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Dopo aver letto Sofri 04/01/2009

SOFRI POLEMOLOGO

 

Le frasi che seguono sono tratte da un articolo (Repubblica, 4 gennaio 2009) dal titolo  " Le vittime che servono per dire basta ", a firma di Adriano Sofri.

 

L’articolo comincia così: “C´è una domanda cui bisogna rispondere. Sembra una domanda facile, e il guaio è là. Che il numero dei morti palestinesi per l´offensiva israeliana a Gaza sia così alto, e cresca ancora, è un segno di vittoria di Israele, o di sconfitta, o di che cosa?” Arduo problema. “E una sottodomanda, in apparenza ancora più facile: che i morti palestinesi siano tantissimi, e quelli israeliani pochissimi, è una vittoria o una sconfitta di Israele?” Una domanda difficilissima, effettivamente. Più o meno come questa: chi ha vinto, a Canne, chi ha vinto nella Selva di Teutoburgo? O anche, se si scende sul piano della quotidianità: “Se facendo a pugni ne date uno e ne ricevete cento, riuscite ad indovinare se avete vinto o perso?” Parlando seriamente sarebbe facile dire a Sofri che chi saprebbe meglio di tutti la differenza tra far morire gli altri o morire lui stesso è il Commissario Calabresi.

 

Per Sofri il generale Yoav Galant ha illustrato i propositi dell’offensiva con una frase orribile. Si tratta di: “Ributtare indietro di decenni la striscia di Gaza in termini di capacità militare, facendo il massimo di vittime presso il nemico e il minimo fra le forze armate israeliane". Sofri scandalizzato richiede che gli facciano annusare i sali. Come molti strateghi da poltrona, crede che la guerra sia una gara di cortesie. Se invece sapesse che cos’è, se l’avesse fatta come l’ha fatta George S. Patton, direbbe come lui ai soldati:  “Voi non siete qui per morire per la vostra patria. Voi siete qui per far sì che gli altri figli di puttana muoiano per la loro patria”. E forse nei salotti buoni di Milano è necessario annusare di nuovo i sali.

 

Ecco un’altra notazione. “Ogni settimana, la rivista "Internazionale" pubblica una rubrichetta di poche righe, intitolata "Israeliani e palestinesi", che aggiorna il numero dei morti dell´una e dell´altra parte a partire dalla seconda Intifada, cioè dal settembre del 2000. … la sproporzione è cresciuta … il divario ha continuato ad accrescersi, finché all´inizio di dicembre … il totale dei morti palestinesi superava di più di cinque volte quello dei morti israeliani (5.301 a 1.082)”. Ecco un modo stupido e tendenzioso di raccontare i fatti. Se una turba di fanatici disarmati cerca di strangolare a mani nude un gruppetto di soldati bene armati, è normale che alla fine ci siano sul terreno un soldato ucciso e un centinaio di morti fra gli aggressori. Ma è colpa degli aggrediti? Questi non dovevano usare le armi, solo perché gli altri erano disarmati? Sofri inoltre dimentica che gli aggressori non tengono in nessun conto né la propria vita né quella dei propri cari. Ammesso che cari gli siano.

 

“Israele ha pressappoco undicimila prigionieri palestinesi, la Palestina , cioè Hamas, uno solo, il povero Gilad Shalit”. Piccolo particolare: Israele tiene in carcere palestinesi colpevoli di reati mentre Shalit è un soldato innocente. Quando si tratta di Israele anche un fine intellettuale come Sofri dimentica la differenza fra sequestro di persona e detenzione dopo un processo.

 

Secondo Sofri non è giusto che la popolazione palestinese soffra, per i crimini dei terroristi. “Gli invasati, o i farabutti, non rendono un popolo correo del loro fanatismo: nemmeno quella metà del popolo che li ha votati in un´elezione”. Ecco a che cosa conduce il vizio di parlare di cose che non si conoscono. Se la Striscia di Gaza avesse un governo decente che non permette il terrorismo nei confronti degli Stati vicini, i pochi “invasati e farabutti” non renderebbero il popolo correo del loro fanatismo. Ma se è il governo stesso ad essere composto d’invasati e farabutti che predicano ed attuano il terrorismo, tutto il paese paga il conto. Quando gli Alleati bombardarono Dresda, uccidendo decine di migliaia di civili inermi, li considerarono responsabili solo di far parte di un paese che aveva a capo Hitler. È questa, la logica dei rapporti fra gli Stati. È questa la logica della guerra. Ma Sofri non ne ha mai sentito parlare.

 

“Se davvero un´azione militare mirasse al massimo di vittime nel nemico, l´ideale sarebbe lo sterminio. Se la confermasse, il generale che ha pronunciato una frase del genere andrebbe messo ai ferri”. Ancora una volta ecco una dimostrazione d’incompetenza in materia di cose militari. La guerra - salvo l’unico caso di un paese preistorico che ha Hamas al governo - tende alla resa del nemico, non alla sua morte. Quando gli Stati Uniti bombardano Hiroshima non vogliono ammazzare un centinaio di migliaia di giapponesi, vogliono che il Giappone si arrenda. E se non si arrende, bombardano Nagasaki. E se infine dopo Nagasaki il Giappone si arrende, la guerra finisce.  È triste che sia necessario spiegare cose del genere.

 

“Non è possibile che Israele, cioè gli israeliani, pensino e sentano di "non avere altra scelta". Ce l´hanno, sanno anche qual è: tutti, o quasi. Sanno qual è, e vanno da un´altra parte. In cielo e, tanto peggio, in terra”. La scelta la sanno gli israeliani, la sa Sofri, forse la sanno tutti, ma chi scrive queste righe no. Perché Adriano non l’ha scritta, in modo da illuminare l’unico scemo rimasto? L’unica condizione che gli si pone è che la sua soluzione comporti la sicurezza degli abitanti di Israele.

 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

 


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