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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.01.2009 Due pagine di corretta informazione
Con i servizi di Francesco Battistini e Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 gennaio 2009
Pagina: 8
Autore: Francesco Battistini, Davide Frattini
Titolo: «Gaza, Barak,Hamas, Bersagli e vittime»

Gaza, conto alla rovescia per l'invasione terrestre

Questo il titolo del primo di due servizi di Francesco Battistini sul CORRIERE della SERA di oggi, 03/01/2009 a pag.8

George W. Bush definisce «atti di terrore» i lanci di razzi di Hamas e dice che gli Usa stanno lavorando al cessate il fuoco
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — La rabbia arriva come un vento. Gelida, dopo la preghiera. Spazza la Via Dolorosa, sbatte le porte delle botteghe, fa calare veloci le serrande. Qualche banchetto di presepi finisce rapido nel retrobottega. Qualche soldato di corsa, un grido, laggiù in fondo i colpi di spranghe e di pietre. Il Giorno della Rabbia, proclamato da Hamas, è il giorno di 2.500 incazzati e di qualche ragazzo inkefiato, pochi perché la Spianata dell'Al Aqsa è stata vietata ai minori di 50 anni. Polizia schierata a tutte le porte di Gerusalemme Est, turisti come ombre, un po' di lacrimogeni. Piccoli tafferugli. Un tamtam di protesta che alla stessa ora contagia la Cisgiordania, Hebron, Ramallah e più lontano Amman, il Cairo, Beirut. Gli spari in alto della polizia di Abu Mazen non fermano le sassaiole, di qua le donne con le bandiere verdi di Hamas, di là i vecchi col quadricolore del Fatah: palestinesi contro.
Il settimo giorno di Piombo Fuso è di un'ira contenuta, tutto sommato. Nella Striscia i morti sono 432 e il 25 per cento sono civili, duemila i feriti, nove le moschee centrate, soltanto ieri trenta raid aerei hanno ucciso anche tre bambini fra gli 8 e i 12 anni, ma nemmeno gli hezbollah di Nasrallah se la sentono di chiamare alla guerra santa: Gaza resta impenetrabile pure ai jihadisti. Non si entra e soprattutto non si esce. A Rafah, decine di palestinesi tentano la sera un secondo sfondamento verso l'Egitto, alla barriera mobile di Salaheddin, qualcuno ce la fa prima che la polizia egiziana arrivi di rinforzo da Al Arish, spari e chiuda tutto. Mubarak non vuole grane ed è al Cairo, in queste ore, che succedono le poche cose vere: un tentativo di mediazione segreta, il primo dopo il fallimento dei colloqui d'un mese fa, avviato dal capo dei servizi segreti egiziani e mediato dall'Autorità palestinese. Hamas tuona — «se invadono da terra, rapiremo altri soldati israeliani », promette Khaled Meshaal a Damasco — ma alla fine è pronta a «ogni confronto». I razzi, quelli che in una settimana hanno fatto quattro morti israeliani e decine di feriti, continua a tirarli: trenta solo ieri, sette solo su Ashkelon. La posizione d'Israele sembra irremovibile: niente tregua, se non cessano i lanci.
Giorni chiave. Oggi arriva in Medio Oriente la troika europea, domani la passatoia è per Sarkozy, all'Onu ci si trova fra leader arabi. Due obiettivi: stop duraturo a razzi e raid, magari gli osservatori internazionali. Gli egiziani chiedono che l'offensiva di terra sia rinviata, ma per la Casa Bianca «è un affare israeliano». In serata George W. Bush definisce i lanci di razzi di Hamas «atti di terrore» e fa comunque sapere che gli Usa stanno lavorando a un cessate il fuoco garantito dal monitoraggio internazionale. Da Washington, infine, scongiuri sulla catastrofe umanitaria. «Una situazione spaventosa» la descrivono Onu, il Programma alimentare mondiale, Medici senza frontiere: nella Striscia mancano riso, farina, zucchero, ortofrutta, c'è luce 3-6 ore al giorno e blackout la notte, poca acqua potabile e pochi letti negli ospedali, quasi a zero le scorte d'una settantina di medicinali per diabetici e malati di tumore. Il governo israeliano non condivide l'emergenza, fa entrare con una certa regolarità i camion con gli aiuti, fa uscire 16 malati che hanno bisogno di cure speciali. Sono 270 gli stranieri che hanno accolto l'appello ad andarsene. Moldave, russe che hanno sposato uomini palestinesi. «Là dentro non c'è più niente da fare», raccontano: «È tutto orribile».

«E ora Hamas è caduto nella trappola»

 E' il titolo del secondo servizio di Francesco Battistini, una intervista dalla quale traspare quale importanza abbiano le domande del giornalista. Non acaso, fin dalla prima, si capisce come la pensa l'intervistato. Complimenti a Battistini.


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Signor Erekat, voi e Hamas...
«Non ho alcuna intenzione di parlare del Fatah, di Hamas, delle divisioni. Quello che sta accadendo a Gaza è una tragedia spaventosa che riguarda tutto il popolo palestinese. La prego di riformulare la domanda...».
Va bene: c'è spazio per una tregua?
«Al momento, c'è spazio per chiedere solo una cosa: lo stop a quest'aggressione. Bisogna fermare i bombardamenti. È l'emergenza numero uno».
Se la prima vittima della guerra è la verità, e Gaza non fa eccezione, subito dopo vengono Abu Mazen, il Fatah, l'Autorità palestinese e tutta la nomenklatura sopravvissuta ad Arafat che Saeb Erekat, da una vita, rappresenta in giro per il mondo. L'uomo ha già pronti laptop e bagaglio leggero da negoziatore-express — «ho poco tempo, sto decidendo se accompagnare a New York il presidente Abu Mazen...» — e di tutte le piccole grandi paci che ha visto abbozzare e qualche volta nascere, da Oslo a Camp David, da Madrid ad Annapolis, questa è forse la più complicata.
Troppa distanza fra le parti, nessun mediatore forte e credibile: «C'incontreremo con gli altri leader arabi, per trovare un punto di consenso generale e obbligare Israele a finire subito, e senza condizioni, l'attacco alla Striscia».
Lei ha appena parlato coi consoli americano e inglese, con l'inviato europeo. Lunedì, Sarkozy arriva a Gerusalemme, prima della missione europea. Chi può giocare un vero ruolo? « Chiunque è il benvenuto, se serve. La precondizione d'ogni colloquio è lo stop immediato all'aggressione militare israeliana e il rispetto della Convenzione di Ginevra. Chiediamo un intervento internazionale. Poi, si possono trovare misure adatte e garantire una tregua reciproca e accettabile da tutti».
La Cisgiordania è in ebollizione. Poche cose spiegano le vostre spaccature come vedere la polizia palestinese pigliare sassate da palestinesi, per gli israeliani poi...
«La situazione nei Territori è sostanzialmente sotto controllo, abbiamo dimostrato di poter vigilare senza interferenze esterne ».
Ma Abu Mazen sta in una posizione impossibile, fra il martello dei raid e l'incudine della frustrazione palestinese.
«Fin dal primo giorno, Abu Mazen ripete senza sosta che gli attacchi vanno fermati. È l'unica cosa che ci preme. Da mesi dicevamo che un'aggressione israeliana a Gaza avrebbe arrestato il processo di pace, spingendo tutta la regione verso il caos, nuove violenze, un bagno di sangue. La situazione ora è sfuggita di mano e non possono essere gli innocenti a pagarne le conseguenze».
Lei parla dei raid aerei, ma una causa di tutto ciò sono i razzi che Hamas continua a lanciare...
«L'autodifesa non giustifica tutto. Qui ci sono massacri spaventosi. Quanto a Hamas, li avevamo avvertiti un mese fa che rompere i negoziati del Cairo sarebbe stato un pericolo. L'avevano capito tutti, ma loro sono caduti nella trappola. Non è possibile un'azione comune con chi agisce così. Però adesso non è questo il problema: conta salvare i nostri fratelli palestinesi».
Lei non vuol parlare di divisioni. Ma fra una settimana scade il mandato di Abu Mazen e Hamas vuole che se ne vada...
«Lei conosce la legge che abbiamo approvato? Dice che il mandato presidenziale finisce nel 2010. Questa è la sola parola che vale ».
Un anno: proprio quel che serve a schiacciare Hamas?
«Adesso, l'unica cosa che importa è che finisca l'aggressione israeliana».

Barak, il comandante che voleva la tregua

E' il titolo dell'articolo di Davide Frattini a pag.8. Eccolo:


DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME — «Non è simpatico ». «Non è alla moda». «Non è vostro amico». I manifesti dei laburisti urlano in gigantografia quello che gli israeliani hanno sempre pensato di Ehud Barak. Il ministro della Difesa ha scelto la campagna dell'auto-oltraggio per dimostrare di essere cambiato (meno arrogante) e di essere rimasto «un leader», come rassicurano alla fine gli slogan.
Il soldato più decorato della storia del Paese sa di dover cancellare la fama di politico più odiato, se vuole salvare se stesso e il partito al voto del 10 febbraio. «Esiste una sorta di barriera trasparente tra me e la gente — ha confessato al quotidiano Haaretz —. La vita mi ha messo in situazioni dove devi ottenere risultati, correndo grandi rischi tra mille incertezze. In quei momenti non cerchi amore e forse neppure lo dai». Da quando l'operazione Piombo Fuso è decollata, gli elettori lo amano un po' di più, almeno nei sondaggi. La popolarità è cresciuta dal 34 al 53 per cento, i seggi da 11 a 16. Ancora poco per diventare primo ministro, abbastanza per far preoccupare gli avversari.
I giornali raccontano sorpresi dell'ammirazione che lo circonda. Di come Shelly Yachimovich, celebre giornalista televisiva, eletta con il Labour, venisse accolta al mercato di Tel Aviv, da insulti contro il suo presidente: «Come fai a restare con quel rifiuto umano?». Di come adesso, dalle bancarelle arrivino solo complimenti: «È il nostro campione».
Laurea in fisica e master in teoria dei sistemi applicata all'economia (università di Stanford), Barak non rinuncia all'immagine di eroe delle forze speciali, quando visita in bomber blu le truppe stazionate al confine con Gaza. Gestisce le manovre, cercando di cancellare la concorrenza. I ministri di Kadima si lamentano per il taglia-fuori attuato su Tzipi Livni, anche perché ci vedono la complicità di Ehud Olmert. «Tzipi avrebbe potuto emergere alla grande da questa guerra», avrebbe detto uno di loro. «Il premier non glielo permette. È lui a farsi fotografare con Barak, a fare il giro delle caserme, loro si danno gran pacche sulle spalle, mentre lei rimane sullo sfondo».
L'ansia di attribuirsi tutti i meriti ha spinto Napoleone (come lo chiama qualche collega per la piccola statura e le grandi ambizioni) a sconfinare nelle manovre diplomatiche del ministro degli Esteri. Barak ha lasciato trapelare ai giornali la proposta di tregua francese (è amico da anni di Bernard Kouchner), ha fatto capire di essere favorevole, ma si è nascosto dietro la formula «fonti della Difesa», senza lasciarsi attribuire la presa di posizione. È riuscito a far arrabbiare il capo di Stato maggiore e quello dei servizi segreti, che si sono affrettati a precisare di non aver espresso alcuna opinione. «In poche ore è passato dal ruolo di comandante a quello di politicante », ha scritto Amir Oren su Haaretz.
E gli ha ricordato che negli ultimi quarant'anni ogni guerra israeliana è costata il posto al ministro della Difesa che l'ha combattuta.

Bersagli e vittime civili Scontro in Israele sulle nuove regole

Sempre di Davide Frattini il secondo articolo a pag.9. sulle regole che guidano l'azione di Tzahal, l'esercito di difesa israeliano. Eccolo:
DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME — Quando l'esercito «bussa sul tetto », restano dieci minuti prima che i jet sgancino i missili. Una telefonata e un avvertimento: «Sgomberate, stiamo per bombardare». Li avrebbe ricevuti anche Nizar Rayan, il leader di Hamas ucciso con le quattro mogli e undici dei dodici figli, 20 morti in totale sotto le macerie. Era stato lui — raccontano a Gaza — a ideare la tattica di mandare i civili sul tetto, per fermare i raid all'ultimo momento. Era convinto che lo scudo umano della famiglia l'avrebbe protetto. «Una volta l'aviazione avrebbe aspettato di avere il bersaglio nel mirino, quando si trovava da solo — commenta Ben Caspit, prima firma del quotidiano Maariv
—. La guerra in Libano ha cambiato le regole: chi nasconde armi in casa, deve aspettarsi un razzo dalla finestra ». I portavoce delle forze armate hanno spiegato che il palazzo di Rayan era utilizzato come deposito e quartiere generale per le operazioni mi-litari, hanno fatto notare che dopo l'attacco si sono sentite altre esplosioni.
Il bombardamento è stato autorizzato da Menachem Mazuz, il procuratore generale dello Stato, e dal consigliere legale dell'esercito. «Prima la procedura si concentrava su un militante — continua Caspit — adesso sono le case a essere incriminate». Nella Striscia, i raid hanno colpito per la prima volta anche le moschee. «I capi di Hamas erano convinti di poter accumulare munizioni nei luoghi sacri, sicuri che non sarebbero mai stati distrutti per paura della condanna internazionale — scrive Bradley Burston su Haaretz —. Rayan è stato ucciso con la famiglia, le moschee ridotte in polvere. Il mondo si è preoccupato di più dei botti di Capodanno. Qualcosa è cambiato nell'equazione mediorientale, perché questa è una guerra che riguarda il futuro dell'islam radicale».
In sette giorni di operazioni sono morti almeno 432 palestinesi, un quarto sarebbero civili, secondo l'agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite. Un gruppo locale per la difesa dei diritti umani parla del 40 per cento. Ieri un missile ha ammazzato tre fratellini, tra gli otto e i dodici anni, mentre giocavano in strada, nel campo rifugiati di Khan Yunis. Dall'inizio dell'operazione Piombo Fuso, i razzi lanciati dai miliziani contro le città israeliane hanno ucciso quattro persone.
L'esercito ha diffuso video per dimostrare che i raid colpiscono depositi di armi e basi di lancio per i Qassam. Il 29 dicembre, poco prima di mezzanotte, sul sito delle forze armate è stata pubblicata la notizia urgente «Camion pieno di armi distrutto vicino a Jabalya ». Il filmato, poco più di due minuti, mostra la situazione dal cielo, attraverso l'occhio elettronico del drone telecomandato. Quindici figure si muovono tra due veicoli, spostano dei lunghi oggetti neri, poi l'esplosione.
Le organizzazioni israeliane B'Tselem e Mezan hanno ricostruito una versione diversa. Il camion apparterrebbe ad Ahmed Samur e la carcassa bruciata è ancora lì, vicino alla sua officina. «Abbiamo portato via solo i morti— dice il palestinese ad Haaretz —. Nessuno osa avvicinarsi». Racconta di essere stato avvertito dalla figlia che un palazzo era stato bombardato ed era crollato sul suo deposito. Di essere andato a controllare i danni e a cercare di tirar fuori le apparecchiature da sotto le macerie. «Quello che stavamo spostando non erano razzi, ma bombole di ossigeno usate per la saldatura. Gli otto giovani uccisi non erano miliziani di Hamas, ma i nostri figli».
I portavoce militari hanno replicato che «il materiale caricato sul camion proveniva da un edificio usato come nascondiglio per le armi».

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