Sotto il titolo " Corpo a coprpo con Hamas ", Sul FOGLIO di oggi tre nanalisi da Gerusalemme.
" Israele inizia le operazioni di terra "
Gerusalemme. L’offensiva terrestre scatenata ieri sera dalle forze israeliane su Gaza – “durerà molti giorni” fanno sapere – si è sviluppata secondo il più classico dei piani militari. Preparato da un intenso bombardamento di artiglieria effettuato dagli obici semoventi M-109 da 155 millimetri delle brigate d’appoggio alle due divisioni corazzate ammassate intorno ai confini della Striscia, l’attacco ha preso il via da tre direzioni al tramonto per consentire alle truppe di sfruttare al massimo l’oscurità nella quale le forze di Gerusalemme operano come di giorno, grazie ai visori notturni adottati da tutti i reparti. L’assenza di strumenti di questo tipo costringerà i miliziani di Hamas a barricarsi nei bunker e nelle postazioni ricavate intorno alle case, nelle cantine e sotto terra: uno schema di fortificazione simile a quello realizzato da Hezbollah nel sud del Libano e che nell’affollata Gaza non risparmia le abitazioni civili trasformandole in obiettivi militari. L’impiego massiccio dell’artiglieria nella fase preparatoria dell’offensiva ha l’obiettivo di annientare il morale della gran parte dei miliziani, quei 13.000 poliziotti di Hamas, in gran parte giovanissimi, privi di addestramento e male armati che costituiscono il grosso delle forze palestinesi incaricate di difendere Gaza. Più duro sarà invece lo scontro con i 1.500 duri di Ezzedin al Qassam e i 500 del Jihad islamico palestinese, che hanno ricevuto un ottimo addestramento alla guerriglia e al sabotaggio dagli istruttori iraniani e di Hezbollah e tra i quali non mancano numerosi veterani dell’Iraq. Forse i combattenti dispongono anche dei nuovi missili russi Kornet che due anni or sono in Libano distrussero 25 carri armati Merkava israeliani. Si tratta di esperti nel realizzare trappole esplosive, pronti anche a farsi esplodere per far pagare caro agli israeliani ogni metro di territorio conquistato e puntano a trasformare Gaza in una Fallujah. Ma la ridotta profondità del territorio di Gaza impedisce ogni ritirata ai miliziani, costretti a combattere spalle al mare e senza via di fuga.
" Il viggio della spia egiziana a Gaza "
Gerusalemme. Non è stato facile nemmeno per lui uscire da Gaza. Mentre i caccia israeliani sganciavano bombe su obiettivi strategici, Omar Suleiman è tornato là a tentare una mediazione con Hamas. Ha rischiato di finire nel conto delle vittime il generale egiziano che in molti al Cairo vorrebbero vedere, un giorno, al posto del rais Hosni Mubarak. La missione a Gaza non ha avuto l’esito sperato. Nonostante la segretezza del viaggio, il ritorno di Suleiman nella Striscia non è passato inosservato. Da quelle parti sono in pochi a non conoscerlo: era stato lui, dopo il golpe di Gaza, a ottenere la tregua – ora rotta – tra Israele e Hamas. E’ lui che, da mesi, tenta una difficile riconciliazione tra i palestinesi di Fatah, arroccati in Cisgiordania, e quelli di Hamas, da un anno e mezzo padroni della Striscia. Suleiman è l’uomo che qualche giorno fa i vertici del movimento islamista di Gaza hanno accusato – parlando di “servizi segreti egiziani” – di non aver avvisato i capi palestinesi delle intenzioni di Gerusalemme. Che Suleiman, e l’Egitto in generale, non abbia troppo interesse a dare una mano ai palestinesi di Gaza i palestinesi di Gaza l’hanno capito. Secondo fonti d’intelligence, 150 agenti iraniani, da tempo inviati a Gaza da Teheran per sovrintendere alla resistenza anti israeliana, ora sono rimasti intrappolati nella Striscia, con il ruolo di consiglieri militari “embedded” e di commissari politici che già hanno ricoperto a favore del movimento libanese Hezbollah. La loro presenza non va giù al Cairo e tantomeno a giordani e sauditi. Secondo un recente articolo di retroscena del quotidiano arabo di Londra, al Quds al Arabi, il generale egiziano dell’intelligence avrebbe dato un sostanziale assenso del Cairo a un’azione militare israeliana sulla Striscia. “I capi di Hamas sono diventati arroganti”, avrebbe detto Suleiman in un incontro con il ministro degli Esteri di Gerusalemme, Tzipi Livni. L’Egitto, al di là della convocazione d’urgenza di un summit della Lega araba che di urgente ha poi avuto la sola convocazione, da tempo non nasconde l’irritazione per la situazione a Gaza. Che la Striscia sia controllata dai miliziani di Hamas, sunniti che ricevono soldi e addestramento militare dagli iraniani sciiti, è cosa che non piace al Cairo come alle altre capitali arabe. Gli egiziani hanno deciso di ammassare truppe al confine con la Striscia: per tutelare le frontiere e l’ordine pubblico, ufficialmente; per tagliare l’unica via di fuga agli islamisti, nella sostanza. Il regime di Amman e quello di Riad sono nella scomoda posizione di chi, per anni, ha incitato all’odio contro “il comune nemico sionista” e ora vorrebbe poter dire che il nemico di ieri è diventato l’amico di oggi. Vorrebbero, per ragioni strategiche (per i sauditi l’alleanza con l’America è fondamentale) e per non fare un piacere agli amici di Teheran. Non possono perché la propaganda filopalestinese è più forte che mai, tanto che per molti osservatori persino i notiziari in arabo di al Jazeera avrebbero ormai toni più simili a quelli delle tv iraniane che non a quelli di un canale all news con pretese di obiettività. Confronto diretto con l’Iran Se avesse ragione l’ex ambasciatore americano all’Onu, John Bolton – che alla Fox ha detto di ritenere lo scontro di Gaza capace di portare al confronto diretto più volte rinviato con l’Iran – tanto attivismo da una parte e dall’altra sarebbe facile da spiegare. Persino la missione di Suleiman sotto le bombe farebbe pensare a un ultimo tentativo per scongiurare una guerra mediorientale vicina che avrebbe, tra l’altro, l’effetto di rompere per sempre l’unità araba. Sarebbe questa, si sussurra a Washington, la “grande crisi” che, per l’incauto vicepresidente democratico Joe Biden, sarebbe presto diventata il primo banco di prova internazionale dell’Amministrazione Obama.
" L'uso tattico dei civili in battaglia "
Gerusalemme. Bussare sui tetti – “roof knocking” – è il nome in codice utilizzato dall’esercito israeliano per alcune operazioni: quando una telefonata registrata avverte prima di un raid gli abitanti della casa presa di mira. E’ una strategia già utilizzata nelle azioni del 2006 su Gaza (in Libano, lo stesso anno, l’aviazione lanciava volantini). Due anni fa, però, Hamas ha organizzato con la sua rete di moschee e stazioni radio gruppi di scudi umani chiamati a proteggere gli edifici sotto il tiro dell’Idf, abitati da miliziani e comandanti o nascondiglio per armi, spesso entrambe le cose. Sfruttando quei dieci minuti di tempo tra la telefonata e l’attacco, il movimento riuniva gruppi di civili sui tetti degli edifici a rischio, forzando l’Idf a sospendere il raid. Nel 2006, durante l’operazione israeliana nella Striscia all’indomani del rapimento di Gilad Shalit, fu Nizar Rayyan, il leader di Hamas ucciso da un missile pochi giorni fa, a iniziare l’era degli scudi umani civili a Gaza e a chiedere alla popolazione di assieparsi sui tetti delle abitazioni nel mirino dell’esercito che, come nel suo caso, avvertiva del raid con una chiamata. Hamas lo ricorda sul suo sito con toni di lode come “il padre del metodo degli scudi umani”; il giorno dell’attacco che gli è costato la vita non ha fatto sconti alla famiglia: non ha lasciato l’abitazione e nemmeno lo ha permesso alle quattro mogli e ai dodici figli. Con lui sono morti in dieci. Sarit Michaeli, portavoce di B’tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, ricorda come sia “proibito per i miliziani utilizzare civili per proteggersi”, come nessuna legge internazionale accetti una simile tattica perversa, contraria alla Convenzione di Ginevra. Hamas tesse invece le lodi della strategia presentandola come “pacifismo”. La sua emittente al Aqsa esalta l’utilizzo di civili in difesa di obiettivi militari e in un recente servizio raccontava come il movimento abbia riunito un gran numero di persone a proteggere la casa di un suo affiliato, Abu Bilal al Jabeer. Fathi Hamad, membro di Hamas e del Comitato legislativo palestinese, in un comizio nel 2008 davanti alle telecamere locali legittimava l’utilizzo di scudi umani civili: “Per il popolo palestinese, la morte è diventata un’industria in cui le donne eccellono, e così tutto il resto della popolazione di questa terra: i vecchi eccellono, i combattenti del jihad eccellono, i bambini eccellono. Perciò i palestinesi hanno creato scudi umani con donne, bambini, vecchi e combattenti contro la macchina dei bombardamenti sionista. Come per dire al nemico sionista: vogliamo la morte quanto voi desiderate la vita”. Ricordava poi incensandoli gli eventi del 2006. Invece di evacuare l’edificio Due anni fa, a novembre, decine di donne velate risposero alla chiamata radiofonica di Hamas e si diressero a piedi verso la moschea al Nasr di Beit Hanoun in cui si erano barricati alcuni miliziani. Era in corso la più importante operazione di Tsahal nella Striscia da mesi. Il fuoco iniziò quando gli uomini armati corsero fuori dalla moschea e si unirono al gruppo di donne, scrive il Times. Una di loro rimase uccisa, molte furono ferite. Tsahal accusò i membri del movimento islamista di essersi fatti scudo con civili; Hamas accusò Israele di aver sparato sulla folla. Negli stessi giorni, Mohammed Baroud, comandante dei Comitati di Resistenza Popolare, milizia di Gaza coinvolta nel sequestro del caporale Shalit, ricevette la chiamata che lo intimava a lasciare l’abitazione con la famiglia. Racconta la Bbc che invece di evacuare l’edificio Baroud corse alla moschea, chiedendo ai vicini di assieparsi sul tetto di casa sua per prevenire il bombardamento. L’Idf non portò a termine il raid. Su quel tetto a Beit Lahiya, nel nord della Striscia, il miliziano non si era fatto scrupoli a portare anche giovani scolare in uniforme.
Per inviare al Foglio la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.