Sul FOGLIO di oggi, 02/01/2009, in prima pagina, due editoriali che descrivono in maniera accurata la situazione mediorientale. Se veda anche la nostra pagina di oggi sul confronte fra le prime pagine. Seguono due analisi, altrettanto accurate, di carlo Panella e Giulio Meotti.
" Hamas si rimangia la tregua e raddoppia l'offensiva missilistica "
Gerusalemme. Ieri i raid aerei hanno ucciso uno dei leader più duri di Hamas nella Striscia, Nizar Rayyan, capo religioso e politico dell’ala militare del gruppo armato. Il Movimento di resistenza islamica ha prima annunciato e poi smentito di essere pronto ad accettare “a determinate condizioni” la tregua proposta dall’Unione europea. All’operazione israeliana “Piombo Fuso” restano due opzioni: proseguire con gli attacchi dall’alto o scatenare l’assalto via terra. La campagna aerea ha per ora esaurito il suo ruolo consentendo di colpire i centri di comando e controllo di Hamas, uccidendo oltre 350 miliziani – inclusi numerosi comandanti – e demolendo una cinquantina di tunnel utilizzati per i rifornimenti di armi da Rafah. I raid da soli non hanno però raggiunto gli obiettivi finali: fermare i lanci di razzi su Israele e far cadere il regime di Hamas nella Striscia. Dall’inizio dell’operazione oltre 300 ordigni sono piovuti in territorio israeliano, inclusi i razzi Grad con gittata di 40 chilometri che minacciano un’area abitata da quasi un milione di persone: ieri almeno 40 razzi e missili sono esplosi ad Ashkelon, Beersheeba Ashdod e altre cittadine a portata delle squadre di lanciatori di Hamas. Un missile ha centrato un condominio di otto piani, senza fare vittime. Anche nell’estate 2006 la campagna aerea nel sud del Libano risultò insufficiente, ma proseguì peggio con un attacco terrestre mal preparato, che consentì a Hezbollah di proclamare “la vittoria di Dio” e di continuare a minacciare il territorio israeliano. Ora i militari puntano a scatenare una rapida offensiva terrestre che cancelli militarmente Hamas da Gaza. Una campagna al suolo contro i 15.000 miliziani barricati in un centinaio di chilometri quadrati di bunker e postazioni minate in mezzo alle case può essere vinta in pochi giorni da Tsahal, ma al prezzo probabile di qualche centinaio di caduti tra i militari e di migliaia di vittime – anche civili – tra i palestinesi. Un prezzo alto per il governo israeliano. Ma strappare Gaza ad Hamas consentirebbe di riconsegnarla all’Anp di Abu Mazen e di infliggere la prima sconfitta decisiva alla strategia iraniana di accerchiamento militare di Israele.
" L'opzione di Parigi "
Parigi. Lunedì, quando arriverà in medio oriente per una missione di mediazione, Nicolas Sarkozy è convinto che sarà giunto “il momento di una ricerca di uscita dalla crisi” di Gaza. In altre parole, che Israele accetterà almeno la proposta di un cessate il fuoco umanitario di 48 ore. Durante l’incontro di ieri all’Eliseo, il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, ha ribadito il suo “no”: “Non c’è crisi umanitaria a Gaza, di conseguenza non c’è bisogno di tregua umanitaria”. Ma, forte del suo status di grande amico di Israele in Europa, il presidente francese non demorde, in particolare dopo che il premier Ehud Olmert ha detto di non volere una “guerra lunga”. Sarkozy ha avvertito Livni che occorre evitare “la tentazione israeliana di portare all’estremo la logica militare, come nel 2006”, con Hezbollah in Libano. Il rischio è “un’impasse”. Il presidente francese vuole “rimettere l’Egitto al cuore della soluzione”, rafforzare il presidente palestinese Abu Mazen e coinvolgere la Siria. L’incognita è come negoziare, senza legittimare Hamas. “Insieme stiamo cercando la strategia migliore”, ha spiegato Livni dopo l’incontro con Sarkozy. “La vocazione della Francia è di cercare ovunque le vie della pace”, ha detto Sarkozy nel suo messaggio di fine anno. In realtà, il presidente francese persegue un doppio progetto: preservare la sua leadership europea, nonostante la presidenza di turno sia passata alla Repubblica ceca, e ritagliarsi un ruolo di mediatore, prima dell’arrivo della nuova Amministrazione Obama. Ma il premier ceco, Mirek Topolanek, ha rifiutato di accompagnare Sarkozy in medio oriente: se Parigi ha parlato di “uso sproporzionato della forza”, per Praga Israele ha il diritto di difendersi. Topolanek, sospettando un colpo di mano, ha inviato una missione della troika Ue, “controllata da Karel Schwarzenberg”, il ministro degli Esteri ceco, in contemporanea con quella di Sarkozy. La diplomazia sarkozista potrebbe esasperare gli israeliani, che esigono la fine del terrore da Gaza e un meccanismo di supervisione internazionale efficiente per la tregua. A Gerusalemme, quella di Sarkozy è percepita come una “exit strategy” contro la “achievement strategy” di Olmert.
Carlo Panella - " Le lacune senza tregua degli anglo-francesi (e di D'Alema) su Hamas ".
Raramente l’Europa ha dimostrato tanta inettitudine politica come nella crisi di Gaza. La solita, trita richiesta di tregua – ogni volta che scoppia un conflitto, l’Ue sa solo chiedere una tregua – è infatti fallita per una ragione molto semplice: l’Europa – Sarkozy in testa – è prigioniera di schemi d’analisi inerziali ed errati. Uniche eccezioni: Angela Merkel, il governo italiano e quelli dell’est europeo – Repubblica ceca in testa – che però ben poco possono, a fronte di un blocco franco-inglese (i due soli paesi europei membri permanenti del Consiglio di sicurezza) che dall’avventura di Suez del 1956 in poi ha dato il peggio di sé sul quadrante mediorientale. Uomo simbolo della marginalità e del cinismo europei – a fianco di Sarkozy – è quel Tony Blair che da due anni finge di fare il rappresentante del Quartetto, fa occupare un piano intero del lussuoso American Colony di Gerusalemme da un suo poderoso staff… e intanto passa il suo tempo a tenere lucrosissime conferenze in giro per il mondo, tanto che, scoppiata la crisi di Gaza, non ha trovato nulla di meglio che tacere. Questo giudizio impietoso è legato a un dato di fatto innegabile: dal 20 novembre era chiaro che Hamas puntava a far deflagrare la crisi a Gaza, e nel modo più sanguinoso, ma l’Ue non se ne è neanche accorta. Quel giorno, infatti, all’improvviso, Hamas rovesciò il tavolo delle trattative con Abu Mazen che la mediazione egiziana era certa di avere ormai concluso positivamente. Fare saltare la pacificazione ormai quasi raggiunta con Abu Mazen e contemporaneamente riprendere il lancio dei Qassam su Israele: Hamas – è chiaro – lavorava a un’escalation drammatica. Ma Sarkozy, presidente dell’Ue, non ha fatto nulla, non ha dato segno di cogliere l’emergenza incombente e meno ancora ha fatto l’evanescente Blair. Il punto di estrema gravità politica è che questo ennesimo episodio di ignavia franco- inglese nei confronti dell’estremismo palestinese non è affatto congiunturale, non è legato alla personalità di Sarkozy o di Blair, ma ha radici profonde nella storia politica del Novecento dei due paesi, tanto che ha sempre funzionato da sponda per le posizioni palestinesi più irresponsabili. Un radicamento che va al di là dell’opportunismo petrolifero e che è conseguente a una radicale incapacità ideologico-politica di cogliere i termini della questione israelopalestinese Per l’Inghilterra, gioca un vecchio retaggio imperiale: come è noto – a eccezione dell’isolato Winston Churchill –- Londra, potenza mandataria in Palestina, fece di tutto nel 1948 – favorì anche la fondazione della Lega araba – per contrastare la nascita di Israele. Anthony Eden, nel 1956, tentò poi di ribaltare questa strategia, alleandosi con Israele, ma l’umiliante sconfitta subìta restò a monito di tutti i governi successivi a mai più sfidare in campo aperto estremisti arabi alla Nasser. Anche la Francia, dopo il 1956, ha sempre sottovalutato il ruolo strategico di Israele quale avamposto di democrazia, in un mondo arabo sempre più jihadista (fulcro della posizione americana da Truman in poi – con l’eccezione di Eisenhower, nel 1956, appunto), che invece è chiarissimo oggi a Merkel e al governo italiano. Fu De Gaulle, nel 1967, a tracciare le linee di “alleanza critica” con Gerusalemme di cui ancora oggi il neogollista Sarkozy è prigioniero. Dopo la Guerra dei sei giorni – combattuta da Israele con armi francesi, va detto – il Generale – che aveva risolto la crisi algerina cedendo al nazionalismo terrorista del Fln – ruppe con un Israele che si rifiutava di accettare l’egemonia politica dell’Europa (cioè, della Francia). Egemonia politica che l’Ue – su impulso francese – impose alla crisi mediorientale nel 1980, quando nel vertice di Venezia, rifiutò di accettare la logica degli accordi Sadat-Begin (che non riconoscevano la filoterrorista Olp e puntavano alla creazione di una dirigenza palestinese attraverso elezioni amministrative nei Territori) e riconobbe invece l’Olp come unico interlocutore. L’uccisione di Sadat a opera dei futuri fondatori di al Qaida tolse di mezzo l’unico ostacolo all’imporsi di quella scelta, e diede via libera alla sciagurata leadership di Yasser Arafat, con conseguenze nefaste. Sarkozy oggi, dunque, è prigioniero di uno schema – condiviso anche dal postsovietico Massimo D’Alema – che vede nell’estremismo arabo palestinese, non un avversario da battere, ma una forza “nazionale” con cui interloquire. Da qui le ambiguità e le sottovalutazioni nei confronti di Hamas. Da qui le irresponsabili aperture alla Siria che, a sei mesi dai trionfi parigini tributati da Sarkozy a Bashar el Assad, appaiono sempre più velleitarie.
Giulio Meotti - " Il grande dilemma di Israele "
Roma. Dopo una serie di attentati kamikaze, nel settembre del 2004 un gruppo di noti rabbini israeliani si pronunciò a favore di un intervento radicale dell’esercito nei Territori palestinesi, anche se avrebbe causato un alto numero di vittime civili. Il documento scandaloso diceva che “non si privilegia la vita del nemico davanti alla nostra vita” e che “non c’è guerra al mondo in cui sia possibile fare una differenza assoluta tra la popolazione civile e l’esercito nemico”. “Il rabbino Akiva, il quale diceva di amare il tuo prossimo come te stesso, uno dei principi più importanti della Torah, ci ha insegnato che esistono delle priorità, anche tra amici e tra di noi: se sappiamo che qualcuno viene per ucciderci, lo uccidiamo per primi”, recitava il testo che fece scalpore all’epoca e interrogò le massime cariche del rabbinato israeliano. Nei giorni scorsi un documento molto simile è stato diffuso a sostegno delle incursioni israeliane nella Striscia di Gaza, al fine di fermare il lancio di razzi Qassam sui villaggi e le città del Negev. “Quando i razzi provengono da una zona con una popolazione civile, dopo aver dato avviso sufficiente la legge ebraica consente di rispondere al fuoco”. I religiosi sono Yaakov Yosef, figlio dell’ex rabbino capo d’Israele Ovaia Yosef; il rabbino di Hebron Dov Lior, il leader chassid Shalom Dov Wolpe e Meir Mazuz, a capo di una nota yeshiva di Bne Brak. “Quando la popolazione civile vicino a una città ebraica lancia bombe sulla città ebraica con l’intento di uccidere e distruggere ogni esistenza ebraica, è consentito, secondo la legge ebraica, rispondere con i missili e le bombe sui siti da cui proviene il lancio, anche se sono popolati da civili”. I rabbini dicono di più: l’esercito israeliano ha diritto di rispondere al fuoco e sparare verso un’area dove c’è popolazione civile anche “se non c’è tempo per l’avviso”. “E’ un messaggio ai leader del popolo ebraico: non abbiate compassione per chi lancia missili sui civili nelle loro case”, afferma l’ex rabbino capo sefardita Mordechai Elyahu, che basa il diritto di rispondere al fuoco sul capitolo di Genesi 34 e alcuni commenti di Maimonide. Secondo regole morali Tsahal, l’esercito d’Israele, segue un codice noto come Tohar HaNeshek (“purezza delle armi”), significa usare le armi secondo regole morali. Nel momento in cui viene presa le decisione di sparare, l’obiettivo deve essere colpire e neutralizzare le azioni del nemico. Quando si fa fuoco e il nemico o il terrorista è colpito e c’è la convinzione che sia stato neutralizzato, non è permesso sparare di nuovo, quand’anche si trattasse del terrorista più spregevole e temibile. Gli israeliani non sparano mai a sangue freddo. Soltanto quando la minaccia non è stata sventata, l’azione per neutralizzarla può comportare il cosiddetto “colpo di grazia”. I quattro rabbini che hanno firmato il documento sono identificabili con i coloni più ideologici, con il fronte contrario al ritiro da Gaza e più in generale con l’ideologia del Grande Israele. Ma come dimostrano le interviste a questi religiosi non estremisti si tratta di un verdetto condiviso dalla maggioranza dei rabbini israeliani. Ci parla del grande dilemma d’Israele. “La Torah è molto stringente sul fatto che i soldati debbano mantenere un alto livello di moralità e non scadere nel comportamento animalesco”, ci spiega il rabbino Stewart Weiss, che dirige il più importante istituto religioso di Ra’anana e ha perso il figlio Ari a Nablus durante una incursione contro Hamas. “Il nostro esercito non può abbattere alberi e brutalizzare civili. Siamo il primo esercito nella storia che governa un altro territorio e dove non ci sono mai stati stupri sulla popolazione controllata. C’è grande attenzione per i civili da parte dell’esercito. Non siamo Hamas, che usa i civili palestinesi come scudi umani. Detto questo, penso che stiamo facendo a Gaza quello che c’era da fare, dopo migliaia di missili sulle nostre città. Spero che l’esercito non si fermi pri- ma di aver restaurato la normalità. Israele deve capire che questa è una guerra eterna che non finirà prima che il nemico non avrà accettato la nostra presenza permanente al mondo. Sono d’accordo con quel documento, se c’è una guerra ci sono caduti civili. E’ un’aggressione e abbiamo il diritto di difenderci. Noi rifiuteremo sempre di collaborare con chi vuole distruggerci. Il problema è che la maggior parte dei palestinesi considera tutta Israele, Tel Aviv, Efrat, Haifa e Ra’anana dove vivo io, come ‘territorio occupato’. Vogliono riprenderselo pezzo dopo pezzo iniziando dalla Cisgiordania. Quando mai un leader palestinese in arabo ha detto alla propria gente, ‘Ashkelon e Haifa saranno sempre città ebraiche e mai parte della Palestina’?”. Rav Weiss dice che il documento dei rabbini va a sostegno dei soldati. “E’ la nostra migliore gioventù, li onoriamo ogni anno in Yom Hazikaron e l’intera nazione si ferma in silenzio al suono della sirena. La nazione di Israele sa che continuiamo a esistere come grande paese grazie al prezzo da loro pagato per la nostra sicurezza. L’esercito è il grande equalizzatore della società. E’ in corso una guerra e una guerra che deve essere vinta, per prevenire che i missili di Hamas vengano lanciati ogni giorno sulle città israeliane. E lo abbiamo fatto garantendo alla popolazione civile ciò di cui avevano bisogno. Io ho paura ogni volta che i nostri soldati entrano in territorio palestinese. Israele non vuole prendersi Gaza. E’ una guerra che continua da anni contro un nemico determinato a distruggerci. E non si fermerà, da parte nostra non c’è altra scelta. Soltanto l’uso della forza può fermare Hamas. E il resto del mondo ci può aiutare smettendo di giustificare questa guerra eterna contro Israele. Non è una cosa nuova, è dagli anni Venti che combattiamo. Quando una parte del territorio viene bombardata da Hamas, io credo che la grande maggioranza degli israeliani appoggi la decisione di muovere guerra”. E’ d’accordo con il documento anche il rabbino Zev Pizem, capo dei lubavitch a Sderot, la capitale del Negev sottoposta ai più pesanti bombardamenti da parte di Hamas e della Jihad islamica. “Viviamo una vita ebraica completa e a Sderot continuiamo a seguire i dettami della Torah come sempre. Ma la nostra città è stata bombardata negli ultimi otto anni, nessun altro paese avrebbe consentito nulla del genere. Era tempo che il governo israeliano prendesse la decisione di rispondere alle deliberate aggressioni di Hamas. Hamas non ha alcuna intenzione di fermarsi, continuerà a bombardare. E’ responsabilità di Israele fermare Hamas. E’ molto triste quando i civili palestinesi muoiono, ma è una guerra. E i nostri civili vengono uccisi da molti anni. L’esercito israeliano lavora bene nel cercare di non colpire i civili palestinesi”. “Minimizzare i danni per gli innocenti” Dov Oron, rabbino dell’insediamento di Karnei Shomron, in Samaria, parla senza fanatismi. “Dal punto di vista morale e della legge ebraica, è lecito quel che si dice nel documento, anche se si deve minimizzare i danni per le persone innocenti. La guerra non è fatta in laboratorio, non è una teoria, lo dico per aver fatto la guerra nell’esercito. L’esercito fa del suo meglio e spesso non spara per timore di nuocere ai civili. E il nostro paradosso morale è usato dai terroristi ai propri fini. I rabbini concordano sul fatto che abbiamo il diritto di difenderci. Non è soltanto una questione ebraica, ma di common sense. Se stanno per bombardare un nostro asilo nido, semplicemente rispondi al fuoco. Nessun altro esercito al mondo ha tali problemi e si fa tali scrupoli quanto il nostro”. Infine c’è l’opinione del rabbino Shalom Gold, uno dei massimi insegnanti della Torah. “Che cosa stava aspettando il governo israeliano? Che Hamas riuscisse a ottenere ancora più armi? Abbiamo la responsabilità di proteggere i nostri cittadini. Ho paura che ora la risposta sia flebile e non all’altezza della violenza scatenata contro di noi. Dobbiamo distruggere tutte le infrastrutture di Hamas, abbiamo aspettato sette anni, fin troppo”. Quanto al responso rabbinico, Gold afferma: “Se dobbiamo attaccare il nemico, è inevitabile che anche dei civili finiscano sotto il fuoco. L’occidente si scandalizzò quando gli americani hanno ucciso migliaia di tedeschi a Dresda? Abbiamo standard morali altissimi rispetto al resto del mondo. Ma in guerra si fa la guerra. E le nazioni che hanno fatto Hiroshima e Dresda non vengano a farci lezioni. Ho un nipote in questo momento a Gaza e voglio che faccia il suo dovere. Voglio che faccia ciò che deve per proteggere Israele. Se Hamas intendeva fermare gli attacchi, aveva tempo per farlo. Questa gente è guidata dal fanatismo islamico. Hanno spedito i propri figli a farsi saltare in aria nei nostri ristoranti ".
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