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Il Messaggero Rassegna Stampa
04.01.2009 Finalmente una analisi che aiuta a capire, quella di David Meghnagi
dopo decenni di intossicazione firmata Eric Salerno

Testata: Il Messaggero
Data: 04 gennaio 2009
Pagina: 20
Autore: David Meghnagi
Titolo: «“Israele capro espiatorio delle contraddizione dell’Occidente e del mondo islamico”»

 Sul MESSAGGERO di oggi, 04/01/2009, una analisi dei rapporti Oriente -Occidente di David Meghnagi. Ci procura piacere leggerla sul quotidiano romano, i cui lettori sono da decenni intossicati dagli articoli di Erc Salerno. L'analisi, lucida e chiara di David Meghnagi, spiega con accuratezza la posizione di Israele e dell'Occidente in rapporto al mondo arabo-musulmano.

  “In tempi bui che confondono il giudizio, scriveva Freud nel 1935 a Thomas Mann, le parole sono azioni”. Quei tempi sono per fortuna lontani. Ma il mondo odierno è sovraccarico di pericoli, e non possiamo permetterci di abbassare in alcun modo la guardia. Le parole malate hanno bisogno di essere curate come le persone. Possono colpire come pietre. Hanno bisogno di parole che curano e fra questo vi è innanzi tutto quella di non dire nulla di cui potersi vergognare.

 

La sensazione che si ha seguendo i dibattiti sulla crisi mediorientale, è che l’oggetto vero del discorso sia un altro. Parlando di Israele, l’Occidente parla di sé. Demonizzando Israele, respinge una parte di sé che non ha mai saputo elaborare. Demonizzando Israele, l’antisemitismo ritrova una falsa innocenza perduta. L’antisemita può sentirsi nuovamente libero, non più oppresso dalla memoria di una colpa incancellabile. Può addirittura declinare il suo odio antisemita come una variante della lotta al razzismo. A Durban, la conferenza delle Nazioni Unite contro il razzismo è stata trasformata in una macabra orgia dell’antisemitismo. In questo modo è stato possibile non parlare dei tanti problemi che travagliano il pianeta. 

 

Nell’immaginario occidentale la tragedia della Shoah s’intreccia con quella del colonialismo. Le colpe del colonialismo si traducono a sinistra in una fantasmagorica rappresentazione di una colpa originaria da cui l’Occidente non riuscirebbe a liberarsi. In questa perversa logica le colpe del colonialismo sono trasferite su Israele.

 

L’ostilità contro Israele nasconde in Occidente l’incapacità di guardare ai problemi irrisolti del rapporto fra occidente e civiltà islamica.  Israele è il capro espiatorio di un fallimento nei rapporti tra Occidente civiltà araba e islamica.

 

Lo Stato ebraico diventa colpevole perché con la sua esistenza renderebbe più complicati i rapporti tra l’Europa e ‘Islam. Poco importa se l’eventuale “scomparsa” di Israele, non modificherebbe di alcunché i problemi che affliggono la regione. E poiché Israele è costretto dalla sua dolorosa storia, a dover prendere sul serio le minacce anche più folli, e a prepararsi contro di esse,  l’eventuale messa in opera dei progetti di distruzione avrebbe come conseguenza una catastrofe per l’intera regione.

 

Sul  versante opposto nel mondo arabo e islamico, Israele è vissuto come una “ferita” al corpo della nazione araba e islamica. Di fatto non è mai stato accettato. Non si spiegherebbe altrimenti perché anche i più moderati e liberali esponenti del mondo arabo, quando il discorso cade su Israele, diventano estremisti. Non è solo la paura della rappresaglia che li spinge a schierarsi su posizioni di rifiuto di Israele. È anche la conseguenza di un riflesso condizionato che finisce per appiattire l’intera società sulle posizioni più arretrate. Basterebbe un’occhiata alle vignette e alle caricatura della stampa per rendersene conto.

 

Nel delirio islamista, l’esistenza di Israele e il suo sviluppo sono una colpa ontologica che può essere sanata solo con l’estirpazione del “cancro” che ha infettato il corpo islamico. La demonizzazione di Israele permette di non guardare ai veri problemi che travagliano la società araba e islamica. Accusando Israele, le classi dirigenti arabe possono deviare all’esterno le loro tensioni. Alla lunga però il gioco può diventare pericoloso, come, di fatto, sta accadendo ora. Con l’ascesa dell’irredentismo sciita, nessun regime della regione può dirsi più al sicuro.  L’Egitto si riscopre fragile. Avere permesso per anni alla sua stampa e televisione di cavalcare i peggiori luoghi comuni dell’antisemitismo, diventa un boomerang.

 

Purtroppo nessuno dei problemi regionali rimasti sul tappeto all’indomani della prima guerra mondiale è stato risolto.  Eppure in molti preferiscono ragionare come se il conflitto arabo israeliano fosse l’unica vera matrice di ogni problema della regione e del mondo.

 

ll mondo arabo e islamico un tempo tollerante è diventato invivibile per le sue minoranze religiose. È toccato prima agli ebrei. Il destino si ripete ora per le ultime vestigia del cristianesimo orientale, progressivamente ridotto a un simulacro. La stampa non se ne occupa, non interessano. Sono fonte di disagio perché rischiano di mettere in crisi i rapporti con i paesi arabi e islamici. Eppure dalla  loro sopravvivenza, dipende se domani il rapporto fra sottogruppi culturali di diversa provenienza in Europa potrà svilupparsi.

 

La sparizione delle comunità ebraiche del mondo arabo è l’altra faccia del conflitto mediorientale che non fa notizia.  Bisognerà onestamente chiedersi come mai il mondo arabo nonostante le enormi ricchezze che detiene, ha preferito trasformare la condizione dei profughi in una condizione senza uscita, mentre in Israele è avvenuto il contrario, i profughi sono diventati cittadini e le baracche in cui vivevano sino alla metà degli anni sessanta sono diventate delle vere abitazioni.

 

“Chi vive in un’isola”, ammonisce un antico proverbio arabo, “deve farsi amico il mare”. Israele vice accerchiato da un oceano arabo e islamico ostile. Aprire un varco in quel mondo, non è solo un modo per restare fedeli alla propria vocazione profonda. È per Israele una necessità politica e strategica, che deve vincere per se stesso e per le generazioni che verranno. Da un rapporto nuovo con i palestinesi, discende la possibilità di una vita vivibile, in cui la speranza prenda il posto della disperazione. È un augurio per israeliani e palestinesi, la realizzazione dei sogni di libertà di chi cento anni fa, abbandonando in tempo dall’Europa, gettò le basi per una esistenza più sicura.

 

L’esistenza di Israele, la sua sicurezza, è la condizione perché l’Europa nata dalla seconda guerra mondiale non conosca la deriva. Abbandonare Israele a se stessa sarebbe per l’Europa un suicidio morale e politico. L’esistenza di Israele è anche una necessità per il mondo arabo e islamico. È la condizione perché il mondo arabo non precipiti nella barbarie ed esca vincente nelle sfide poste dalla modernità.

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