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La Stampa Rassegna Stampa
05.01.2009 Enzo Bettiza e Maurizio Molinari riequilibrano il quotidiano torinese
ma le cronache non sono equidistanti e la storia di Hamas di Zaccaria non convince del tutto

Testata: La Stampa
Data: 05 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Enzo Bettiza, Maurizio Molinari, Giuseppe Zaccaria
Titolo: «L'europa sbandata, Veto all'Onu, Hamas»

Sulla STAMPA di oggi, 05/01/2009, l'editoriale di Enzo Bettiza sulle responsabilità dell'Europa, che riequilibra la posizione tutt'altro che equidistante del quotidiano torinese. Segue il pezzo di Giuseppe Zaccaria su Hamas che pubblichiamo subito dopo Bettiza con alcune nostre osservazioni. Da New York l'analisi di Maurizio Molinari sul no americano alla tregua chiesta all'ONU. Ma le prime due pagine ospietano tre servizi che si riferiscono unicamente alla parte palestinese.

Enzo Bettiza - " L' Europa sbandata "

Sembra di essere tornati ai tempi dell’infinita crisi bellica nella ex Jugoslavia quando l’Onu non sapeva che fare, la Francia appoggiava i serbi, la Germania i croati, l’Italia navigava fra gli uni e gli altri e l’Unione Europea, nel complesso disunita, restava in attesa delle decisioni americane per sintonizzare le proprie bussole discordi sulla bussola maestra di Washington. Oggi, al cospetto di Gaza in fiamme, il Consiglio di sicurezza non riesce a produrre una risoluzione comune sulla guerra in corso, mentre l’Europa, in attesa del verbo di Obama, torna ad esibire lo spettacolo di un’entità sbandata in preda alla schizofrenia. Ancora una volta Francia e Germania si ritrovano su posizioni nettamente contrapposte: il presidente Sarkozy condanna con dura chiarezza l’offensiva terrestre di Israele, riservando in coda qualche critica formale a Hamas, nello stesso momento in cui la cancelliera Merkel ribadisce il diritto degli israeliani di difendersi dallo stillicidio di missili.
Peraltro missili non più così artigianali, lanciati da Hamas fino all’antica Beersheva, annidata nel deserto di Negev.
Possiamo notare poi una sequela di altri paradossi degni di nota. Il primo è il più impressionante. Sarkozy, fino a pochi giorni fa presidente semestrale europeo, è stato immediatamente smentito dal suo successore ai vertici dell’Ue, il presidente ceco Vaclav Klaus, che per bocca di un portavoce ha voluto definire «difensivo» e non «offensivo» l’attacco israeliano. Si è di nuovo profilata così, come nei giorni delle guerre jugoslave e più ancora della guerra in Iraq, una spaccatura tra le posizioni francesi e quelle di un Paese importante dell’Est filoamericano e, di conseguenza, anche filoisraeliano. Non a caso i giornali parigini, per sminuire il peso della Repubblica ceca alla guida dell’Unione, stanno sottolineando con insinuanti accenti negativi il notorio euroscetticismo di Klaus.
Il secondo paradosso è anche il più contraddittorio. In queste ore vediamo due separate missioni europee, una francese guidata da Sarkozy, l’altra dal ceco Karel Schwarzenberg, programmate entrambe a incontrare e discutere con gli stessi interlocutori mediorientali; ma il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouschner, membro della delegazione di Bruxelles e non di Parigi, quale linea è destinato a seguire? Quella del suo presidente Sarkozy, oppure quella del collega e ministro degli Esteri praghese Schwarzenberg? Non s’era ancora vista la diplomazia europea, affidata perlopiù alle parole riluttanti e convenzionali di Javier Solana, irretita in un simile pasticcio di contrapposizioni, diversità di giudizio, proposte disarmoniche, che nell’insieme conferiscono all’orchestra europea uno stridente timbro cacofonico.
Il terzo paradosso è costituito dalle oscillazioni amatoriali italiane. Da un lato vediamo il ministro degli Esteri, consapevole degli scenari mutati rispetto all’epoca di Andreotti, indicare la strada giusta puntando il dito sulle pesanti «responsabilità» terroristiche di Hamas; dall’altro lato, però, lo abbiamo visto incespicare, chissà come e perché, nell’annuncio errato e frettoloso che non vi sarebbero state operazioni terrestri da parte israeliana. Non sarebbe stato invece più giusto tacere, poche ore prima dell’attacco, senza sminuire con una previsione infondata la severità di giudizio espressa sulla rottura della tregua e il rilancio missilistico di Hamas?
Quanto all’opposizione, impegnata soprattutto a polemizzare con la politica estera del governo, non si capisce bene se essa intenda concedere a Israele il diritto all’autodifesa o suggerirgli il dovere di «dialogare» con chi per principio rifiuta ogni dialogo con l’ebreo satanico. Tutto ciò, proprio nel momento in cui l’Italia, la Francia, la Germania, la Repubblica ceca, l’Europa insomma, avrebbero più che mai bisogno di intervenire con una strategia concorde nella crisi, piena d’insidie, che sta esplodendo a un passo dalle porte di casa.
Peccato. Mai come in questo momento s’era intravista, sia pure per qualche attimo, la possibilità di una correzione d’opinione e di linea da parte europea su quella che seguitiamo dal 27 dicembre a chiamare guerra. Ma non è guerra vera, tra Stati sovrani. È una drastica e violentissima operazione di gendarmeria di un Paese minacciato di sterminio da una setta che ha giurato di estirparlo dalla faccia della Terra. Finora è sopravvissuta, fra stragi, autobombe, lanci di razzi, aiutata dai servizi siriani e dagli ayatollah iraniani. Non si sa fino a quando l’operazione, che sta provocando troppe vittime e troppo dolore, potrà durare. L’Europa, che con le sue divisioni mostra di non volerlo sapere, forse non potrà fare altro che aspettare il verbo ancora ignoto del prossimo presidente americano.

Il pezzo di Giuseppe Zaccaria sulla storia di Hamas, contiene inesattezze, imprecisioni e qualche affermazione scorretta. Zaccaria attribuisce a Israele, che si difende in pieno diritto dagli attacchi missilistici di Hamas, la responsabilità dell'immagine positiva che il movimento terrorista avrebbe acquisito dopo l'attacco. E' falso poi che il mondo, come scrive Zaccaria, avesse sospeso ogni aiuto alla Striscia, dato che da sempre i finanziamenti dall'estero ricevuti dai palestinesi, anche a Gaza, sono stati in gran parte l'unico sostentamento di una popolazione abituata ad essere mantenuta dagli organismi internazionali. Una tesi condivisa da molti analisti all'interno dello stesso mondo arabo. Ma che Zaccaria evidentemente ignora. Corretto il richiamo all'ideologia criminale contenuta nello statuto di Hamas, del tutto fuori luogo il richiamo al fatto che il governo Begin avesse tollerato la politica dei Fratelli Musulmani, per il fatto che l'OLP di allora, quello guidato da Arafat, la rappresentava già in pieno.

Giuseppe Zaccaria - " Hamas "

Prima zeloti, poi terroristi e dopo l'attacco di queste ore magari anche forza di guerriglia, almeno agli occhi dei palestinesi. La sanguinosa parabola dei militanti di Hamas, finora è stata questa, storia di un movimento sunnita che come nella migliore tradizione araba mostra un volto duplice, equivoco, e proprio per questo particolarmente esasperato in ogni sua espressione.
In Hamas (nato proprio a Gaza ventidue anni fa con l'incoraggiamento di alcuni servizi di informazione occidentali a opera di Ahmed Yassin, Abdel al-Rantissi e Mohamad Taha) l'ala militare è stata sempre pronta a sovrastare la rappresentanza politica, le rare aperture negoziali puntualmente sono riaffondate nella palude dell'isolamento, gli accordi sono crollati producendo stragi e attentati. Anzi si può dire che per il movimento che dalla Striscia spara missili su Israele il classico torbido avvitamento mediorientale si sia riprodotto in forme più accelerate ed esasperate che mai.
Israele risponde agli attacchi distruggendo e isolando, fra le macerie aumentano i bisogni dei sopravvissuti, l'estremismo islamico fronteggia questi bisogni e dunque acquista nuovi consensi. Questa in estrema sintesi è la ragione per cui un gruppo che ha sempre suscitato forti diffidenze anche all'interno del mondo arabo, adesso a causa dell'azione militare di Israele sia sul punto di nobilitare il proprio profilo, ripulendolo da scorie ventennali.
I manuali informano che Hamas in arabo significa appunto zelo, ma la sigla si può leggere anche come acronimo di «movimento di resistenza islamico». Un po' meno pubblicizzato è il fatto cui accennavamo prima, cioè che per gli arabi ammassati nel carnaio di Gaza in assenza di ogni altro aiuto questa sigla significa anche scuole, ospedali, istituti religiosi, assegni di sussistenza.
Da questo punto di vista la vera crescita del movimento si è verificata negli ultimi due o tre anni. Quando nel 2006 Hamas vinse a sorpresa contro Fatah le elezioni palestinesi nel vicino Oriente la famosa spirale cominciò a prodursi in un altro dei suoi famosi avvitamenti: il mondo sospese ogni aiuto alla Striscia, i terroristi zeloti riuscirono comunque a procurarsi fondi con cui continuare l'assistenza alla popolazione proprio mentre fra i palestinesi si scatenava la guerra civile.
Gli analisti affermano che grazie a finanziamenti dell'Iran, di famiglie saudite e di connazionali all'estero il movimento dispone di circa 70 milioni di dollari l'anno che in parte consentono l'acquisto di armi e missili ma per quasi il novanta per cento sarebbero destinati a salute e educazione, cioè al proselitismo. Questo contribuisce a spiegare come la popolarità di Hamas sia cresciuta in maniera esponenziale fra la gente dei territori mentre cala a picco quella di Mahmud Abbas (conosciuto anche come Abu Mazen), presidente di un'Autorità palestinese ritenuta troppo supina alle richieste di Israele.
Nella carta costitutiva del movimento, il cosiddetto «Statuto», compaiono affermazioni agghiaccianti, quella fondamentale recita: «Non esiste soluzione alla questione palestinese se non nella “jihad”» e i paragrafi successivi specificano che «non un solo figlio di Israele può sfuggire alla “guerra santa", né i civili e neppure i bambini». Poco più sotto si può leggere: «La Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell'Islam fino al giorno del giudizio». Un'altro passaggio afferma: «Il Profeta dichiarò: l'ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e li uccideranno e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: O musulmano, c'è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo».
Il popolo ebraico viene indicato come responsabile di tutti mali del mondo, della Rivoluzione francese, del colonialismo, delle due guerre mondiali. Hamas nega del tutto che sia esistito un Olocausto, afferma che le famose farneticazione dei «Protocolli dei savi di Sion» siano autentiche, e se la prende anche con massoneria, Lions Club e Rotary, che «lavorano nell'interesse del sionismo». Per nostra fortuna il movimento nato con i finanziamenti segreti dell'Ovest adesso limita le sue farneticazioni al territorio palestinese e non si occupa di guerre sante fuori dai suoi confini.
In questi anni l'indecifrabile movimento non ha esitato di fronte a nulla: attentati su spiagge e autobus, bombe umane (anche numerose donne e alcuni bambini) che si sono fatte saltare nei supermercati mentre alle famiglie di ciascun «martire» andavano 5000 dollari di premio. Gli esperti calcolano che l'ala militare, denominata brigate Izz-al-Din al Qassam disponga di circa 15.000 combattenti anche se a questa cifra andrebbe aggiunto il sostegno di quasi tutta la popolazione della Striscia. Piuttosto, le tattiche usate negli ultimi tempi, il ricorso a gallerie sotterranee per i rifornimenti e l'occultamento dei missili nonché la perizia dimostrata dai militanti sul terreno paiono certificare che i guerriglieri hanno ricevuto un nuovo addestramento sull'esempio degli Hezbollah sciiti del Libano.
In vent'anni, un movimento che fu registrato in Israele come costola dei Fratelli Musulmani e inizialmente il governo Begin tollerò, incoraggiò quasi in chiave anti-Fatah (allora a condurre i giochi era ancora Yasser Arafat), è cresciuto e si è «incistato» proprio in quei luoghi che sessant'anni di guerre hanno ridotto sempre più a sentine del mondo. Adesso le organizzazioni islamiche insorgono da tutti gli angoli del globo in difesa di Hamas, nell'intero Occidente si moltiplicano i cortei di protesta, da Beirut risuona perfino l'anatema di Hassan Nasrallah, e gli stragisti rischiano di tramutarsi in campioni dell'Islam.

Riprendiamo il servizio di Maurizio Molinari che chiarisce il blocco dell'ONU, grazie al veto americano, alla tregua in questo momento fra Israele e Hamas. Tregua per altro già impedita da Hamas che ha sempre continuato con il lancio di razzi contro le città israeliane.

Maurizio Molinari - " Stop degli Usa alla tregua chiesta dall'Onu "

Gli Stati Uniti bloccano all’Onu una richiesta di cessate il fuoco a Gaza scatenando le dure proteste dei Paesi arabi mentre la Russia e gli Stati europei lanciano iniziative diplomatiche tese ad arrivare alla fine delle ostilità.
Il Consiglio di Sicurezza era arrivato alla stesura di una dichiarazione da affidare alla presidenza di turno francese che chiedeva il cessate il fuoco «a Israele e Hamas». Ma il rappresentante Usa, Alejandro Wolf, si è opposto a «mettere sullo stesso piano un’organizzazione terroristica come Hamas e uno Stato sovrano come Israele» affermando che equiparando le parti si violerebbe la Carta dell’Onu che consente agli Stati il «legittimo diritto alla difesa». Il nodo negoziale dell’equiparazione Israele-Hamas ricorda l’identico problema che si pose nel 2006 all’Onu fra Israele ed Hezbollah. All’epoca la soluzione fu un accordo fra Israele e Libano mentre in questo caso l’unica autorità sovrana in grado di negoziare per Gaza sarebbe il governo palestinese di Abu Mazen, che però Hamas non riconosce.
Il veto di Washington ha scatenato le proteste della Libia che ha parlato di «obiezione Usa a qualsiasi documento» e dell’Egitto, secondo cui «l’aggressione è in fase di escalation mentre le Nazioni Unite danno luce verde ad Israele». La replica più dura è giunta da Ryad Mansour, rappresentante palestinese al Palazzo di Vetro: «Siamo in guerra, è in atto un’aggressione contro il nostro popolo ed è triste che in un momento come questo il Consiglio di Sicurezza non riesca neanche a chiedere la fine dell’invasione». Ma a dispetto delle polemiche l’ambasciatore francese, Jean-Maurice Ripert, si è detto cautamente ottimista sulla possibilità di «raggiungere un accordo su un testo perché vi sono convergenze sensibili su molti punti» fra i quindici membri del Consiglio di Sicurezza.
A premere per una composizione diplomatica è il premier britannico, Gordon Brown, che in una serie di interviste tv ha detto che «serve un immediato cessate il fuoco basato sui bisogni umanitari dei palestinesi e sulla garanzia per Israele che cessino gli attacchi». Brown ha chiesto anche ai Paesi arabi di «unirsi nell’impedire l’arrivo di armi a Gaza» riferendosi in particolare all’Egitto affinchè «chiuda i tunnel». La troika dell’Ue è arrivata al Cairo e farà presto tappa a Gerusalemme e Ramallah, portatrice della richiesta di un «cessate il fuoco che venga applicato e rispettato da tutti». In arrivo in Medio Oriente sono anche il presidente francese Nicolas Sarkozy e un inviato di Mosca, Alexandr Saltanov, al quale il presidente Medvedev ha affidato l’incarico di «lavorare ad una svolta diplomatica» per porre fine alla «pericolosa escalation» determinatasi con l’entrata a Gaza «delle truppe israeliane». La presenza di un inviato russo lascia intendere che Mosca voglia ritagliarsi uno spazio nella trattativa. I governi di Pakistan e Cina invocano invece la «fine immediata» delle operazioni di terra di Israele senza fare riferimento ad Hamas.

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