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Il Giornale Rassegna Stampa
02.01.2009 Osservatori Ue capaci solo ad osservare, contro i terroristi ci vogliono le armi
le analisi di Fiamma Nirenstein e R.A. Segre

Testata: Il Giornale
Data: 02 gennaio 2009
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein-R.A.Segre
Titolo: «L'Ue non è pronta per una missione a Gaza - Gerusalemme e la corsa contro il tempo»

Sul GIORNALE di oggi, 02/01/2009, a pag. 8-9, le analisi di Fiamma Nirenstein e R.A.Segre.

Fiamma Nirenstein - " L'Ue non è pronta per una missione a Gaza "

L’Europa può spesso permettersi, o almeno lo crede, di essere irresponsabile e di fare la morale. Di fronte allo scontro di Gaza, l’Europa con una proposta di tregua umanitaria coniata dal ministro francese degli Esteri Bernard Kouchner, ha subito optato per la più facile delle posizioni. Alla tregua, seguirebbe un accordo con al centro i soliti osservatori internazionali fra i due contendenti. L’Italia fa bene a promuovere iniziative di pace, ed è stata la più puntigliosa e chiara nel ribadire, come ha fatto il ministro Frattini martedì, che comunque si deve partire dall’idea che Hamas è responsabile della guerra col lancio di missili sulla popolazione civile e il rifiuto, richiesto da Israele, della conferma della passata tregua. Hamas, dice Frattini, è un’organizzazione terrorista nella lista Ue, se ne tiene ben conto. Kouchner e il responsabile della diplomazia britannica Milliband puntano soprattutto sulla crisi umanitaria, glissando sulla natura del feroce gruppo islamista che ieri ha promesso, mentre faceva l’occhiolino sulla tregua, la vittoria totale e ha ribadito per bocca di Ismail Haniyeh, il capo, che lo scopo è sempre quello promesso: distruggere Israele, che secondo la sua Carta «esisterà finché l’islam lo oblitererà». La Livni, ministro israeliano degli Esteri in visita a Parigi, gli ha risposto che la crisi umanitaria è una scusa, che a Gaza sono entrati in due giorni da Israele più di 300 camion di cibo, medicine ecc., più 20 ambulanze e che Israele oggi fornisce a Gaza il 70 per cento dell’elettricità. E comunque non si dà una tregua per far rimpannucciare Hamas, se lo scopo è bloccare la pioggia di missili, che continua densa. Opportuna anche un’occhiata al passato: quando Israele sgombrò Gaza, presero posto a Rafah i “monitor” dell’Ue come garanzia contro l’ingresso di armi e terroristi dall’Egitto. Era il 26 novembre del 2005. L’Eubam si trovò in difficoltà, perché i suoi punti di riferimento erano 70 uomini delle forze di sicurezza di Abu Mazen: l’avvento di Hamas emarginò Abu Mazen. Prima, entrò il fratello del più feroce fra i leader, Mahmoud al Zahar; poi al Zahar stesso passò con una valigia piena di 20 milioni di dollari. Il ricorso dell’Eubam all’Autorità nazionale palestinese si concluse con la sua estromissione nel giugno del 2007, quando ormai la Striscia era una rampa di lancio di missili, e una serra di odio iraniano. Una nuova Eubam difficilmente potrebbe agire se non avesse un mandato armato per fermare Hamas. Non è solo Rafah, ma anche la larga fascia lanciamissili lungo Israele a dover essere assicurata. E l’Europa non è pronta a girare armata da quelle parti. È sempre apparsa molto più pronta, come per esempio fece Solana in un’intervista al Jerusalem Post, a lamentarsi dell’«atteggiamento iperossessivo di Israele verso i temi della sicurezza», responsabile, per lui, di tenere chiuso troppo a lungo il passaggio di Rafah. È evidente che una tregua che preluda a soluzioni come una forza di interposizione europea inerme, mentre Hamas promette di seguitare a sparare missili, non può essere accettata da Israele, che non ha intrapreso la guerra per ybris, ma per costrizione fisica e morale verso i suoi cittadini e contro la logica del terrorismo che riguarda tutti noi. Anche l’Europa ha dei doveri verso la popolazione bombardata israeliana, 800mila persone perseguitate. E ha doveri anche verso la pace che Hamas non vuole, mentre vuole una tregua che le consenta di riprendere la guerra jihadista. Occorre da parte Ue una proposta che aiuti Israele, e questo aiuterà anche noi.

R.A.Segre - "Gerusalemme e la corsa contro il tempo  "

Per chi lavora il tempo a Gaza? La dottrina militare tradizionale israeliana si fondava in passato su tre punti: raggiungere rapidamente gli scopi per evitare l'intervento politico estero mirante a trasformare i successi militari in sconfitte politiche; evitare perdite di soldati capaci di diminuire il sostegno del paese; impedire che il rapporto di forza fra lo Stato e il popolo palestinese trasformi la resistenza del secondo in vittoria. Questi tre principi sono certo operanti nella tattica seguita sinora con alcune varianti che nelle precedenti operazioni contro le milizie palestinesi o islamiche non c'erano. Anzitutto questa è la prima guerra di Israele accompagnata da una ben organizzata campagna psicologica: ai giornalisti israeliani è stato messo il bavaglio «per garantire la loro sicurezza» e lasciati a dipendere dalle informazioni date dai militari oppure dalle descrizioni di "colore" che ottengono con contatti telefonici senza trovarsi sul campo di battaglia. In secondo luogo è ormai evidente che Gerusalemme non deve preoccuparsi delle reazioni dei paesi arabi, apertamente accusati dalla propaganda iraniana e libanese di aver tradito la causa palestinese. In terzo luogo, mentre ribolle l'ira degli arabi israeliani, forti delle garanzie democratiche di cui dispongono e del loro libero accesso ai media stranieri, la reazione dei palestinesi della Cisgiordania verso quelli di Gaza è sempre più critica. Hamas è accusato di non aver compreso la lezione della guerra del Libano: di aver "follemente" assunto la responsabilità della rottura della tregua, delle conseguenze che ne sono seguite e della tensione con Il Cairo. Lo schieramento delle truppe israeliane attorno a Gaza, unitamente al passaggio di aiuti umanitari e all'aiuto ai feriti negli ospedali israeliani, ha il doppio scopo di creare un forte pressione psicologica sui palestinesi - che ignorano se e quando arriverà l'assalto - e influenzare l'opinione pubblica internazionale, che sembra comprendere l'impossibilità per Israele di continuare a sottostare al bombardamento di missili di Hamas. E infatti non c’è una condanna dell’Onu. Nessuno poi sa cosa stiano facendo le truppe speciali all'interno di Gaza: operano per il ritrovamento del caporale Shalit, il che rappresenterebbe un immenso successo per i due partiti - Kadima e Labour - che debbono affrontare le elezioni generali il 10 febbraio, oppure stanno dando all'aviazione le informazioni topografiche per i suoi micidiali e miratissimi bombardamenti. Sul totale dei morti, più di 300 sono militanti di Hamas fra cui alcuni dei suoi comandanti "storici", mentre la dirigenza politica resta nascosta nei bunker incapace di fare sentire la sua voce. Il che non significa che Israele abbia rinunciato all'uso delle truppe. Ma potrebbe spiegare, anche grazie alla irresponsabilità di Hamas che continua a lanciare missili, perché il governo abbia respinto la tregua e affidato al ministro degli Esteri Livni, il compito di spiegare a Parigi se e perché autorizzerà l'entrata dei suoi carri a Gaza. Sempre che si sia previsto come uscirne.

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