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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.01.2009 Un equivoco la tesi della sproporzione
Le analisi di André Glucksmann e Maurizio Caprara

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 gennaio 2009
Pagina: 11
Autore: André Glucksmann, Maurizio Caprara
Titolo: «I pregiudizi su Gerusalemme dell'opinione pubblica mondiale- Raid contro razzi, un equivoco la tesi della sproporzione»

Anche oggi, 03/01/2009, l'informazione sul conflitto mediorientale data dal CORRIERE della SERA si differenzia dalla maggior parte dei gionali italiani. Li vedremo più avanti nella rassegna stampa, per ora ci interessa riprendere due servizi, il primo di André Glucksmann, a pag.11, dal titolo " I pregiudizi su Gerusalemme dell'opinione pubblica mondiale ", il secondo, una analisi della stampa internazionale, di Maurizio Caprara. Questa sensazione di maggior attenzione alle ragioni di Israele l'avevamo avvertita sin dal primo giorno. Anche nei quotidiani con le redazioni esteri affollate da giornalisti colpiti dal virus pro-palestinese, qualcosa di cambiato si avvertiva. L'idea che un paese, aggredito da anni a colpi di missile ai suoi confini, non avesse il diritto di difendersi, era difficile da difendere. Intendiamoci, non che il pregiudizio sia scomparso, la lettura dei quotidiani di questi giorni, anche oggi, ce lo conferma, ma qualcosa è cambiato. Certo, due articoli come quelli che seguono è difficile immaginarli su REPUBBLICA,STAMPA,MESSAGGERO,SOLE 24ORE... e qui interrompiamo l'elenco che i nostri lettori ben conoscono. Come qualcosa è cambiato a livello governativo. Occorre guardare in faccia la realtà, il cambio da Prodi a Berlusconi è stato positivo, così come lo è stato il cambio da Veltroni ad Alemanno, e ci aggiungiamo da D'Alema a Frattini. Questi sono fatti, al di là di qualsiasi opinione si possa avere sulla politica italiana. Ecco i due articoli:

André Glucksmann - " I pregiudizi su Gerusalemme dell'opinione pubblica mondiale "

Davanti a un conflitto, l'opinione pubblica si divide tra coloro che hanno deciso chi ha torto e chi ha ragione e coloro che valutano con cautela tale o tal'altra azione come opportuna o inopportuna, anche a costo di rinviare il loro giudizio.Lo scontro di Gaza, per quanto sanguinoso e terrificante, lascia trasparire tuttavia uno spiraglio di speranza che le immagini drammatiche troppo spesso nascondono. Per la prima volta in un conflitto in Medio Oriente, il fanatismo del partito preso appare in minoranza. Il dibattito in Israele («È questo il momento giusto? Fino a che punto arrivare? Fino a quando? ») si svolge come di consueto in democrazia. Quale sorpresa constatare che un dibattito assai simile divide, a microfoni aperti, anche i palestinesi e i loro sostenitori. A tal punto che Mahmoud Abbas, capo dell'Autorità palestinese, subito dopo l'inizio della rappresaglia israeliana, ha trovato il coraggio di imputare a Hamas la principale responsabilità della tragedia dei civili a Gaza, per aver rotto la tregua.
Le reazioni dell'opinione pubblica mondiale — i media, la diplomazia, le autorità morali e politiche — sembrano purtroppo in ritardo sugli sviluppi dei diretti interessati. A questo proposito non si può far a meno di notare un termine assai ricorrente, a ribadire un'intransigenza di terzo tipo, che condanna urbi et orbi l'azione di Gerusalemme come «sproporzionata ». Un consenso universale e immediato sottotitola le immagini di Gaza sventrata dai bombardamenti: la reazione di Israele è sproporzionata. Cronache e analisi non perdono tempo a rincarare la dose: «massacri », «guerra totale». Per fortuna, si è evitato finora il termine «genocidio». Il ricordo del «genocidio di Genin» (60 morti), ripetuto ossessivamente e poi screditato, è ancora capace di frenare gli eccessi? Tuttavia la condanna incondizionata e a priori della reazione esagerata degli israeliani regola ancora oggi il flusso delle riflessioni.
Consultate il primo dizionario sotto mano: è sproporzionato ciò che non è in armoniosa proporzione rispetto alle altre parti, oppure non corrisponde, di solito per eccesso, al giusto o al dovuto, pertanto risulta eccessivo, esagerato, spropositato. È il secondo significato che viene accolto per fustigare le rappresaglie israeliane, giudicate eccessive, incongruenti, sconvenienti, che oltrepassano ogni limite e ogni regola. Sottinteso: esiste uno stato normale del conflitto tra Israele e Hamas, oggi scombussolato dall'aggressività dell'esercito israeliano, come se il conflitto non fosse, come tutti i conflitti, sproporzionato sin dall'origine.
Quale sarebbe la giusta proporzione da rispettare per far sì che Israele si meriti il favore dell'opinione pubblica? L'esercito israeliano dovrebbe forse rinunciare alla sua supremazia tecnologica e limitarsi a impugnare le medesime armi di Hamas, vale a dire la guerra approssimativa dei razzi Grad, la guerra dei sassi, oppure a scelta la strategia degli attentatori suicidi, delle bombe umane che prendono di mira volutamente la popolazione civile? O, meglio ancora, non sarebbe preferibile che Israele pazientasse saggiamente finché Hamas, per grazia di Iran e Siria, non sarà in grado di «riequilibrare » la sua potenza di fuoco?
A meno che non occorra portare allo stesso livello non solo i mezzi militari, ma anche gli scopi perseguiti. Poiché Hamas — contrariamente all'Autorità palestinese — si ostina a non riconoscere allo Stato ebraico il diritto di esistere e sogna l'annientamento dei suoi cittadini, non sarebbe il caso che Israele imitasse questo spirito radicale e procedesse a una gigantesca pulizia etnica? Si vuole veramente che Israele rispecchi, in misura proporzionale, le ambizioni sterminatrici di Hamas?
Non appena si va scavare nei sottintesi del rimprovero ipocrita di «reazione sproporzionata », ecco che si scopre fino a che punto Pascal aveva ragione, e «chi vuol fare l'angelo, fa la bestia». Ogni conflitto, che covi sotto la cenere o in piena eruzione, è per sua natura «sproporzionato ». Se i contendenti si mettessero d'accordo sull'impiego dei loro mezzi e sugli scopi rivendicati, non sarebbero più avversari. Chi dice conflitto, dice disaccordo, di qui lo sforzo da una parte e dall'altra di giocare le proprie carte e di sfruttare le debolezze del rivale. L'esercito israeliano non ci pensa due volte ad «approfittare » della sua superiorità tecnologica per centrare i suoi obiettivi. E Hamas non fa da meno, ricorrendo alla popolazione di Gaza come scudo umano senza lasciarsi nemmeno sfiorare dagli scrupoli morali e dagli imperativi diplomatici del suo antagonista.
Non si può lavorare per la pace in Medio Oriente se non ci si sottrae alle tentazioni di chi ragiona in base a pregiudizi o ad opinioni preconcette, che assillano non solo i fanatici oltranzisti, ma anche le anime pie che fantasticano di una sacrosanta «proporzione», capace di riequilibrare provvidenzialmente i conflitti. In Medio Oriente, non si combatte soltanto per far rispettare le regole del gioco, ma per stabilirle. È lecito discutere liberamente dell'opportunità di questa o quella iniziativa diplomatica o militare, senza tuttavia presumere che il problema venga risolto in anticipo dalla mano invisibile della buona coscienza mondiale. Non è un'idea «spropositata» voler assicurare la propria sopravvivenza.

Maurizio Caprara - " Raid contro razzi, un equivoco la tesi della sproporzione "
Davanti agli oltre 430 morti palestinesi, secondo l'Onu cento dei quali civili, più d'una voce ha accusato Israele di aver compiuto con i suoi bombardamenti su Gaza una reazione «sproporzionata ». Fuori misura, in sostanza, rispetto ai missili Qassam ricevuti su Sderot e su altre località dello Stato ebraico.
La tesi non è nuova. Era già stata impiegata durante la guerra in Libano del 2006, scattata dopo il rapimento di due militari e l'eliminazione di tre soldati da parte di Hezbollah. Ma è una tesi che adesso sta incontrando più obiezioni, che non ha trovato unanime l'Unione Europea e che in Italia non viene raccolta da importanti dirigenti del centrosinistra che si occupano di politica estera.
Nel dibattito in materia aperto dal Financial Times con critiche alla linea del governo di Israele, si sono aggiunti ieri due commenti, uno sul Wall Street Journal
e uno sul Washington Post.
Sul quotidiano finanziario di New York, Alan M. Dershowitz, professore di legge ad Harvard, ha definito «assurda» l'affermazione che Israele avrebbe «violato il principio di proporzionalità uccidendo più terroristi di Hamas rispetto al numero di civili uccisi dai razzi di Hamas». Con questi argomenti: «Primo, non c'è equivalenza legale tra l'uccisione deliberata di civili innocenti e l'uccisione deliberata di combattenti di Hamas. Sotto le leggi di guerra, per prevenire l'uccisione di anche un solo civile innocente può essere ucciso qualsiasi numero di combattenti. Secondo, la proporzionalità non è data dal numero di civili morti alla fine, bensì dal rischio posto». Dershowitz ha ricordato che martedì gli integralisti islamici di Gaza hanno colpito con un razzo un asilo di Beersheva, in quel momento senza bambini. «Secondo la legge internazionale, Israele non è tenuta ad autorizzare Hamas a giocare alla roulette russa con le vite dei suoi figli», ha aggiunto.
Un ex consigliere di George W. Bush, Michael Gerson, sul
Washington Post ha scritto che giudicare «sproporzionata» l'azione israeliana su Gaza «tradisce un equivoco sul senso della proporzione»: «Il fine di un'azione militare, quando è inevitabile, non è prendere una vita in cambio di una ingiustamente presa; questa è mera vendetta. Il fine è rimuovere le condizioni che hanno portato al conflitto e alla presa di vite». Secondo Gerson, a differenza di quanto avvenne in Libano con Hezbollah, Israele sta riuscendo a «distruggere le infrastrutture di Hamas, le scorte di armi e i tunnel per trafficarle».
Sul Washington Post si ricorda che negli ultimi tre anni i missili partiti da Gaza contro Israele sono stati 6.464. Sull'Economist, mentre i morti palestinesi erano 350 e quelli israeliani quattro, si sosteneva che «nessuna legge di guerra richiede a Israele di deviare dalla regola abituale, che è uccidere tanti più nemici si può e evitare vittime dalla propria parte».
Tesi apprezzate da Piero Melograni, storico, ex deputato di Forza Italia, «pregiudizialmente a favore di Israele», il quale dice: «Certa contabilità e la teoria della proporzionalità sono improprie. Dobbiamo evitare un focolaio di guerra molto più ampio dell'attuale». Il ministro degli Esteri del governo ombra del Partito democratico, Piero Fassino, è uno dei dirigenti che in questi giorni non evoca quella teoria, come non sono parsi farlo né la cancelliera tedesca Angela Merkel né la presidenza ceca dell'Ue. Commenta Fassino: «Evitiamo un esercizio macabro e poco fondato. La discussione proporzionalità o non proporzionalità non è il cuore del problema: il punto è come affrontare il nodo di Hamas. Dunque il fatto che Hamas si mette fuori dal processo di pace, non dentro, perché nega in radice il diritto di Israele a esistere. E qualsiasi processo di pace si fonda sul riconoscimento di due diritti: quello di Israele a vivere in sicurezza e quello dei palestinesi a uno Stato. Su questo ci serve una strategia».
Nel Pd anche Pietro Marcenaro, presidente della commissione Diritti umani del Senato, parlamentare che visitò Sderot, sconsiglia «calcoli da ragionieri» anche se «non si può restare indifferenti davanti alla morte di centinaia di persone». La critica di Marcenaro all'offensiva su Gaza è un'altra: «Che Israele abbia avuto motivo di reagire è fuori di dubbio. Ma in quale strategia si inserisce l'azione militare? Come possono prevalere forze diverse da Hamas e interessate alla pace?».

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