi di immigrazione islamica, per cui “gode il diritto di dire la verità”, e la UE deve fare i conti con un’Europa dell’Est che: 1) nutre forti rivendicazioni con l’Europa occidentale che l’ha abbandonata al Soviet legittimando o ignorando politicamente varie fasi della sua tragica storia; 2) ha troppo sofferto il dominio sovietico per consentirsi i compromessi suicidi occidentali. Inoltre, poiché la Russia ha ripreso la strategia sovietica anti-americana in Medio Oriente, è comprensibile che la maggioranza dei Balcani sia fortemente filo-americana.
Dall’Egitto, oltre alle prime accuse contro Hamas da parte di Mubarak, un ministro ed alcuni intellettuali egiziani in esilio hanno accusato i leaders di Hamas di nascondersi nei bunker lasciando la popolazione allo sbaraglio. Altrettanto ha fatto Abu Mazen che ora fa marcia indietro a causa delle profonde divisioni esistenti nel Fatah. In particolare, gli estremisti e terroristi dei Martiri di al-Aqsa alleati a Hamas nell’impegno volto alla distruzione di Israele. Le accuse di tradimento ad Abu Mazen (che mantiene la presidenza fino al 2010 per decreto) sono di quelle che mettono a rischio la vita. I dissidenti di Fatah non sembrano ricordare la bestiale e cruenta carneficina subita da parte di Hamas. Hamas invece, la sta ripetendo dopo aver già sparato alle gambe e tagliato le mani a circa 35 palestinesi di Fatah accusati di collaborazionismo con Israele. Sta continuando ad incarcerare presunti collaboratori di Fatah nella Striscia ed obbligarli in casa per 48 ore (con il rischio che muoiano sotto il fuoco israeliano). Malgrado la retorica antisraeliana di Mazen, insistente ma tardiva per le piazze estremiste, il West Bank appare ben controllato sia dai suoi fedeli che dai soldati di Israele. Senza contare che la Giordania ha bloccato tutti i valichi del Giordano come in ogni situazione di crisi in Cisgiordania. Khaled Mesha’al, leader di Hamas espulso dalla Giordania da re Hussein, tuona minacce stragiste contro l’IDF insieme al leader del FLPL Hawatmeh da Damasco; Nasrallah, dal suo bunker a Beirut (sempre coraggiosi e coerenti questi leaders!) ha tentato invano di incitare gli egiziani a rovesciare Mubarak in un’apparizione alla televisione di Hitzballah. In Iran, diecimila studenti mentecatti hanno firmato per offrirsi come suicidi-esplosivi per Gaza.
Gli Stati Uniti di Bush rimangono coerenti al loro totale sostegno ad Israele, ribadendo il suo diritto all’autodifesa contro gli attacchi di Hamas. Alla riunione di emergenza delle Nazioni Unite dopo l’inizio dell’attacco di terra, hanno opposto due veti al cessate il fuoco. Il silenzio di Obama si è trincerato dietro alla sentenza: “Negli Stati Uniti governa un presidente alla volta”. Qualcuno interpreta il suo silenzio come un dissenso da Bush sulla crisi mediorientale. In realtà, Obama riceve pressioni contraddittorie dalla sinistra e dal centro del suo partito. La prima sostiene i palestinesi, addirittura la chiusura dell’AIPAC, e la legittimazione di Hamas attraverso il dialogo; il secondo (che Obama ha privilegiato con importanti nomine) sostiene Israele benché chiedendogli sacrifici territoriali. Tra l’incudine e il martello. Tuttavia, pur non essendo esperto di questioni internazionali, Obama dovrebbe rilasciare una dichiarazione. Forse chi tace acconsente. Forse è difficile che Obama affermi come Bush alla Knesset, durante le celebrazioni del 60mo di Israele: “La popolazione di Israele conta poco più di sette milioni di persone. Ma quando vi dovete confrontare con il terrorismo e il male, siete una forza di 307 milioni di persone, perché gli Stati Uniti d’America sono con voi.” L’alleanza israelo-americana è destinata a continuare o entrerà in crisi con l’insediamento di Obama? Per ora non resta che attendere per sapere. Ma il silenzio di Obama rischia di forzare Israele ad una guerra più dura per risolvere nel più breve tempo possibile – con le conseguenze del caso – il pericolo che lo minaccia. Prima che Obama prenda possesso della Casa Bianca.
Arabi israeliani. Nota dolente. Poco prima dell’operazione Cast Deal, Tzipi Livni affermò che nel neo stato palestinese avrebbero dovuto confluire tutti gli arabi israeliani che si considerano palestinesi. Logico, razionale. Dalla rivolta di Arafat del 28 settembre 2000, si è sempre più dimostrato che una larga fetta della comunità arabo-israeliana (musulmana e cristiana) stava ribellandosi agli impegni assunti dai padri che avevano accettato l’invito di Ben Gurion a rimanere nel nuovo stato ebraico, collaborando al suo sviluppo e pace. Varie situazioni hanno portato a ritenerli una quinta colonna nel territorio. Situazione paradossale. Le vittime arabo-israeliane causate dai missili di Hitzballah nella guerra del 2006, sono rimaste uccise perché i più radicali villaggi filopalestinesi non accettano l’installazione della sirena d’allarme per non sentire quella del Giorno della Shoah. Odiano Israele – o lo osteggiano – ma non rinunciano ai vantaggi che la cittadinanza israeliana offre loro. Si dichiarano palestinesi dall’86, prima intifada, ma non rinunciano ai loro benefici di cittadini israeliani: assistenza medica gratuita, assistenza sociale, sindacati e deputati al parlamento. E, non ultimo, un passaporto che consente loro di girare liberamente per il mondo influenzandolo contro Israele. Ovviamente, in Italia, hanno sempre avuto il loro principale rifugio grazie all’unico paese europeo con forte incidenza cattocomunista. La maggior parte dei “diecimila” volti della dimostrazione antisraeliana in Galilea del 3 gennaio, esprimeva allegria e i dimostranti sembravano partecipare ad una kermesse festosa che faceva a pugni con la denuncia contro l’operazione israeliana. In compenso, i 250 mila residenti palestinesi (loro sì palestinesi) a Gerusalemme est non hanno manifestato. I dimostranti sono venuti dal West Bank, come al solito, in occasione della preghiera alle moschee, anche se limitati per età.
In Italia, scontate le manifestazioni di piazza anche se non numerose. Un’astuzia israeliana quella di sganciare l’offensiva durante le feste quando i talk show politici erano in vacanza? Rimangono gli spigoli tradizionali dei media, frammisti ad articoli ed opinioni straordinariamente corretti. Il quotidiano La Stampa cede alla piazza quando afferma che una dimostrazione “spontanea” ha lanciato uova contro l’associazione Italia-Israele. Spontanea???! Inoltre, l’inclinazione di certa politica e dei media nell’equiparare Israele a Hamas (ma anche a Hitzballah e, da decenni, ad ogni organizzazione del terrorismo palestinese) – sollecitando “entrambi” ad una tregua, è non solo scorretta ma ignobile nei termini.
Israele prosegue la sua operazione. L’IDF ha preso possesso di alcune cittadine della Striscia e della televisione di Hamas da cui esorta la popolazione a non farsi usare come scudi umani. Si ha invece notizia che Hamas spinge la gente in palazzi da cui l’IDF esortava a stare lontanto perché bersagli. Israele è pronto ad intervenire nel Libano se necessario. Il Libano è sotto osservazione, mentre l’esercito israeliano si è rafforzato al suo confine. Trasversalmente, con Cast Deal e l’avvertimento a Hitzballah-Libano, è già partito un messaggio per Teheran. Il messaggio di al-Qaeda lanciato sul web rafforza la necessità di Israele a sconfiggere definitivamente la minaccia terrorista con il sostegno della comunità internazionale democratica libera. Non saranno le piazze a fermare Israele e i governi etici. Il Novecento è dietro l’angolo, non è storia di millenni fa.