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La Stampa Rassegna Stampa
02.01.2009 Falk,l'amico di Gheddafi, contro Israele
Una compiacente intervista di Francesco Semprini

Testata: La Stampa
Data: 02 gennaio 2009
Pagina: 2
Autore: Francesco Semprini
Titolo: «"Una brutale violaziione dei diritti umani nella Striscia"»

Tra i servizi dedicati alla guerra Israele-Hamas, LA STAMPA di oggi, 02/01/2009, a pag.25 pubblica un articolo di Francesco Semprini , che intervista Richard Falk, relatore speciale per i diritti umani dell'Onu, già espulso da Israele per falso e propaganda. Un passo che raramente Israele compie, essendo libera sia la circolazione che la permanenza di giornalisti dalla professionalità non  molto dissimile da quella di Falk. Se con lui è scattata l'espulsione, ciò è dovuto alla carica che ricopre. Non averlo fatto avrebbe avallato il suo < lavoro >. Se un organismo come l'Onu ha avuto la Libia a capo della commissione diritti umani, non stupisce la scelta di un noto antisemita come Falk. Semmai ci fa riflettere sul fatto che sia caduta propio su un ebreo quella carica. Poichè siamo laici, che un ebreo possa essere antisemita, non ci stupisce affatto,gli ebrei sono in questo non dissimili dagli altri, onesti e mascalzoni. Falk appartiene a questa seconda categoria. Quello che stupisce è la scelta di Semprini di intervistare uno come Falk, ma, leggendo le sue domande in puro stile Minà, ci stupiamo meno, potrebbe avergliele suggerite lo stesso Falk.  Ecco l'intervista:

L’aggressività di Israele nei miei confronti dimostra la volontà dello Stato ebraico di impedire alla comunità internazionale di sapere che cosa sta succedendo a Gaza». Il relatore speciale per i diritti umani dell’Onu, Richard Falk, fermato e cacciato qualche settimana fa da Israele, nonostante le credenziali del Palazzo di Vetro, dice: «Mi hanno impedito di denunciare la grave violazione dei diritti umani nei territori occupati. E le conseguenze le paga la popolazione civile palestinese».
Ma Israele non si sta difendendo?
«La risposta di Israele ai presunti attacchi di Hamas non è giustificabile. Il rapporto tra le vittime israeliane e quelle palestinesi è assolutamente sproporzionato. Da parte di Gerusalemme c’è stata un’aggressione che ha portato a una serie sconvolgente di atrocità compiute con armi moderne contro una popolazione inerme, che già sopporta da mesi un duro embargo».
Perché, parlando degli attacchi, usa la parola «presunti»?
«Perché non si capisce quale sia il legame tra la Jihad e il movimento palestinese».
Vuol dire che ci sono infiltrazioni terroristiche che Hamas non controlla?
«Hamas era pronto a rinnovare il cessate il fuoco. Israele ha ignorato questa ipotesi e ha continuato l’opera di taglieggiamento degli aiuti umanitari, provocando una risposta con i lanci di razzi. Sospetto che la responsabilità di questi tiri non sia di Hamas ma di elementi fuori controllo della Jihad. Il problema è capire che legame c’è tra la Jihad islamica e Hamas. Di fatto Israele ne ha approfittato per condurre un attacco che rappresenta una violazione degli accordi di Ginevra, e il bilancio delle vittime civili lo dimostra».
Crede che ci sia un legame tra ciò che è successo a lei due settimane fa e la guerra in atto?
«Non penso che ci sia un legame diretto. Ma sicuramente il fatto che mi sia stato impedito di entrare a Gaza e l’essere stato trattenuto all’aeroporto Ben Gurion per venti ore e poi rispedito a casa fa parte di una strategia di Israele volta a impedire alla comunità internazionale di conoscere cosa sta succedendo a Gaza».
Che cosa è successo quel pomeriggio di metà dicembre?
«Arrivato alla dogana di Tel Aviv, un funzionario del ministero degli Interni israeliano mi ha detto che la mia visita non era gradita, nonostante avessi un mandato dell’Onu. Era una direttiva del ministro degli Esteri, sono stato portato in un ufficio dove vengono radunate le persone da deportare. Ero con altri cinque uomini. La mattina seguente sono stato imbarcato su un aereo per gli Stati Uniti».
Lei ritiene che Israele stia nascondendo qualcosa?
«Vuole evitare che la comunità internazionale conosca le violazioni dei diritti umani e teme le ripercussioni che queste rivelazioni potrebbero avere dal punto di vista mediatico».
Qual è la situazione a Gaza adesso?
«Disperata. Il 46 per cento dei bambini soffre di polmonite dovuta alle polveri dei bombardamenti e l’80 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno».
Quello che le è successo era mirato?
«Direi che mi hanno riservato un trattamento speciale, probabilmente per il mio passato. Ma di fatto è la prima volta che hanno adottato una misura di questo genere con un inviato in possesso di un mandato conferito dall’Onu».
Qual è l’obiettivo di Israele?
«Demolire l’ambizione di Hamas di rappresentare il popolo palestinese e impedire la lotta contro l’occupazione dei territori. In secondo luogo Israele vuole indebolire le ambizioni dei movimenti integralisti a Gaza e in Cisgiordania. Di fatto è un comportamento inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani e delle leggi internazionali».
La nuova Amministrazione americana potrà cambiare le cose?
«Non sono ottimista. L’orientamento in questo Paese, e soprattutto di Washington, è così incondizionatamente a favore di Israele da rendere difficile anche per un governo più liberal come quello di Obama di mettere in discussione la politica di Israele».
Si sente di mandare un messaggio allo Stato ebraico?
«Vorrei che il governo israeliano riconoscesse che la sua politica a Gaza non ha nulla a che fare con la sicurezza e che sarebbe giusto cambiare l’approccio sull’occupazione della Palestina. Trovare una soluzione a un conflitto che per sei decenni ha visto Israele invadere e ha devastato la popolazione palestinese. E’ questo il mito che infiamma i fondamentalismi e alimenta il terrorismo».
Proverà a tornare a Gaza?
«Il problema non è se io torno a Gaza, ma è come convincere Israele a cooperare».

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